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Sono entrati a pieno titolo nel novero delle cosiddette «infrastrutture critiche», affiancandosi, ad esempio, a linee ferroviarie e autostrade. Per questa ragione, si sta definendo il «sistema delle regole» per la realizzazione e collocazione dei data center. Queste regole devono offrire un quadro di riferimento certo per gli investitori e le comunità locali, affinché questa iniziativa infrastrutturale si sviluppi garantendo semplificazione e sostenibilità sotto i diversi punti di vista: ambientale, territoriale ed economica.

I criteri governativi

Ad inizio dello scorso mese di agosto, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica – attraverso la propria commissione Via-Vas – ha emanato le prime linee guida per la valutazione ambientale dei data center.

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Le linee guida, che dovrebbero maturare nella proposta di legge che ha iniziato l’iter in Parlamento, propongono per le amministrazioni comunali alcuni criteri per la collocazione ottimale delle infrastrutture.

Partendo dall’energia. I data center hanno bisogno di vicinanza alle infrastrutture di trasmissione e di energia a basso costo, preferibilmente di fonte rinnovabile. Anche la vicinanza ad acquedotti e ad altre condutture tecnologiche è determinante. Sono poi da minimizzare gli impatti negativi sul paesaggio e sugli ecosistemi locali. Un aspetto importante di semplificazione del provvedimento ministeriale è l’obbligo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per tutti i data center con potenza termica dei gruppi di emergenza (che garantiscono la continuità operativa) superiore a 50 MW, in sostituzione della Valutazione di impatto ambientale (Via).

Grande attenzione, poi, è conferita al duplice aspetto energetico dell’efficienza e dell’utilizzo delle fonti rinnovabili per coprire il più possibile il fabbisogno di energia dei data center, dando rilevanza anche alla capacità di recuperare il calore generato dai processi di funzionamento. Non è un caso che comincino ad affacciarsi iniziative che puntano proprio a recuperare questo calore, altrimenti sprecato, per alimentare reti di teleriscaldamento urbano. È previsto, per esempio, nel progetto che coinvolge anche A2A nel recupero del calore di scarto di un data center nella città di Milano, proprio per alimentare la rete di teleriscaldamento.

Le indicazioni ministeriali sono state anticipate dalle linee guida che, poco prima, sono state emanate dalla Regione Lombardia, nel giugno di quest’anno, dando indicazione anche di priorità – nel caso della collocazione di data center di grandi dimensioni (oltre i 50 MW di potenza) – ad aree cosiddette «brownfield», cioè siti inquinati, con interventi di riutilizzo o trasformazione d’uso, aree da rigenerare, aree a bassa densità di impianti, aree dove realizzare economie di sistema, impianti energetici di interesse collettivo (ad esempio, teleriscaldamento e comunità energetiche rinnovabili).

Prima ancora, a marzo scorso, la Commissione europea aveva adottato uno specifico regolamento che impone agli operatori di comunicare periodicamente la valutazione di una serie di indicatori delle prestazioni ambientali dei propri data center, tra cui quelli relativi ai consumi energetici, all’utilizzo di energia rinnovabile o di energia di scarto prodotta per il raffreddamento dell’infrastruttura.

2025: investimento di 15 miliardi per 83 nuovi data center

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Entro il 2025, secondo i dati dell’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, si attendono (per uno sviluppo avviatosi nel 2023) 83 nuovi data center sul territorio nazionale, comportando investimenti stimati per circa 15 miliardi di euro.

Oggi, in prevalenza, sono strutture di media (2-10 MW) o piccola (meno di 2 MW) potenza, mentre cresceranno presto quelli di potenza maggiore (oltre i 10 MW). Il nostro Paese ospita (a fine 2023) una potenza complessiva di 430 MW (+23% rispetto all’anno precedente): l’area di Milano (e, più ampiamente, la Lombardia) si afferma come primo polo nazionale, con 184 MW di potenza al 2023, pur ancora distante dal maggiore polo europeo (Francoforte con poco meno di 800 MW), ma già concorrente di Madrid (136 MW) e Varsavia (86 MW).

Ida, l’associazione che raduna i costruttori e gli operatori di data center italiani, riporta che, negli ultimi 5 anni, i data center commerciali complessivamente in Italia contano 140 strutture, a cui si sommano 1.200 data center della Pubblica amministrazione e circa 3.000 di impresa. Secondo Ida, solo i data center commerciali potrebbero costituire al 2028 oltre 1 GW di potenza installata. Numeri importanti, che meritano un quadro di regole ben calibrato.

IA e transizione ecologica: più impatti o benefici?

Tra incertezze delle stime e una conoscenza ancora in cerca di dati affidabili, serve mantenere uno sguardo ampio al fenomeno dei data center e dell’intelligenza artificiale. Gli impatti ambientali di queste infrastrutture in rapida diffusione devono essere letti congiuntamente ai tanto auspicati effetti benefici dell’applicazione dell’intelligenza artificiale sulle questioni cruciali della transizione ecologica, a partire dall’energia.

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Quanto impegno (e quanti consumi) della IA saranno dedicati alla progettazione delle smart grid, dai sistemi per la gestione intelligente dell’energia negli edifici alla riconversione elettrica della mobilità privata? Quanta efficacia potrà realmente avere l’applicazione della IA per migliorare i modelli di previsione dell’evoluzione del clima? Sono molte le domande da porsi per costruire appena possibile un «bilancio di sostenibilità» di questa nuova «rivoluzione industriale». Questo bilancio riguarda strettamente gli usi della IA che prevarranno: la scelta etica di fondo diventa determinante.

Il crescente fabbisogno di energia sta già condizionando le grandi aziende del digitale, vincolate a precisi obiettivi di riduzione delle emissioni verso l’obiettivo della «neutralità climatica». Tutto ciò in un mondo in cui l’obiettivo primario sarà quello di rispondere alla consistente richiesta di energia delle economie emergenti: IA permettendo.

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