a Varese parte il processo con 40 imputati

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Le condizioni di lavoro nei cantieri dei subappalti per le ferrovie – parte lesa di questa storia – con un’inchiesta delle direzione distrettuale antimafia di Milano che nel 2022 portò in carcere 15 persone e ne indagò più del doppio con accuse pesanti: “416 bis primo comma” dunque associazione a delinquere con la finalità di “agevolare“ associazioni mafiose, riciclaggio e reati fiscali pesanti che già allora causarono il sequestro per equivalente di oltre 6,5 milioni di euro di beni.

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SOLDI E MAFIA
L’intreccio fra imprese e criminalità organizzata che secondo l’accusa di sublimava in lavori realizzati da società conniventi è il cuore del processo che vede oggi a Varese quaranta imputati (sono per la maggiore persone fisiche rispondenti a nomi e cognomi per condotte personali, ma vi sono anche amministratori di società chiamate a rispondere per la responsabilità d’impresa) difesi da altrettanti legali che hanno sottoposto il collegio presieduto dal giudice Andrea Crema ad un importante fuoco di fila di eccezioni preliminari sulla competenza territoriale del tribunale (richiesta quella del tribunale di Catanzaro), così da assicurare il diritto costituzionalmente garantito del “giudice naturale“ per ciascun imputato. E dunque un’udienza apertasi prima delle 10 ha monopolizzato i tempi fino quasi a sfiorare le 13, con la corte che si è riservata di decidere e ha fissato una prima data per marzo, quando si saprà se il processo potrà venir celebrato a Varese. (nella foto: nessun posto libero in aula: quasi 40 legali presenti)

L’INCHIESTA
La provincia prealpina come si diceva era arrivata alla ribalta delle cronache quando tre anni fa, l’11 di febbraio veniva data la notizia dei blitz della Guardia di Finanza di Varese con in appoggio il “Gi.co“ (Gruppi d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata) della guardia di Finanza di Milano: le fiamme gialle avevano dato esecuzione a 15 misure cautelari in carcere con le pesanti accuse; le manette scattarono a che a Gemonio, a Besozzo e in altri Comuni del Varesotto dove abitavano alcuni degli indagati. Le indagini di polizia giudiziaria avevano permesso di ricostruire una rete di società fittiziamente intestate a prestanomi, i quali sono risultati fiduciari dei principali indagati, destinatari del provvedimento restrittivo; tutti soggetti in rapporto di contiguità-parentela con la famiglia ‘ndranghetista Arena-Nicoscia. Un fatto che, portato allo scoperto (anche se per ora non vi sono condanne passate in giudicato e tutti gli imputati vanno considerati innocenti fino a prova contraria) modificò la geografia criminale della provincia di Varese.

I PRIMI PROCESSI
Un primo filone processuale si sta celebrando a Milano e riguarda gli imputati sottoposti alle misure cautelari personali, quindi le posizioni più esposte: dopo una serie di decisioni con riti alternativi e assoluzioni, l’impugnazione in Cassazione da parte della Procura generale (i pm dell’appello), la suprema corte ha annullato con rinvio al giudice di secondo grado di Milano.

A VARESE
Il processo a Varese riguarda alcune delle posizioni residuali del principale troncone milanese e vede 40 imputati, alcuni dei quali “per aver preso parte, con numerosi altri soggetti, con i ruoli e le funzioni di seguito specificati, ad una associazione per delinquere, operante tra Varese e Milano e zone limitrofe nonché sull’intero territorio nazionale avente solidi e perduranti legami con l’organizzazione criminale avente struttura unitaria denominata ‘ndrangheta, nella sua articolazione di Nicoscia cosca dapprima organica poi contrapposta (dal 2004) e dal 2010 rappacificarsi, con quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto“. Una associazione che – continua il capo d’importazione – “fonda il proprio acquisito ed incontrastato po economico e quindi la sua unità e tenuta, su solide e “storiche” alleanze fra gruppi imprenditoriali gli uni che, da un lato, si gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana direttamente da R.F.I. spa,“, e gli altri con “distacco della manodopera e nolo ‘ a freddo’ dei mezzi”. Lavori che riguardavano manutenzione ed armamento della rete ferroviaria che serve svariate regioni, tra cui Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia, come contestato dagli investigatori.

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I “COMPARI“ E IL METODO MAFIOSO
L’organizzazione criminale garantiva il sostegno economico ai detenuti e alle loro famiglie, talvolta simulando assunzioni per ottenere sconti di pena. La Guardia di Finanza di Varese ha smascherato un sistema basato su imprese create e poi fatte fallire per lucrare sui crediti fiscali. Dalle intercettazioni emerge il controllo mafioso sui cantieri: in un caso, un’estorsione subita da un’azienda legata alla cosca ha scatenato una violenta reazione. Un affiliato ha minacciato il responsabile con toni brutali, ribadendo il potere delle famiglie mafiose sul territorio e la loro determinazione a non subire ricatti.
Prossima udienza, il 21 febbraio a Varese in aula bunker.






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