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“Il declino dei consumi di gas in Italia solleva interrogativi sul continuo investimento in questo combustibile”. I dubbi sollevati da Ana Maria Jaller-Makarewicz, analista energetica per  IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), hanno fatto molto rumore negli scorsi giorni per una serie di motivi. Innanzitutto perché arrivano da uno dei più accreditati centri studi a livello mondiale. Inoltre perché il report (che si può consultare qui) si basa unicamente su dati ufficiali che sono incontrovertibili. E infine perché l’allarme arriva dagli Stati Uniti, vale a dire il Paese che più ha guadagnato dalla scelta dell’Unione Europea, risalente ormai a tre anni fa, di sostituire il gas russo con il GNL (Gas Naturale Liquefatto).

Ce ne sarebbe già abbastanza per avviare un serio dibattito. Anche perché in realtà il report di IEEFA non dice in realtà nulla di nuovo rispetto a ciò che da tre anni sostiene anche EconomiaCircolare.com: la transizione energetica non può basarsi ancora su infrastrutture fossili che sono ancora da costruire e che hanno tempi di ritorno lunghi decenni, perché il collasso climatico è qui e ora. Ancora una volta la realtà corre più veloce della politica.

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Gas in calo e guadagni Snam in aumento

Una conferma di ciò arriva proprio dall’Italia. Mentre il governo Meloni è impegnato nella realizzazione di nuove ed enormi infrastrutture del gas – dal gasdotto Linea Adriatica alla nave rigassificatrice di Ravenna – i dati sottolineati da IEEFA indicano che i consumi di gas in realtà stanno diminuendo. E non da ora. “I livelli di domanda nazionali per il gas sono diminuiti del 19% dal 2021 al 2024 – scrive l’analista Ana Maria Jaller-Makarewicz – Nonostante questa contrazione, i piani per le infrastrutture destinate al gas naturale liquefatto potrebbero triplicare la capacità di rigassificazione dell’Italia, portandola da 16,1 miliardi di metri cubi nel 2022 a 47,5 miliardi di metri cubi nel 2026”.

Nella sua analisi IEEFA ricorda che “Snam Rete Gas, parte del Gruppo Snam, è un operatore chiave nel mercato italiano del gas”. La società gestisce in Italia una rete di metanodotti lunga oltre 32.000 km e rifornisce circa il 95% del mercato interno. “La maggior parte dei ricavi di Snam sono regolati – fa notare Ana Maria Jaller-Makarewicz  – per assicurare che i servizi siano resi a terzi a parità di condizioni. Tale regolazione potrebbe spingere le aziende a incrementare inutilmente gli investimenti (…) A dispetto di questo cambiamento, gli investimenti e i ricavi regolati di Snam sono cresciuti. Nel 1º semestre 2024 i ricavi regolati sono aumentati del 20,1% anno su anno, soprattutto per via del costo medio ponderato del capitale più elevato e della crescita del capitale investito netto nei segmenti trasporto e stoccaggio del gas”.

Accade così che a fronte di un minor consumo di gas l’azienda che si occupa della sua gestione in Italia continua a guadagnare cifre enormi e spropositate

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Il ruolo di Eni nelle forniture di gas

Oltre alla gestione del gas – dal trasporto allo stoccaggio fino distribuzione – il gas deve comunque arrivare in Italia. E a quello pensa da tempo immemore l’altro colosso energetico italiano, cioè Eni. Che, ancor più di Snam, ha visto incrementare i propri guadagni nel lasso di tempo in cui i consumi si sono ridotti: negli ultimi 4 anni Eni ha conseguito un utile operativo di circa 50 miliardi di euro (quasi il doppio della recente legge di bilancio del governo). Nonostante gli appelli della comunità scientifica e delle ong ambientali il cane a sei zampe continua a mantenere il proprio core business sulle fonti fossili, e prevede anzi di aumentare le estrazioni di petrolio e gas nei prossimi anni, come riportato nel Piano strategico 2024-2027. 

Se è vero che lo scorso agosto Eni ha avviato al largo delle coste di Gela, in Sicilia, la produzione di Argo-Cassiopea – il più grande giacimento di gas esistente in Italia – è altrettanto innegabile che gli interessi a sei zampe sono altrove: dalla Libia all’Algeria, dal Mozambico al Congo alla Nigeria. Non sorprende dunque la contestazione di Greenpeace Italia all’amministratore delegato Claudio Descalzi, avvenuta ieri a Milano in un dibattito al festival “La Ripartenza”, con Eni accusata di essere “green solo a parole”. Verrebbe da dire neanche quelle, ormai, dato che la multinazionale italiana, come già stanno facendo da tempo le altre big del settore, continua a insistere sulle “proprie” soluzioni: che siano i biocarburanti per i trasporti, la ccs per lo stoccaggio dell’anidride carbonica o il “mito” della fusione nucleare, si conferma un modello energetico estrattivista e dall’alto verso il basso. Tutto il contrario di ciò che auspica l’economia circolare.

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Ancora una volta Clean the Cop

Alla scorsa Cop29, che si è tenuta a novembrein Azerbaijan, il nostro magazine – insieme all’associazione A Sud e alla fondazione Openpolis – ha lanciato la campagna “Clean the Cop! – Fuori i grandi inquinatori dalle Cop sul clima”, che denunciava l’influenza dei lobbisti dell’Oil&gas nell’ambito delle negoziazioni internazionali e chiedeva al governo di non facilitare la loro presenza alle conferenze ONU sul clima. Nel frattempo la campagna, che è stata portata alla Camera dei deputati, ha ricevuto parecchie adesioni – anche da parte parlamentare – ma nessuna risposta dal governo.

gas 2

Al contrario, il protagonisto di Eni e Snam è aumentato anche dal punto di vista mediatico, come si può notare dalle frequenti interviste dell’ad di Snam Stefano Venier o dalla sovrasposizione del cane a sei zampe nei prossimi giorni, per via della sponsorizzazione del festival di Sanremo, l

Leggi anche: lo Speciale sulla Cop29

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