Il linguaggio della vulnerabilità e la logica dei diritti

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Come possono i tratti della vulnerabilità favorire il riconoscimento e la promozione dei diritti? E a sua volta il lessico dei diritti può aiutare a riconoscere e fronteggiare le concrete condizioni di vulnerabilità? E se sì, in quali termini?

«La riflessione sulla vulnerabilità chiama in causa anche la riflessione sui diritti umani e in qualche modo queste due riflessioni devono procedere parallelamente» esordisce così Elena Pariotti, professoressa ordinaria di Filosofia del diritto all’Università di Padova, rispondendo agli interrogativi proposti da Francesca Marin, docente di Filosofia morale e coordinatrice del Progetto Etica, filosofia e teologia della Fondazione Lanza, in occasione dell’avvio del secondo anno di studi intorno alla Vulnerabilità.

I temi della fragilità e della vulnerabilità stanno ricevendo un’attenzione crescente, interessano un sempre più ampio spettro di discipline scientifiche, filosofiche e teologiche e si affermano come un’importante chiave interpretativa, mi sembra, di tanti fenomeni che coinvolgono oggi la vita personale, sociale, politica. Credo che ne sia una riprova anche la scelta degli argomenti, dei webinar previsti per questo ciclo 2024-2025, come del resto quelli toccati durante il ciclo precedente e poi naturalmente anche in occasione di vari altri eventi promossi dalla Fondazione Lanza nel quadro di un percorso che questa sera si può dire inizia un nuovo tratto.

Dal saluto di d. Leonardo Scandellari, Presidente della Fondazione Lanza

«Hannah Arendt scrisse che i diritti umani sono i diritti di chi non è altro che un essere umano» ricorda Pariotti, riprendendo una definizione che per l’autrice de La banalità del male aveva una declinazione comunque negativa. «C’è un altro aspetto della questione che a me piace sempre sottolineare. – continua la docente – Se e quando abbiamo bisogno di fare ricorso ai diritti di chi non è altro che un essere umano, significa che questi diritti sono estremamente importanti e che sono quella soglia minima che deve essere garantita per poi procedere con ulteriori strumenti che possono portare verso la fioritura umana, verso obiettivi di giustizia anche molto più elaborati, ma costituiscono un passaggio ineludibile, inevitabile, che deve essere affrontato».

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Secondo incontro – “Diritto e bioetica: vulnerabilità e fondamenti costituzionali” tutte le informazioni ➡️ QUI

Diritti fondamentali da un lato e vulnerabilità come condizione delle persone dall’altro, è su questa base che il ragionamento è destinato a dipanarsi. Una vulnerabilità che configura una relazione tra soggetti – danneggiati, danneggiabili e danneggianti, per così dire – ma anche un termine in cui è implicita una forte vaghezza di grado.

«Vulnerabile richiama quasi immediatamente una precisazione rispetto alla quantificazione – esplicita la professoressa Pariotti – cioè quanto vulnerabile rispetto a che cosa, come, richiama immediatamente l’attenzione sulle forme, però queste precisazioni noi non le troviamo nella definizione di vulnerabilità e non le troveremo mai negli usi giuridici della stessa».

«La vulnerabilità da sola come nozione senza riferimento alla dignità, all’eguaglianza non funziona e sarebbe impossibile applicarla. Per questo tendo a pensare che la vulnerabilità non possa agire come un principio perché non applichiamo quello».

Nonostante i limiti, però, la vulnerabilità ha trovato un crescente spazio all’interno della giurisprudenza. «Nell’attività della Corte Europea per i diritti umani si è notato un ricorso crescente tra il 2000 e il 2013 del termine vulnerabile. Da 7 sentenze che riportavano questo concetto nel 2000, si è arrivati a 70 nel 2013. – osserva ancora la professoressa dell’Università di Padova – E chi sono i soggetti che in queste sentenze sono qualificati come vulnerabili? Sono minori, persone incapaci, detenuti, appartenenti a minoranze storicamente discriminate, individui LGBTQI, richiedenti asilo, malati che soffrono di patologie che sono oggetto di forti discriminazioni, appunto. Quindi non necessariamente soltanto i soggetti della specificazione dei diritti, ma anche altri soggetti che hanno una relazione particolare con lo Stato, cioè verso i quali lo Stato ha una responsabilità».

«La vulnerabilità non sviluppa il proprio potenziale se è intesa come la vulnerabilità che si è già manifestata, ma quando viene considerata in chiave preventiva, cioè quando viene utilizzata come una lente che serve a capire che siamo di fronte a delle condizioni che possono rendere più intensa l’esposizione al vulnus di diritto di una determinata persona. – conclude Elena Pariotti – Spesso noi, con la vulnerabilità ma anche con il concetto dei diritti umani, commettiamo l’errore di farvi appello in situazioni in cui non c’è sostanzialmente più niente da fare. Ma il senso vero del riferimento ai diritti umani è sempre preventivo, cioè quello di organizzare assetti sociali, politici e relazioni umane in modo tale da evitare di arrivare a quelle situazioni».

Il palazzo della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo

Il concetto di vulnerabilità trova spazio non solo nella giurisprudenza delle Corti che si occupano di diritti umani, ma anche in quelle deputate a dirimere le controversie tra impresa, imprenditore e soggetti che con essa hanno avuto a che fare.

Soggetti questi, come spiega Andrea Favaro, docente di Filosofia del diritto all’Università di Verona e visiting professor presso la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia, ai quali il legislatore ha riconosciuto una tutela particolare proprio in virtù della loro debolezza implicita. È il caso del lavoratore dipendente, ad esempio, ma anche del contoterzista e persino del consumatore. O del cittadino.

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«Il singolo soggetto è sempre vulnerabile dinanzi all’istituzione. – esplicita Favaro – Ma per paradosso il riconoscimento, la tutela massima di questa vulnerabilità, a volte dà per conto il fatto di rendere l’istituzione vulnerabile dinanzi al singolo soggetto».

Vulnerabilità che fa rima, di fatto e nella sostanza, con l’inviolabilità di quei diritti che la Costituzione iscrive nel secondo articolo e che per un costituente del calibro di Giorgio La Pira meritavano l’appellativo di «sacri e inviolabili».

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Scarica il programma e la locandina di Vulnerabilità diritto e diritti

Rivedi gli incontri del primo anno di studio sul tema della Vulnerabilità

«Cos’è un diritto inviolabile? – si chiede il professor Favaro – Un diritto inviolabile è un diritto che non si può violare, pensiamo ad esempio alla vita, ma non si può violare perché dovrebbe esserci un sistema che va a proteggere la vita stessa e quindi questa inviolabilità. Le cronache ci insegnano, però, che ci sono gli omicidi e quindi di per sé non è inviolabile il diritto alla vita perché viene, appunto, violato. Ma allora si dice che tale diritto è inviolabile perché è una sorta di premessa e promessa di inviolabilità».  

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E come l’inviolabilità è insita in una premessa così lo stato si ripromette di farsi carico di quei soggetti in tutto o in parte vulnerabili in quanto incapaci di interagire con il contesto. È il caso, ad esempio, di quei soggetti al quale viene affiancato un tutore o un amministratore di sostegno.

«Pensiamo ad Achille: sappiamo che il tallone provocava una dimensione di vulnerabilità, ma di per sé lui era uno degli uomini più performanti, si direbbe adesso, del suo tempo. Salvo per quel piccolo elemento che solo in virtù della condotta di un soggetto esterno al suo essere umano ha avuto l’esito che noi conosciamo»

Se Achille aveva una vulnerabilità tutt’al più limitata, a taluni il legislatore assicura una tutela proprio per la condizione di sudditanza nella quale si vengono a trovare. È il caso del già citato lavoratore dipendente o del consumatore che «si viene a qualificare come un soggetto debole, a prescindere che il soggetto debole sia un premio Nobel come Einstein, un professore universitario o uno che abbia tutte le facoltà per poter interagire alla pari con un soggetto che gli presta dei beni, dei servizi. – continua Favaro – E a prescindere dalla realtà, il soggetto consumatore ha una serie di tutele che pongono però una questione, parlando proprio della logica dei diritti, che va a contraddire quello che è il fondamento del rapporto tra soggetti».

«Con l’astrazione abbiamo difficoltà a rendere credibile la vulnerabilità – ribadisce il giurista – perché potrebbe benissimo esserci il consumatore o il lavoratore abile, economicamente abbiente, culturalmente attrezzato, che rispetto al cosiddetto soggetto forte riesce a palesarsi molto più potente. E allora si innesca tutto il tema dell’abuso del diritto».

Un rovesciamento inatteso quello tra chi subisce la vulnerabilità e chi da contro esercita il potere che porta con sé un paradosso: se tutti siamo vulnerabili, presto o tardi può venir meno quel rapporto di giustificazione dell’autorità «cioè qual è il diritto di obbligare e il dovere di obbedire, perché in entrambe queste due dimensioni potremmo veramente collocare il nucleo nevralgico della vulnerabilità del singolo, ma anche del corpo sociale».

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Il rischio, insomma, è una sorta di rigetto da parte del soggetto di quelle norme nelle quali non gli viene utile, immediato o semplicemente necessario riconoscersi. Di fronte a questo paradosso potrebbe venire in aiuto il diritto canonico grazie ad una sua dimensione peculiare, come spiega Favaro: «non si autoimpone, è un ordinamento che si impone solamente ai soggetti che previamente hanno scelto di aderirvi».

Ad una mancanza di affezione verso quei regolamenti che abbiamo ricevuto passivamente, per diritto di nascita, il diritto della Chiesa Cattolica potrebbe così offrire un modello utile alla crisi della sovranità degli ordinamenti giuridici contemporanei.

Gianluca Salmaso

Rivedi la diretta dell’incontro

Il calendario dei webinar



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