Payback dispositivi medici: la mossa dell’Emilia-Romagna,

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Dopo un lungo silenzio, stavolta a smuovere le acque è stata l’Emilia-Romagna. Forse lo avrete letto: dalla Regione è partita la richiesta di pagamento immediato del payback da parte delle imprese dei dispositivi medici. O, meglio, si fissa un termine perentorio di trenta giorni per procedere al pagamento del payback con la misura del 48%, come stabilito dalla Corte costituzionale.

Una richiesta che ha suscitato un vespaio di reazioni, perchè “mette in grave difficoltà le imprese dei dispositivi medici, molte delle quali a rischio chiusura”, come ha replicato subito il presidente di Confindustria dispositivi medici, Nicola Barni. Oltretutto, puntualizza Gennaro Broya de Lucia, presidente di Conflavoro Pmi Sanità, quella dell’Emilia-Romagna – che ospita un celeberrimo distretto biomedicale – appare una “mossa a dir poco masochistica, con tanto di scuse allegate, in quanto ‘atto dovuto’ per evitare di vedersi contestare il danno erariale”.

Ma che cosa sta succedendo?

La vicenda che tiene col fiato sospeso le imprese del settore è annosa, complessa e, nonostante gli auspici, non si è ancora risolta. La disciplina principale sul payback è contenuta nell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015. Le disposizioni di questo articolo stabiliscono un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici.

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Se la regione supera il tetto, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento. Per gli anni dal 2015 al 2018 è espressamente prevista la procedura di determinazione dell’ammontare del ripiano a carico delle singole imprese (comma 9-bis, inserito nel 2022 nell’art. 9-ter menzionato).

Dopo i ricorsi, la mossa del Tar del Lazio e la decisione della Consulta, l’auspicio delle aziende era quello di trovare una soluzione in Manovra. Un desiderio sfumato. Quindi, dopo settimane di silenzio, la mossa dell’Emilia Romagna è tornata a smuovere le acque.

Le ragioni della Regione

Ma come mai questa decisione? A spiegarlo è stata la stessa Regione, che l’ha definito un “atto dovuto” per evitare una contestazione di danno erariale. Assicurando poi che contro il payback sui dispositivi medici “prosegue l’azione comune nei confronti del Governo per una soluzione condivisa che attenui l’impatto sulle imprese. Ma, non essendo arrivata la soluzione richiesta dall’Esecutivo nazionale, e per non infrangere i termini di legge, la Regione deve intanto inviare alle imprese la richiesta di pagamento”, si legge nella nota.

La stessa Emilia-Romagna ha sottolineato di voler “rilanciare subito un’iniziativa che porta avanti ormai da tempo: insieme alle associazioni di rappresentanza del comparto, intende chiedere al Governo un nuovo incontro, a tutela di una filiera strategica per l’economia regionale”.

“Non abbiamo alternative, di fronte a un quadro normativo che non è cambiato e al fatto che nella nuova legge di Stabilità non c’è nulla – hanno dichiarato Massimo Fabi e Vicenzo Colla, rispettivamente assessore alle Politiche per la salute e vicepresidente della Regione Emilia Romagna con delega alle Attività produttive, come si legge su Adnkronos – Se non venisse fatto, sarebbe inevitabile la contestazione di danno erariale a nostro carico”.

La replica delle imprese

E adesso? Confindustria dispositivi medici fa “appello a Governo e Regioni affinché non seguano l’esempio con altri provvedimenti regionali simili sul payback: sarebbero migliaia i ricorsi al Tar, col rischio di provocare conseguenze devastanti per l’intero settore, ma anche per i bilanci regionali e per il tribunale amministrativo, generando un caos senza precedenti. Per questo, abbiamo inviato una lettera alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ai ministeri competenti, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e alla Presidenza del Consiglio per scongiurare che altre regioni replichino la richiesta dell’Emilia-Romagna e si attenda la prima udienza di merito del Tar del Lazio prevista per il prossimo 25 febbraio”.

Il Tar del Lazio

La decisione di procedere con l’invio delle richieste di payback alle aziende fornitrici di dispositivi medici, “anticipando il pronunciamento del Tar previsto per il 25 febbraio, rappresenta un atto di gravissima ineleganza istituzionale, che denota una totale mancanza di rispetto sia verso le imprese che verso gli organi di giustizia amministrativa”, afferma dal canto suo Sveva Belviso, presidente di Fifo Sanità, aderente a Confcommercio.

“Non attendere la decisione del Tar significa sottoporre le aziende a uno stillicidio di azioni legali e costi aggiuntivi in un momento di estrema fragilità del sistema. È assurdo che proprio la Regione che si dichiara a favore delle imprese contribuisca ad alimentare un clima di paura e instabilità nel comparto”, continua Belviso.

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Le imprese promettono battaglia

La presidente di Fifo sanità si è detta al lavoro con i nostri avvocati “per supportare le aziende nei percorsi di impugnazione di questo nuovo provvedimento. Chiediamo all’Emilia-Romagna di ritirare urgentemente gli atti presentati e auspichiamo che le altre Regioni, anziché seguire questo esempio negativo, si adoperino per individuare soluzioni che salvaguardino il tessuto economico e occupazionale dei loro territori”.

“Le imprese del settore – ha evidenziato Nicola Barni – si trovano a fronteggiare non solo un ulteriore aggravio di costi legati a nuovi ricorsi amministrativi, ma soprattutto il rischio concreto di chiusura per molte piccole e medie realtà. Apprendiamo con favore l’appello della Regione Emilia-Romagna alla cancellazione immediata di questa assurda legge e proprio per questo motivo fatichiamo a comprendere come questa Regione abbia potuto attuare tale provvedimento senza attendere il Tar del Lazio, quando sul suo territorio vivono centinaia di imprese dei dispositivi medici che rappresentano un indotto fondamentale che genera benessere economico per il territorio. Continueremo a batterci in tutte le sedi opportune per tutelare il settore e garantire cure di qualità ai cittadini”.

In gioco c’è il futuro di un comparto che genera un mercato da 18,3 miliardi di euro tra export e mercato interno e conta 4.641 aziende, che danno lavoro a 117.607 dipendenti.

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