Spunti di riflessione oltre la Terra dei fuochi

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A fronte di un riconosciuto rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile“, afferma la CEDU, lo Stato non ha adottato adeguate misure di informazione, prevenzione e repressione delle discariche di rifiuti tossici.

 di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus

Sta diffondendosi velocemente nei mass media l’esito della sentenza della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che condanna Italia per colpevole passività rispetto all’oggettivo pericolo per la salute presente nella cosiddetta “Terra dei fuochi”.  A fronte di un riconosciuto rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile“, afferma la CEDU, lo Stato non ha adottato adeguate misure di informazione, prevenzione e repressione delle discariche di rifiuti tossici.

L’importanza della sentenza della CEDU che riconosce la oggettiva pericolosità per la salute umana di un luogo (la Terra dei fuochi), la conclamata relazione tra inquinanti ambientali e gravi malattie come il cancro, il ridursi della durata media della vita in quelle aree e, allo stesso tempo, la passività colpevole dello Stato che dovrebbe tutelare, come sancito dalla Costituzione, la salute umana, va al di là del dato specifico.  Si condanna lo Stato italiano perché, pur riconoscendo la situazione, non ha preso le dovute misure in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno a garanzia della tutela della salute. Passività, connivenza, ignavia, interesse economico, calcolo politico?  Non compete allo scrivente trarre conclusioni giudiziarie, ma è evidente che la portata della sentenza assume connotati morali ed etici molto ampi.  Infatti, si ricorda che lo Stato non può essere uno spettatore neutrale impassibile, quasi estraneo, ma è tenuto a rispettare la Costituzione e la Carte dei diritti fondamentali, AGENDO in loro difesa.  Per agire bisogna prendere posizione e ricordare quali sono i valori da difendere, come quello della vita delle persone.  Altrimenti, come scriveva pessimisticamente Italo Svevo: la vita attuale è inquinata alle radici […]. Qualunque sforzo di darci la salute è vano” (parte finale del romanzo La coscienza di Zeno).

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Sembra che molti silenzi abbiano avvolto i dati epidemiologici relativi a quell’area, ma anche ad altre aree del Paese fortemente inquinate, e, quando non silenzi, minimizzazioni, ludibrio, banalizzazioni, cose da ambientalisti della domenica, avrebbe detto qualcuno.  Dati non raccolti, o non elaborati, o non diffusi (o diffusi con ampio ritardo), sostiene da tempo, disperandosi, il Prof. Antonio Marfella, uno dei pochi epidemiologi che ha a cuore i destinatari della propria professione medica.  Ma, “Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere”, scriveva Moravia ne Gli indifferenti.  L’amplificazione distorta dei media ha evidentemente aiutato a non vedere, a non capire, a non assumere responsabilità, a minimizzare, a scaricare su altri dei doveri di ufficio. E qui si parla della vita delle persone e della loro salute, diritti sui quali è difficile dubitare. La anomalia di questa sentenza è in ciò, nell’evidenziare il silenzio di molti, la passività prevalente (con poche eccezioni) e l’indifferenza di troppi.  Una sorta di accidia epidemica, “Il demone dell’accidia vuole distruggere proprio questa gioia semplice del qui e ora, questo stupore grato della realtà; vuole farti credere che è tutto vano, che nulla ha senso, che non vale la pena di prendersi cura di niente e di nessuno.” afferma S.S. Papa Francesco.  In una crescente “nausea di esistere” avrebbe detto Sartre.

Una sentenza che è quindi un atto di accusa morale e politica, verso molti, probabilmente oramai una parte consistente della società, quella che si volge altrove per non vedere e non sapere.  Per restare in ambito morale, chi non si è mai schierato da una parte, chi in vita ha sempre scorto una via d’uscita nell’omologazione verso la massa, chi non curante dell’importanza di prendere una posizione ha scelto di non scegliere, rappresenta per Dante il peccatore di ignavia.  Per tali ragioni, Dante fu particolarmente duro nella loro accusa, li definì come esseri che il mondo quasi non ricorderà, non degni del paradiso ma neppure dell’inferno. Essi non osano avere un’idea propria, ma si limitano a adeguarsi sempre a quella del più forte, per tale motivo Dante li disprezzò fortemente e li descrisse come coloro “che mai non fur vivi“.    Ingenerare il dubbio che l’inquinamento sia poca cosa, sia trascurabile e sopportabile, sia temporaneo, che le malattie abbiano altra origine, un dubbio quasi amletico, sebbene appaia meno esistenziale “Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi, le ferite dell’amore disprezzato, le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati e i calci che i giusti e i mansueti ricevono dagli indegni.” (Shakespeare, Amleto).





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