Atto di precetto alla Casa di cura per la morte di un paziente: il conto supera i due milioni di euro

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Oristano

Dopo la sentenza  della scorsa primavera

Un atto di precetto è stato  notificato alla Casa di Cura Madonna del Rimedio di Oristano, relativamente al risarcimento  per la morte Massimo Cenedese, originario di Arborea, avvenuta il 4 febbraio del 2015 all’ospedale di Sassari, successivamente a un intervento chirurgico alla cistifellea eseguito alcuni giorni prima nella stessa Casa di cura. Lo hanno reso noto i legali dei familiari della vittima, gli avvocati Valerio Martis ed Ezio Ullasci.

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“Ad oggi i nostri assistiti non hanno ricevuto il risarcimento danni – sostengono –  nonostante un provvedimento favorevole del mese di maggio 2024”.

“I precetti notificati hanno a oggi un valore complessivo di 2.201.730,46  e sono comprensivi del capitale, degli interessi e delle spese legali”, hanno  evidenziato i due legali  secondo i quali  “risulta oramai irrinunciabile l’azione esecutiva, atteso il decorso di ben 10 anni dalla morte del povero Massimo Cenedese”.

Era stato il giudice Giorgio Latti, della seconda sezione civile del tribunale di Cagliari, a stilare le dieci  pagine che appunto la primavera scorsa riassumevano i conti della sentenza di condanna relativa alla morte di Cenedese.

Tra i condannati proprio il rappresentante legale pro tempore della clinica cittadina e i medici Angelino Gadeddu e Monica Perra, dell’equipe che eseguì l’intervento, tutti chiamati in causa dai familiari di Cenedese,  deceduto all’età di 43 anni: moglie, figli, genitori e fratelli, assistititi appunto dai legali Valerio Martis, del Foro di Oristano, e Antonio Nicolini ed Ezio Ullasci del Foro di Cagliari.

La vicenda

Massimo Cenedese, secondo quanto ricostruito dai periti d’ufficio Michele Pintus e Francesco Atzei, il 29 gennaio del 2015, un giovedì, viene sottoposto a un intervento chirurgico nella Casa di cura Madonna del Rimedio, a Oristano,  dov’era stato ricoverato per l’asportazione in laparoscopia di un polipo alla cistifellea del diametro di 5 millimetri. La notte del 30 gennaio comincia a lamentare dolori alla spalla destra ed è agitato. Il giorno dopo, il 31 gennaio il dolore perlopiù resta e c’è anche la febbre. I medici del reparto seguono e dispongono la somministrazione di farmaci,  anche su consiglio telefonico del primario, Angelino Gadeddu.

Si arriva al lunedì successivo, il 2 febbraio. Il primario in reparto dispone controlli radiografici e si sospetta la presenza di una perforazione intestinale. C’è da tornare in sala operatoria. Gadeddu provvede per il trasferimento di Massimo Cenedese alla Clinica universitaria di Sassari. Il paziente viene caricato in ambulanza e parte. Con lui un medico assistente. Ma lungo la Statale 131 c’è la neve. Ci vogliono alcune  ore per raggiungere la Clinica universitaria di Sassari dove, all’arrivo, Massimo Cenedese entra subito in sala operatoria per un intervento d’urgenza.

“Si rileva un quadro da peritonite stercoracea diffusa e una piccola perforazione del colon trasverso in prossimità della flessura colica destra”, scrive il giudice. “Causa le gravissime condizioni il paziente viene poi trasferito presso l’Unità di Terapia Intensiva con diagnosi di “shock settico grave” e dopo due giorni va incontro all’exitus in costanza di ricovero”. Cenedese muore e la sua drammatica vicenda apre questa triste pagina giudiziaria che dura da anni, tra processi penali e civili. Medici che si rimpallano le responsabilità, col primario Gadeddu che ricorda i suoi 2000 interventi chirurgici effettuati in carriera. Compagnie assicurative che vengono chiamate in causa, ma che, dove possibile,  cercano di chiamarsi fuori.

Poi la nuova sentenza civile. Il giudice Giorgio Latti, sulla scorta delle  risultanze delle perizie d’ufficio,  annota alcune severe osservazioni. La prima: “Non vi era l’indicazione assoluta all’effettuazione dell’intervento di colecistectomia, e ci sono significativi dubbi sulla sua indicazione relativa, cosicché alla patologia sofferta dal paziente è stata data una soluzione eccessiva e sproporzionata”. La seconda: “Anche una semplice ecografia eseguita precocemente in seconda o in terza giornata post-operatoria avrebbe permesso, con tutta probabilità, di porre in anticipo la corretta diagnosi di perforazione e quindi poter immediatamente procedere alla terapia”. La terza: “Non appare possa essere censurata la condotta degli infermieri, che redigendo un diario clinico infermieristico, peraltro decisamente più dettagliato di quello medico, hanno costantemente avvisato sia il medico di guardia che il direttore del reparto sulle condizioni del paziente”.

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Venerdì, 31 gennaio 2025

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