Nuovo Codice della Strada: per la Cassazione è “tutto da rifare”

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Una recente decisione della Corte di Cassazione, la numero 2020/2025, ha sollevato rilevanti perplessità sul Nuovo Codice della Strada, mettendone in evidenza le fragilità normative. Il caso esaminato riguarda un automobilista che ha impugnato una condanna per guida in stato di alterazione psicofisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti, contestando la fondatezza delle prove a suo […]
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Una recente decisione della Corte di Cassazione, la numero 2020/2025, ha sollevato rilevanti perplessità sul Nuovo Codice della Strada, mettendone in evidenza le fragilità normative.

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Il caso esaminato riguarda un automobilista che ha impugnato una condanna per guida in stato di alterazione psicofisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti, contestando la fondatezza delle prove a suo carico.

Nel mirino è finito ancora una volta il famoso articolo 187, già tacciato di incostituzionalità da molti politici, esperti e giuristi, e che crea evidenti contraddizioni nell’equiparare sostanze stupefacenti e farmaci da banco che, allo stato attuale, diventerebbero per così dire “proibiti”.

Ma scopriamo meglio qual è stato lo svolgimento del processo e quali sono state le conclusioni dei giudici.

Il caso e le ipotesi “contraddittorie”

Il ricorrente ha sostenuto che i giudici di merito avrebbero interpretato erroneamente gli elementi probatori, in particolare i test tossicologici, che attestavano un’assunzione pregressa di droghe, senza però dimostrare lo stato di alterazione al momento della guida. Inoltre, la difesa ha messo in discussione l’attendibilità delle annotazioni dei carabinieri, ritenendole inadeguate a comprovare l’effettivo stato psicofisico del conducente.

Un ulteriore punto critico individuato dal ricorrente riguarda la contraddizione insita nella motivazione della sentenza: se da un lato si affermava la sussistenza dello stato di alterazione, dall’altro si attribuiva la mancata obbedienza all’alt delle forze dell’ordine alla consapevolezza della pregressa assunzione di sostanze, anziché a un’incapacità di controllo dovuta alla loro influenza.

Il principio stabilito dalla Cassazione

Esaminando il ricorso, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio chiave in materia di guida sotto effetto di droghe: a rilevare non è la semplice assunzione di sostanze stupefacenti, bensì l’effettivo stato di alterazione psicofisica che ne deriva. Secondo la giurisprudenza consolidata, perché vi sia responsabilità penale, non basta dimostrare la presenza di tracce di droga nell’organismo, ma occorre accertare che tali sostanze abbiano effettivamente compromesso le capacità di guida del soggetto.

In particolare, la Corte ha sottolineato che lo stato di alterazione deve essere dimostrato attraverso elementi concreti che evidenzino una ridotta prontezza di riflessi e un deficit di attenzione, oltre che tramite esami tossicologici che certifichino l’assunzione recente di sostanze psicotrope. Tale valutazione deve essere supportata non solo da test biologici, ma anche da riscontri oggettivi sul comportamento del conducente al momento del controllo. Questo significa che non è sufficiente il riscontro di metaboliti nel sangue o nelle urine, ma è necessaria una dimostrazione concreta della compromissione delle capacità cognitive e motorie.

L’aggravante in caso di incidente stradale

Un aspetto particolarmente significativo della sentenza riguarda l’interpretazione dell’aggravante prevista dall’articolo 187 del Codice della Strada, che prevede pene più severe per chi, in stato di alterazione da droghe, provochi un incidente. La Cassazione ha precisato che, per applicare questa circostanza aggravante, non è sufficiente il mero coinvolgimento in un sinistro, ma occorre dimostrare che la condotta del conducente abbia effettivamente contribuito a causarlo.

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La giurisprudenza ha chiarito che il termine “provocare” implica un nesso diretto tra l’incidente e la condizione del guidatore, che deve aver inciso in modo determinante sulla dinamica dell’evento. Tuttavia, non è necessario provare un rapporto di causa-effetto stretto tra l’assunzione della sostanza e il sinistro: è sufficiente che lo stato alterato abbia ridotto la capacità di evitare il pericolo. In altre parole, il conducente deve aver adottato una condotta negligente o imprudente che, a causa della sua alterazione psicofisica, abbia aumentato il rischio di incidente.

Questo criterio interpretativo ha lo scopo di evitare che la sola presenza di droga nell’organismo venga automaticamente considerata come causa dell’incidente, senza un’adeguata verifica delle reali condizioni psico-fisiche del guidatore al momento del fatto.

Le implicazioni della decisione

Questa pronuncia della Cassazione solleva interrogativi sull’efficacia delle norme attuali e sulle difficoltà di accertamento in casi di guida sotto effetto di droghe. Da un lato, il rigore richiesto nell’acquisizione delle prove mira a evitare condanne basate su presunzioni; dall’altro, si evidenzia la complessità di dimostrare lo stato di alterazione in assenza di indicatori univoci.

Il dibattito su eventuali correttivi normativi resta aperto, con la necessità di bilanciare la tutela della sicurezza stradale con il diritto alla difesa degli imputati, evitando interpretazioni ambigue della legge.

Il testo della sentenza della Cassazione che boccia il nuovo Codice della Strada

Qui il documento completo.

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