Banche, quanto vale il terzo polo della finanza italiana Siena-Milano-Trieste

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di
Stefano Righi

Nell’ultimo anno le quotazioni di Borsa di Mediobanca sono aumentate del 27 per cento, quelle di Mps del 106 per cento. Cosa cambia con l’Ops

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All’inizio c’erano tre proposte a disegnare il futuro possibile del Monte dei Paschi di Siena: continuare da soli, cercare un partner industriale, rovesciare gli equilibri sorprendendo tutti. Da venerdì scorso se ne è concretizzata una, la più straordinaria e sorprendente: prendere Mediobanca! La mossa del cavallo per rompere l’impasse.
Era venerdì 16 dicembre 2022, a Roma, quando l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio, andò ad incontrare il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti. In questa ricostruzione è importante inquadrare il momento storico: nel consiglio di Mps non c’erano allora né Delfin né Caltagirone. Lovaglio era arrivato a Siena il 7 febbraio di quell’anno, forte di un’esperienza internazionale maturata in Unicredit e dell’operazione Creval, ma erano in pochi a dargli credito al momento dell’arrivo. Troppe ne aveva passate il Monte perché questa fosse la volta buona. Invece, solo sedici giorni prima di incontrare Giorgetti, Lovaglio con la collaborazione fondamentale dell’allora direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, aveva chiuso un aumento di capitale da 2,5 miliardi che pochi credevano possibile, senza far ricorso al consorzio di garanzia e di fatto regalando un futuro al Monte dei Paschi, la più antica banca al mondo. Giorgetti, che quel giorno festeggiava il 56esimo compleanno, da meno di due mesi era il nuovo ministro dell’Economia, in forza dei risultati elettorali del 25 settembre, che diedero vita al governo Meloni. L’esecutivo, in quel momento, controllava una quota superiore al 64 per cento di Mps. Tra azionista e capo azienda il rapporto era fresco, mentre la partita Montepaschi era caldissima.

Futuro

Lovaglio aprì il dossier sul futuro possibile della banca che aveva appena iniziato a guidare. E snocciolò tre ipotesi, di scuola. La prima prevedeva una prospettiva stand alone per il Monte; la seconda un merger of equal, ovvero un’operazione alla pari (o quasi) con un partner industriale, nella fattispecie Banco Bpm o Bper; la terza era un’operazione di natura transformational, trasformativa della secolare realtà del gruppo bancario senese.
Dopo due anni di incertezze, caratterizzati dalla discesa della quota pubblica nel capitale di Mps fino all’11 per cento, venerdì scorso Lovaglio, con la benedizione del suo primo azionista, ha abbracciato l’ipotesi del transformational deal, lanciando un’offerta di puro scambio sulla totalità delle azioni Mediobanca. L’operazione è stata votata all’unanimità dal consiglio della banca senese riunitosi fino a tarda ora giovedì 23 e illustrata la mattina successiva.
«Ci vuole una certa dose di coraggio», ha detto Lovaglio spiegando agli analisti finanziari la ratio di un’operazione che avrà costi sociali trascurabili e che mette assieme mestieri diversi nel mondo della finanza: la banca commerciale, l’investment banking, il private, il credito al consumo, il wealth management e che indubbiamente guarda in prospettiva a Trieste, alle Generali, di cui Mediobanca è primo azionista, ma nel cui capitale sono da molto tempo presenti sia Francesco Gaetano Caltagirone, sia Delfin, ovvero gli eredi di Leonardo Del Vecchio, entrambi presenti sia nel capitale di Mediobanca che in quello di Mps. È facile individuare un filo rosso che da Siena può arrivare fino a Trieste passando per Milano. Come balza agli occhi la presenza di Delfin e Caltagirone, importanti investitori privati con ramificati interessi che dall’industria arrivano all’immobiliare, in alcune delle grandi società finanziarie italiane, tre di queste interessate dall’operazione. Il tema è delicato e non va trascurato a nessun livello. Ma ugualmente non si può non notare la prospettiva di un progetto che Lovaglio cerca di far nascere con il fine chiaro di creare il terzo polo finanziario italiano, grazie alle masse di risparmi che le Generali, oggi guidate da Philippe Donnet, potrebbero conferire al progetto.




















































Complementarietà

Soprattutto, è una operazione di evidente complementarietà tra le parti, che in un momento di tassi al ribasso e di una marcata tendenza al consolidamento del settore si inserisce perfettamente, anche considerando il valore nascosto delle Dta, i crediti di imposta che sfiorano i 3 miliardi di euro e che potrebbero essere spalmati sui prossimi sei esercizi.
Il Monte dei Paschi oggi ricorda il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas. Dopo essere finito ingiustamente in galera per 14 anni, il Conte sfruttò i consigli e il tesoro dell’abate Faria per ricostruirsi un’identità e tornare a regolare i conti con quanti l’avevano tradito. Quattordici anni fa Mps era alle prese con un altro aumento di capitale, da 2,12 miliardi di euro, che si sarebbe rivelato inadeguato a supplire le molte mancanze che stavano solo inizialmente emergendo dai bilanci sociali. Ma oggi, come il Conte, Mps rivendica un ruolo nuovo e ambisce a una posizione diversa nella geografia della finanza italiana. Una posizione fortemente tricolore nell’azionariato, con una marcata proiezione internazionale se il mosaico andasse a completarsi con Generali.

Timing

Il timing non è secondario. Spesso in finanza è tutto. E il 2025 appena iniziato promette di essere dirompente. Molto più del già agitato 2024. Non fosse altro perché la più grande banca italiana, Intesa Sanpaolo, non rimarrà a lungo al palo: a primavera, rinnovato il board per il prossimo triennio, Ca’ de Sass con ogni probabilità si farà sentire sui mercati. Molto prima, fra quattro giorni, le Generali presenteranno il nuovo piano industriale: impossibile che Donnet, impegnato nella grande operazione Natixis, non tenga conto delle evidenti implicazioni che per il suo gruppo potrebbero derivare dall’ops lanciata dal Monte. La prima risposta di Mediobanca è parsa di marcata ostilità. Ma superato lo choc dell’inattaccabilità forse potrebbero emergere convenienze comuni. I due gruppi sono sani, complementari, producono reddito, distribuiscono dividendi. Un ruolo decisivo nella partita dello scambio sarà giocato dai fondi: da che parte staranno gli investitori istituzionali? Mediobanca colloca prodotti di risparmio gestito a 700 mila clienti, ma sono più di 3 milioni i correntisti del Monte. Entrambi i marchi sono ben noti sulla piazza finanziaria: per la storia di Mediobanca e per il percorso di Lovaglio, che ebbe gli investitori istituzionali dalla sua parte quando riuscì a far pagare un miliardo di euro per il Credito Valtellinese. Nell’ultimo anno le quotazioni di Borsa di Mediobanca sono aumentate del 27 per cento, quelle di Mps del 106 per cento. Partivano da posizioni diverse, è chiaro, ma nella valutazione delle performance dei due gruppi non va neppure scordato l’importante contributo agli utili che Mediobanca ricava dalla partecipazione in Generali. Quella che era la foresta pietrificata si sta trasformando in un giardino tropicale, dove ogni giorno spuntano piante nuove. Non tutte arriveranno a fiorire. Ma chi parte da solide radici sembra avere maggiori possibilità di farcela.

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