Trump e i dazi boomerang, così la scommessa a metà strada fra Monopoli e poker può fare la fortuna della Cina

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Lo spirito di Trump permea il mondo, o almeno ci prova. È un caso storicamente unico: è pronto a sparare a chiunque, canadesi danesi, panamensi e ora anche agli europei. Nelle sue fondine non ci sono Colt, ma tariffe doganali. La sua scommessa globale, man mano che procedono i giorni (e siamo soltanto a due settimane dall’insediamento) è un gioco a metà strada fra Monopoli e il poker: l’America produce quasi tutto e la sua vocazione – dice Trump – è prosperare e non tollerare che altri vengano a vendere le loro dannate automobili a un prezzo drogato perché hanno falsificato i bilanci.

E così con un’unica eruzione di editti ha dato ordine di attrezzare il lato opposto a quello usato per imprigionare presunti terroristi della Baia di Guantanamo, e costruire sulla riva opposta un carcere di massima sicurezza non già trentamila immigrati, ma la loro feccia gangsteristica, i super narcotrafficanti pluriomicidi, gente – ha detto – che non vuole nemmeno restituire ai Paesi d’origine per non ritrovarseli di nuovo a casa. Quindi – ha detto Trump domenica – la “soluzione Guantanamo” non ha alcun punto di contatto e di ispirazione con la soluzione albanese inventata dal governo italiano.

Trump non ama nessuno al mondo con una eccezione guardinga per i cinesi, ma detesta gli alleati europei che hanno secondo lui sbafato il costosissimo servizio della Difesa americana – comparabile per impegno economico a un servizio sanitario nazionale efficiente – evitando di pagare puntualmente le arte del club Nato. Ho un ricordo diverso: sono stato per quattro anni membro della Commissione parlamentare presso la Nato e a Washington si rasentava la rissa per il motivo opposto: gli americani erano i più riluttanti a versare il loro chip annuale “dato che ormai la guerra fredda è finita e non ha senso buttare soldi al vento”.

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Ci volle la prima trasferta della nuova Armata Rossa putiniana uscita per fare shopping in Georgia, dopo il massacro della Cecenia, per portarsi via l‘Ossezia del Sud e possibilmente l’Abkhazia, con gli occhi e i cannoni già puntati sulla Crimea e il Donbass appartenenti all’Ucraina, per capire che la guerra fredda era in piana rifioritura. Queste cose Trump le sa ma le valuta da uomo d’affari: sabato si è lasciato riprendere mentre al suo tavolo con ara distratta faceva fra sé e sé delle considerazioni sulla Russia: “Hanno un rublo che va a rotoli, l’inflazione alle stelle. Mi spiace ma Putin ha sbagliato tutto e doveva fare come gli avevo consigliato io. Certo che così combinati sono alla rovina.” Non parlava di diritti, di libertà e di leggi: diceva solo che la Russia è messa troppo male per fare la voce grossa e che adesso toccherà a lui – sempre Trump – trovare la soluzione più ragionevole.

Putin, all’altro capo del mondo, livido e furioso minacciava gli stessi europei occidentali perché “servitori stupidi degli americani”. Trump a questo punto incendiava il fine settimana annunciava una nuova eruzione: proprio quella contro gli europei annunciando dazi come droni specialmente alla Germania che personalmente odia. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz si è risentito soltanto il minimo sindacale ma chi dava segni di essere al confine di una vera crisi di nervi, erano i presidenti di Canada e Danimarca che possiede la Groenlandia e considera sacri i suoi ghiacci in via di fusione.

Col Messico da ieri pomeriggio le cose vanno un po’ meglio perché Donald Trump ha benignamente concesso un mese di pausa per l’applicazione del nuovo dazio del 25 per cento, allo scopo di trovare la soluzione globale alle condizioni pessime dei rapporti messicano-americani. Come sempre, Trump annuncia l’apocalisse e poi viene a patti. È sempre con faccia da poker e trovandosi di fronte a Claudia Sheinbaum, una donna molto altera e poco impressionabile.

Tutti i giochi sono aperti, ma per ora sono giochi. Non nel senso che siano innocui, ma nel senso che costituiscono un caleidoscopio di sviluppi perché per il 47 Presidente ciò che conta è l’imprevedibilità – ancora una volta la “poker face” e il mistero sulle vere carte che ha in mano. I cinesi sembrano stare al gioco, perché è un loro gioco. L’ambasciatore cinese in Colombia, Zhu Jingyang, mentre Trump minacciava il leader colombiano di ridurlo in miseria, dichiara che mai i rapporti fra Colombia e Cina erano stati in miglior sintonia.

Nelle cancellerie europee si considera giusta e che forse alla fine la Cina riderà da sola perché secondo Xi Jinping l’arrivo di Trump con tutti suoi eccessi teatrali porterà certamente pene e difficoltà, ma anche insperate opportunità. Non ci vuole un genio della geopolitica per capire che la partita che realmente conta per Trump è con la Cina: come aprire e chiudere il mercato ai cinesi per ottenere la loro alleanza non esplicita. A Pechino lo sanno e studiano laboriosamente il caso: Trump può diventare la loro fortuna. Elon Musk, che non si concede vacanze, lancia l’idea MEGA per l’Europa: Make Europa Great Again.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

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