Unicredit nel Leone e il sogno della grande banca del Nord

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Beato chi ci crede. Che sia solo un semplice investimento finanziario. Già, Unicredit che da mesi, grazie ai forzieri pieni di soldi per l’aumento dei tassi di interesse, ha abituato la finanza italiana ad autentici coup de théâtre, ha annunciato ufficialmente di aver creato una posizione pari al 4,1% in Generali. La nota ufficiale sa però solo di chiarimento di facciata, per celare intenzioni più bellicose e sopire critiche sul nascere. «UniCredit informa di detenere una partecipazione di circa il 4,1% nel capitale sociale di Generali, acquisita nel tempo sul mercato. La quota è un puro investimento finanziario della banca che supera in modo significativo le sue metriche di rendimento e ha un impatto trascurabile sul Cet1. Una quota addizionale pari a circa lo 0,6% è detenuta come sottostante dell’ordinaria attività per i clienti e relative coperture» spiega il comunicato. Puro investimento dunque. Ma a un attento esame con fini non solo reddituali. Innanzitutto perché non è escluso c

Beato chi ci crede. Che sia solo un semplice investimento finanziario. Già, Unicredit che da mesi, grazie ai forzieri pieni di soldi per l’aumento dei tassi di interesse, ha abituato la finanza italiana ad autentici coup de théâtre, ha annunciato ufficialmente di aver creato una posizione pari al 4,1% in Generali. La nota ufficiale sa però solo di chiarimento di facciata, per celare intenzioni più bellicose e sopire critiche sul nascere. «UniCredit informa di detenere una partecipazione di circa il 4,1% nel capitale sociale di Generali, acquisita nel tempo sul mercato. La quota è un puro investimento finanziario della banca che supera in modo significativo le sue metriche di rendimento e ha un impatto trascurabile sul Cet1. Una quota addizionale pari a circa lo 0,6% è detenuta come sottostante dell’ordinaria attività per i clienti e relative coperture» spiega il comunicato. Puro investimento dunque. Ma a un attento esame con fini non solo reddituali. Innanzitutto perché non è escluso che nelle mani di Orcel ci sia una quota più elevata costruita con l’utilizzo di derivati che coprirebbero anche eventuali oscillazioni sui titoli. In secondo luogo perché l’ad di Unicredit sta giocando una partita, non solo per ottenere un ritorno economico dai suoi investimenti, ma principalmente per sedersi con buone carte a uno dei tavoli sui quali si sta giocando da qualche mese il grande risiko della finanza italiana.

Con il pacchetto di azioni Generali in pancia, UniCredit entra infatti a gamba tesa nella partita che vede contrapposti Mediobanca, principale azionista della compagnia assicurativa con il 13%, e due investitori privati: Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio. Due attori che nonostante la montagna di soldi investita nella compagnia assicurativa hanno tentato, senza successo, di spodestare l’attuale governance guidata dall’ad Philippe Donnet, francese doc. Già nella precedente assemblea il costruttore romano insieme alla Delfin tentarono di esprimere il management del Leone di Trieste, senza ottenere molto, però, nonostante il peso delle loro azioni. Ora però le condizioni legislative e di ambiente per portare a casa il risultato ci sono. Ed è su questo assunto che si baserebbe, secondo quanto raccolto dagli analisti ascoltati da Il Tempo, l’acquisto annunciato da Orcel, che in testa ha la realizzazione di un obiettivo preciso: conquistare il primato in una delle regioni più ricche d’Europa, come la Lombardia, e per questa via la supremazia nell’intero Nord Italia.

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Come raggiungere questo, nell’attuale intricata tela della finanza italiana, è presto detto. Finora il capo di Unicredit per portare a casa il suo progetto della grande banca del Nord ha trovato poche sponde nel governo che, anche se non ha poteri di intervento in materia di credito, si muove con la sua moral suasion in ossequio al rispetto dell’articolo della Costituzione che gli impone la tutela del risparmio. Ebbene, in quest’ottica Orcel con la sua mossa apre la sua collaborazione al piano, ben visto da Palazzo Chigi, che farebbe chiudere quel cerchio di protezione dei soldi degli italiani che parte da Roma, passa per Milano e si ferma a Trieste. Il suo pacchetto di titoli può essere decisivo per sovvertire gli equilibri in assemblea a favore di Caltagirone e Delfin. Se a guidare il Leone arrivasse un vertice loro espressione la cosa sarebbe sicuramente gradita all’esecutivo che nell’ottica della «sovranità» finanziaria ha già maldigerito l’accordo di Generali con Natixis per portare la gestione di 650 miliardi a Parigi. Sarebbe un primo punto a favore dell’ad di Unicredit che potrebbe capitalizzare il favore chiedendo all’esecutivo di togliere ogni ostacolo alla sua conquista di Bpm.

Il terzo polo a trazione sovranista, Mps-Mediobanca, se arrivasse in porto, potrebbe infatti fare anche a meno della terza gamba rappresentato dall’istituto guidato dall’ad Castagna. Se così fosse, dunque, per Unicredit sarebbe vittoria su tutta la linea e via libera al grande sogno di creare il principale polo bancario del Nord. Nella sola Lombardia potrebbe raggiungere (Antitrust permettendo) quasi il 20% degli sportelli totali, e cifre non lontane anche in Piemonte e in Veneto. Insomma sarebbe un dominus incontrastato che, nell’ipotesi remota ma non impossibile, di un aiutino del governo Meloni nell’interlocuzione con quello entrante a Berlino dopo le elezioni, per prendere Commerzbank, farebbe della banca di piazza Gae Aulenti il principale gruppo transfrontaliero di collegamento tra le economie dei due Paesi. Un piano perfetto. Costato finora due miliardi e che potrebbe ricevere la benedizione anche dalla Banca centrale europea, che predica da tempo la nascita di campioni bancari europei. Ma la perfezione, che è concetto divino, non esiste nelle cose umane. Così a inceppare il meccanismo tanti sono i granelli di polvere sospesi attorno al dossier. Uno di questi la posizione di Intesa Sanpaolo, concorrente di Unicredit, che finora ha deciso di crescere solo per linee interne, senza acquisizioni dunque. Domani svelando i conti potrebbe annunciare visto il momento un cambio di prospettiva. Non ultimo va considerato l’arrivo di un potenziale acquirente estero su Piazzetta Cuccia, un cavaliere bianco, chissà, magari francese. Certo ci sarebbe sempre il golden power, che però nella sua versione ridotta (la golden share) non fu applicato quando Bnp Paribas dopo le scalate dei furbetti del quartierino nel 2006 si prese la Banca nazionale del Lavoro senza che nessuno fiatasse. Repetita (non) iuvant.



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