Donald Trump e il welfare • Secondo Welfare

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Dopo la vittoria elettorale di novembre, Donald Trump si è infine insediato ed è diventato il quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. I rimpatri dei migranti, i dazi per il commercio internazionale, la fine della guerra in Ucraina. C’è grande attesa per quel che farà e grande attenzione per quello che ha già fatto in queste prime settimane di mandato. Da parte di Secondo Welfare, ovviamente, tale attesa riguarda soprattutto le politiche sociali.

Mario Del Pero (ispionline.it)

Quali linee seguirà Trump per quanto riguarda il welfare? Quali politiche verranno cambiate, cancellate o definanziate? E che ne sarà delle fasce più deboli?  Per provare a capirlo è utile guardare a quel che è successo finora, nei primi giorni di questa seconda amministrazione, in campagna elettorale e, ancora prima, durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca.

Nei primi quattro anni di presidenza “i riverberi della crescita economica misurata in termini di PIL e PIL pro capite sono giunti anche ai ceti meno abbienti”, ci ha detto subito Mario Del Pero, professore di storia internazionale a SciencesPo, a Parigi. “Trump però – prosegue l’esperto – non ha fatto politiche per le fasce più povere della popolazione”. Ma andiamo con ordine.

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Il primo mandato, tra tagli e incentivi al lavoro

Durante il suo primo mandato presidenziale, tra il 2016 e il 2020, Trump ha attuato delle politiche che Del Pero definisce “ortodossamente repubblicane”. Ad eccezione di quanto deciso nel settore del commercio internazionale (coi dazi), l’operato economico del presidente Usa è stato in continuità con le politiche del Partito Repubblicano, che prevedono una riduzione delle tasse e una riduzione delle spese dello Stato federale, incluse quelle per il welfare.

Il professore di SciencesPo spiega che Trump ha cercato (senza successo) di smantellare la riforma sanitaria del suo predecessore democratico Barack Obama, ha deliberatamente osteggiato ogni aumento del salario minimo a livello federale, ha fatto scelte fiscali favorevoli ai più ricchi, soprattutto per i profitti da imprese e i guadagni borsistici. Senza contare che le sue politiche in ambito ambientale finiranno per penalizzare le fasce più deboli, che pagano di più la crisi climatica.

Inoltre, come spiega un’analisi del think tank FREOPP, “i bilanci del Presidente Trump hanno generalmente proposto riduzioni significative della spesa per i programmi di assistenza sociale. Tuttavia, pochi di questi tagli sono sopravvissuti all’iter legislativo.

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Un altro aspetto tipicamente repubblicano delle politiche sociali sotto Trump è stato l’aver vincolato i sostegni pubblici al lavoro. Su questo la ricercatrice dell’istituto francese IRES Catherine Sauviat ha scritto che “la rivoluzione neoconservatrice” di Ronald Reagan negli anni 80 ha agito per “limitare la spesa pubblica per l’assistenza sociale” e “ripristinare il principio della responsabilità individuale e degli incentivi al lavoro”.

Questa tendenza, secondo Sauviat, è stata confermata dalla presidenza democratica di Bill Clinton e si è ulteriormente inasprita con Trump. Durante il suo primo mandato, la maggior parte dei programmi di lotta alla povertà è stata limitata e riorientatada un approccio di welfare a uno workfare, ha scritto ancora la ricercatrice.

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La campagna elettorale e le identity politics

Alcune questioni sociali sono state dibattute anche durante la campagna elettorale 2024, quella che ha riportato Trump alla Casa Bianca. La demografia e la natalità, come abbiamo già visto su Secondo Welfare, sono state tra queste. “Sono state legate a uno dei temi centrali della campagna elettorale, la migrazione”, spiega Mattia Diletti, docente di comunicazione e ricerca sociale alla Sapienza di Roma. “La demografia è stata usata per denunciare la perdita dell’americanità e la perdita di centralità della famiglia americana”, aggiunge.

Inoltre, come ha spiegato Voice of America, durante la campagna elettorale Trump ha detto di voler aumentare il ricorso ad opzioni private per quanto riguarda le coperture sanitarie dei cittadini statunitensi, di voler confermare e aumentare il credito d’imposta per le famiglie dei nuovi nati (ma solo se lavorano) e di voler risolvere la crisi abitativa riducendo le regole per costruire nuove case, aumentando l’offerta di abitazioni e abbassandone i prezzi grazie alla concorrenza.

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Dagli Usa all’Italia, come la natalità è diventata il nuovo terreno di scontro politico

Molte volte, però, è stato difficile capire nel dettaglio quali fossero le politiche sostenute da Trump. “Durante la campagna elettorale – sottolinea Diletti –, i temi sono stati affrontati come nelle fiabe, con una dinamica che individua amici e nemici, ma che rende complicato capire quali sono le proposte concrete”. In questo contesto, le questioni sociali sono state spesso usate per fomentare le cosiddette identity politics. Lo ha confermato anche Candance Archer, policy director per la federazione dei sindacati statunitensi AFL-CIO. “Negli Usa, molte persone che godono di sussidi statali, poi votano per politici che vogliono cancellare questi aiuti. È disorientante”, ha spiegato nel corso di un evento della Fondazione Di Vittorio.

“Sono persone – ha proseguito Archer – che votano contro i loro interessi economici, magari per motivi di identità”. Ed è anche grazie a questi voti che Trump ha vinto nuovamente le elezioni.

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Il secondo mandato in continuità?

“Fare previsioni è impossibile e si finisce per sbagliare sempre, ma faccio fatica a immaginare discontinuità radicali tra il primo e il secondo mandato di Trump”, riprende il professor Del Pero. Diletti della Sapienza gli fa eco, sottolineando come i primi provvedimenti presi dal Presidente USA mostrino “un approccio ancora più muscolare” alla revisione e al taglio della spesa pubblica.

Mattia Diletti (eastwest.eu)Mattia Diletti (eastwest.eu)
Mattia Diletti (eastwest.eu)

Molte decisioni – prese tramite lo strumento degli ordini esecutivi e quindi per certi versi limitate – sono arrivate già in questi primi giorni. Il 20 gennaio, per esempio, Trump ha eliminato a livello federale i programmi di diversità, equità e inclusione, pensati per tutelare i gruppi minoritari nelle procedure di assunzione e nella formazione. La scorsa settimana, poi, ha annunciato e subito ritirato un blocco ai finanziamenti federali, che non riguardano solo il welfare, ma sono fondamentali per moltissime politiche sociali.

Diletti fa un esempio: “i fondi federali servono per i pasti nelle scuole e, poiché negli USA esiste un grande povertà alimentare, il loro blocco sarebbe molto grave per quegli alunni che fanno il loro unico pasto completo della giornata alla mensa scolastica”.

L’ipotesi è che, in ambiti come questo, l’amministrazione torni a proporre tagli forti alla spesa pubblica, che però dovranno trovare approvazione definitiva al Congresso: “i repubblicani hanno una maggioranza molto risicata alla Camera e su questioni come questa ci sarà battaglia”, avverte Diletti.

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Le analogie (ideologiche) con l’Italia

A prescindere da quante promesse riuscirà a mantenere Trump, quello che avverrà negli Stati Uniti verrà osservato con attenzione anche in Europa e in Italia, dove Giorgia Meloni è considerata una delle figure più vicine al presidente USA. Questa vicinanza, con la Presidente del Consiglio italiana che è stata l’unica leader dell’Unione Europea presente all’insediamento di Trump, si tradurrà anche in politiche sociali simili?

Del Pero mette in guardia dal fare paragoni troppo arditi: “per prima cosa, enfatizzerei le differenze tra i due sistemi politici”. Il welfare italiano e quello statunitense sono estremamente diversi. E lo stesso vale per l’architettura istituzionale dei due Paesi. Chiarito questo, però, il professore vede una certa “convergenza ideologica” tra Trump e Meloni su un punto, cruciale per il modo in cui vengono disegnate le politiche sociali: “l’enfasi sulla responsabilità e quindi sulla colpa dell’individuo” che si trova in situazione di bisogno e la tendenza a “minimizzare tutta una serie di fattori che incidono sulle possibilità e le capacità del singolo”.

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Diletti va oltre e traccia un parallelo tra due figure che hanno influenzato i dibattiti sul welfare in USA e Italia. La prima è quella della cosiddetta welfare queen statunitense. Si tratta di un termine dispregiativo, nato dalla strumentalizzazione della storia di una donna nera, che viene usato per indicare le persone che si ritiene abusino del sistema di welfare. L’idea nasce negli anni Settanta, sempre con Reagan, ma oggi è ancora molto diffusa, forte, e sfruttata dai repubblicani.

“Mi ricorda molto quello che è successo più di recente in Italia coi percettori del reddito di cittadinanza, in Italia”, argomenta il professore della Sapienza. “Tra le due figure vedo un filo conduttore ideologico e cioè il legare le politiche sociali a una dimensione di merito. L’aiuto dello stato te lo devi guadagnare”, conclude Diletti.


Foto di copertina: Markus Spiske, Unsplash

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