C’era una volta la teoria della transizione democratica. Era lineare, sequenziale e quasi deterministica. Valeva per tutti e per tutti il finale sarebbe stato a lieto fine, anzi: la “fine della Storia” come recitava un celeberrimo articolo (poi tramutato in libro) di Francis Fukuyama, pubblicato beato lui un paio di mesi prima la caduta del muro di Berlino: la democrazia come “punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità”.
Regressione democratica
A distanza di 35 anni, è sotto gli occhi di tutti che siamo in una fase di regressione democratica: elezioni falsate, tribunali politicizzati, esecutivi che governano per decreti, e quali decreti. La vera domanda è cosa è successo e perché. La teoria di Fukuyama presupponeva una sequenza di circostanze e fattori applicabili universalmente: elezioni libere, divisione dei poteri tipica del liberalismo costituzionale, indipendenza del potere giudiziario, autonomia della burocrazia, l’esistenza di una classe media che avrebbe creato l’humus per la società civile.
Questa sequenza avrebbe creato i presupposti per una transizione a senso unico da autocrazia a democrazia. A partire grossomodo dalla guerra in Iraq, per proseguire con le primavere arabe e poi con alcune crepe in Europa centrale, è diventato palese che la transizione in realtà era una strada a doppio senso. Tutti i paesi del mondo possono cimentarsi in questo tragitto, ma ad un certo punto arrivano dei posti di blocco, che richiedono controlli, fermano la corsa e spesso forzano ad un’invenzione ad U.
Il blocco
Molti, troppi paesi sono rimasti bloccati a metà strada, appiedati in una terra di nessuno che non è né democrazia né autocrazia. Il risultato? Democrature, democrazie ibride, illiberali o “sovrane” come la chiamava il Putin di prima maniera. E i posti di blocco, ci si chiederà? Per esempio il fatto che questi fattori non li puoi importare da fuori, come pretendevano gli Stati Uniti in Iraq, smantellando tutto l’apparato dello Stato sostituendolo con un altro nuovo di zecca. Poi c’è il terreno scivolosissimo delle precondizioni culturali: è possibile immaginare un potente movimento islamista in paesi quali Turchia e Tunisia diventare una specie di Democrazia cristiana, che prende valori religiosi per farne elementi costituenti di uno stato laico? La risposta, finora, è negativa.
“Democrazia sotto assedio”
Pochi giorni fa all’Istituto universitario europeo di Firenze è stata proiettata l’anteprima nazionale del documentario “Democrazia sotto assedio” sulla crisi della democrazia in America. Il documentario segue la vignettista premio Pulitzer Ann Telnaes, che si è licenziata qualche settimana fa dal Washington Post dopo che l’editore ha censurato una vignetta critica sul proprietario del giornale e patron di Amazon Jeff Bezos. La domanda terrificante che Telnaes pone agli spettatori è se siamo arrivati al punto dove in una delle culle della democrazia, quella americana cantata da Tocqueville, siamo ormai rassegnati alla regressione democratica.
La risposta sembra essere di sì. Per chi di noi sperava e spera nella resistenza degli anticorpi di una democrazia matura, il documentario illustra meticolosamente come e quanto questi siano stati sistematicamente smantellati nel corso degli ultimi anni. La Corte suprema è di fatto diventata un organo di parte. L’amministrazione Trump si è prefissata di svuotare lo stato profondo, ovvero quella burocrazia che per definizione deve essere autonoma dal potere politico.
L’America è sempre meno una democrazia liberale e si sta avviando a grandi passi verso quella che potremmo definire oligarchia maggioritaria, una contraddizione in termini dove i pochi e ricchissimi governano sostenuti da un mandato popolare che schiaccia le minoranze, anche se il mandato stesso è ottenuto con un sistema elettorale largamente distorto.
Qualunque cosa si possa dire e pensare dei malanni della democrazia in Italia ed Europa negli ultimi trent’anni, dai vari conflitti di interesse alla tecnocrazia di Bruxelles, dobbiamo ritenerci grati che i nostri anticorpi istituzionali e costituzionali abbiano finora retto e dobbiamo tenerceli stretti. Il monito di “Democrazia sotto assedio” è di non dare mai per scontati i valori e le conquiste acquisiti in nome della libertà.
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