Vita e lavoro in pienezza dopo i 50 anni

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Altro che declino: i secondi 50 anni della vita sono un periodo da rivalutare, oggi più che mai. Sfide, opportunità e mindset: ne parliamo con Odile Robotti, autrice del libro I migliori cinquant’anniRiscoprirsi e reinventarsi nella seconda metà della vita (Mind Edizioni). Le abbiamo posto alcune domande.

Perché i secondi 50 anni, che tanti oggi vivono a lungo, sono ancora troppo poco considerati?

«C’è stata una discontinuità col passato che non abbiamo ancora pienamente interiorizzata. Dal 1950 ad oggi, sono stati acquistati mediamente 15 anni di vita, la maggior parte dei quali in buona salute. I piccoli acciacchi non contano. Questi anni, anziché aggiungersi alla fine della vita, come una vecchiaia prolungata, si sono aggiunti… in mezzo. Si è creato un nuovo stadio di vita, potremmo chiamarlo età adulta-matura o super-adulta, un termine coniato dal sociologo Morace, che si è inserito dopo l’età adulta e prima della vecchiaia. Ecco dove sta il problema: molti di noi hanno in mente una vita, quella che hanno visto vivere dai genitori e dai nonni, in cui questo stadio non c’era e, dopo l’età adulta c’era subito la vecchiaia. La vita, una volta, aveva la forma della parabola e i 50 anni erano considerati, simbolicamente, il punto di flesso. Ora non è più così, ma le concezioni con cui si è cresciuti sono dure a morire».

Possono e devono essere vissuti in modo pro attivo e non come declino? Perché?

«Consiglio di viverli con pienezza perché sono anni buoni, anzi ottimi, per la maggior parte delle persone. Sono anni ricchi di potenzialità perché la maturità e l’esperienza portano autoconsapevolezza. Allo stesso tempo, ci sono ancora tante energie. Infine, per molti, l’ansia da prestazione legata alla carriera e gli impegni di cura verso i figli diminuiscono, anche se, è vero, per chi ha la fortuna di averli ancora, spesso si aggiungono i compiti di cura per i genitori. Insomma, i secondi cinquant’anni possono essere un momento ideale per intraprendere progetti».

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Cosa ostacola questa visione dell’altra metà della vita a livello personale e sociale?

«A livello personale, tendiamo inconsciamente a immaginare la nostra vecchiaia come quella delle persone più vicine a noi che abbiamo visto invecchiare: genitori e nonni. Ma, come dicevo, loro non hanno beneficiato dello stadio di vita in più creato dalla longevità. Allo stesso modo, a livello sociale, il costrutto dell’invecchiamento non si è adeguato all’allungamento della vita e ai nuovi stili di invecchiamento. In altre parole: le persone ora invecchiano in modo molto diverso da prima, ma continuiamo a pensare all’invecchiamento più o meno allo stesso modo di varie decadi fa».

Per vivere pienamente, forse come serve un progetto per i primi 50 anni, dobbiamo metterne in campo uno e diverso anche per i secondi?

«Non necessariamente diverso, anche se nella mia esperienza di coach credo che partire da “un foglio bianco” nella scelta del progetto per i secondi cinquanta, anziché farsi condizionare dai progetti dei primi cinquanta, sia meglio per due ragioni. Anzitutto, la vita ci plasma e ci fa evolvere e anche il mondo intorno a noi cambia: non è quindi detto che una buona scelta di progetto duri tutta la vita. L’altra ragione è che diffido un po’ della continuità scelta per pigrizia. Se invece, alla fine del processo di riscoperta, si riconferma il progetto dei primi cinquanta con convinzione, allora è un altro discorso. In ogni caso, un “tagliando” della propria vita affrontato a mente aperta è utile».

Cosa dobbiamo fare nei primi 50, per preparaci a gestire al meglio i secondi?

«Il mio libro ha come sottotitolo: “Riscoprirsi e reinventarsi nella seconda metà della vita”: questa è la risposta».

Quanto impattano salute, soldi ecc. e quanto non avere consapevolezza di avere davanti un’altra vita che merita la stessa considerazione della prima?

«Salute e censo contano e sono anche fortemente correlati: chi ha migliori possibilità economiche ha accesso a cure migliori e vive, mediamente, parecchio più a lungo. Però, pur con la miglior salute e condizioni economiche, se non si cambia mentalità non si vive pienamente la seconda metà della vita. Allo stesso modo, anche in presenza di limitazioni dovute alla salute, vediamo che chi sceglie di non farsi troppo limitare da esse vive meglio e più pienamente. Ovvio, le disponibilità economiche aiutano anche in questo».

I 3 must per riscoprirsi e reinventarsi dopo i primi 50 anni?

«Innanzitutto, avere un’idea potenziante dell’invecchiamento, cioè evitare di pensare all’invecchiamento come a una sottrazione: gli anni che trascorrono tolgono alcune potenzialità, ma ne aggiungono altre. A conti fatti, magari è più quello che si aggiunge. Poi, seguire un metodo per riscoprirsi: è un esercizio in cui è facile perdersi, distrarsi, cadere nel pensiero convenzionale. Occorre ripartire da sé stessi, cioè riscoprirsi, per poi riuscire a scegliere uno o più progetti che ci motivano e danno senso alla nostra vita. È quello che aiuto le persone a fare nel mio libro perché so che non è così facile: nessuno della precedente generazione ce lo ha insegnato. Infine, avere coraggio, infatti reiventarsi senza costrizioni e senza seguire modelli di altri ne richiede parecchio».

Quanto è importante e che ruolo gioca il lavoro per realizzarsi in questi secondi 50 anni?

«Varia da individuo a individuo. Anche se noi Babyboomer siamo, in generale, una generazione lavorista, che ha fatto del lavoro quasi una religione, non siamo tutti così. Per qualcuno continuare a lavorare, magari riducendo l’impegno, è fondamentale. Altri preferiscono dedicarsi a progetti diversi. Certo è che, quando si va in pensione, se non si hanno progetti, si rischia una specie di tracollo. Anche chi non vedeva l’ora di smettere accusa il colpo. Questo di solito avviene perché, amato o odiato, il lavoro ci ha riempito la vita e creato connessioni. Se non viene sostituito con un altro progetto, il rischio è di spegnersi intellettualmente ed emotivamente. L’errore che, a mio parere, molti commettono (soprattutto i noi Babyboomer che spesso abbiamo trascurato un po’ la famiglia negli anni di carriera) è di pensare che l’impegno nel lavoro possa essere sostituito con l’impegno nella famiglia, per esempio occupandosi dei nipoti. Ma danno gratificazioni diverse, l’uno è un sostituto imperfetto dell’altro».

Quale il purpose per fare di questi altri 50 qualcosa di indimenticabile?

«Il punto è che ognuno deve scegliere il proprio scopo per i secondi cinquanta. Siamo tutti diversi e quello che accende me può lasciare indifferente o far sorridere qualcun altro. Se riusciamo a scoprire quello che ci dà motivazione e energia, tutto diventa indimenticabile e molto gratificante».

Come rendere sostenibile la longevità?

«Per renderla sostenibile, occorre facilitare, stimolare e incoraggiare la partecipazione degli adulti maturi nella società. Attualmente è come se venisse chiesto alle persone di farsi da parte (in tutte le lingue pensione ha connotazione di ritirata o di prenditori netti della società). La partecipazione per qualcuno potrà voler dire fare volontariato e aiutare la comunità in vario modo, per altri vorrà dire lavorare, per altri ancora formarsi per poter svolgere un lavoro diverso dal precedente. Purché si contribuisca alla società, va bene tutto. Concludo dicendo che, per la sostenibilità dell’invecchiamento, ha un ruolo importante la generazione Babyboomer che, per prima, beneficia pienamente della longevità. Sta a noi reinventare l’invecchiamento, dandovi un significato nuovo, più potenziante e connesso alla società».

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La presentazione del libro I migliori cinquant’anni di Odile Robotti si terrà presso la Casa della Cultura di Milano martedì 11 febbraio alle 21. Interverranno, oltre all’autrice, Enrico Pedretti, Marketing & Communications Director Manageritalia, e Maurizio De Palma, Ceo di Cocooners.

Odile Robotti
Odile Robotti



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