Una tempesta oltre le sbarre della Casa di reclusione di Nuchis

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[Liliana Golosio]

Si presta perfettamente il dramma shakespeariano “La tempesta” ad essere rappresentato e a rappresentare una casa di reclusione e i suoi ospiti, una nave nella tempesta e il fortunoso approdo in un’isola, nell’isola che è un luogo di pena per chi la tempesta l’ha attraversata davvero.

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Ventuno gli attori in scena, ventuno vite che si sono intersecate per circa un’ora e mezza con quelle degli spettatori che, quasi con il fiato sospeso, hanno guardato e atteso ogni mossa, ogni suono, musica, canto o parola, ogni sussurro che arrivava dal palco.

Suggestiva la coreografia, che nella sua semplicità ha rappresentato in maniera perfetta le spumeggianti, rabbiose onde, con gli azzurrati attori che oscillavano nell’imbarcazione in balia del mare ed erano essi stessi mare in tempesta ed il sale che, sia metaforicamente che fisicamente, gettato dagli attori-spiriti del mare, sferzava marinai e pubblico e, nel suo cadere e rimbalzare in terra, simulava perfettamente il suono delle onde che si infrangevano sulle rocce.

Bravissimi gli attori, ospiti della Casa di Reclusione di Tempio Pausania (Nuchis), che abbiamo potuto applaudire nel teatro della struttura, ma che abbiamo anche potuto salutare, ringraziare ed abbracciare, alla fine della rappresentazione, con grande gioia ed emozione. Ottimo il lavoro della regista Chiara Murru, dei tecnici e di tutte e tutti coloro che hanno fatto sì che si realizzasse questo spettacolo e che venisse offerto all’esterno il 21 gennaio, quando abbiamo potuto assistere allo spettacolo finale del laboratorio teatrale. Un’importante occasione di apertura, con due mondi che si sono incontrati, come normalmente non può avvenire, un momento quindi anche altamente simbolico, un insieme di persone che recitando si sono riappropriate per un poco del loro essere persone, non solo detenuti.

È nato tre anni fa il progetto LiberArte, realizzato dal Polo Universitario Penitenziario (PUP) dell’Università di Sassari, cofinanziato dall’Università di Sassari e dall’Ersu e con il contributo dell’Amministrazione Penitenziaria.

L’idea è stata quella di creare un insieme di progetti trasversali che potessero coinvolgere le persone recluse, facendo partecipare sia gli iscritti all’università, sia quelli che non studiano, ad eventi ed attività di diverso tipo, sono state fatte conferenze, presentazioni di libri – anche con gli interventi dei detenuti -, agricoltura sociale, laboratori teatrali.

I singoli progetti, una volta pianificati, vengono presentati a tutti e quattro gli Istituti convenzionati: Alghero, Nuoro, Sassari e Tempio, che decidono poi se aderire; normalmente il progetto si sviluppa in più anni, per il primo anno si parte a costo zero, in modo da valutare il funzionamento, la buona riuscita dell’idea, e poi si sviluppa in maniera più articolata.

Non tutti i progetti possono avere la stessa risposta, anche perché si calano in realtà molto diverse tra loro, proprio per la tipologia del singolo carcere, per gli spazi, per le caratteristiche che li differenziano in base alle sezioni che ci sono all’interno, ad esempio se ci sono ospiti in regime di media sicurezza o di alta sicurezza; va da sé che non tutto si può fare e non nella stessa maniera.

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A prescindere dalle caratteristiche degli Istituti convenzionati è innegabile il successo del PUP, sono novanta gli studenti universitari, iscritti in diversi dipartimenti che attingono quindi ad una ampia offerta culturale e formativa; la media nazionale dei detenuti iscritti all’università è del 2%, la media per il carcere sassarese di Bancali è del 5-6%, per il carcere di Alghero è del 8-10%, per Tempio del 15% (con ulteriore incremento quest’anno che ha portato la media quasi al 20%), se pensiamo che la percentuale riguarda tutta la popolazione detenuta e non solo coloro che possono accedere ai corsi universitari, quindi non la percentuale sui diplomati, capiamo quanto sia importante l’attività del PUP per la società tutta, ancor più se pensiamo che dietro questo grande lavoro ci sono pochi finanziamenti e tante volontarie e volontari.

Faccio mio e vi propongo l’invito del Professore Emmanuele Farris, Delegato del Rettore per il PUP dell’Università di Sassari, di interessarci delle Case di Reclusione, perché fanno parte della società e cosa succede all’interno, come vengono gestite, come si interfacciano col mondo esterno riguarda tutte e tutti noi.



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