LECCE – Avrebbe dovuto aprirsi ieri il processo col rito ordinario nei riguardi di un 43enne originario dell’Albania, ma residente in un comune del basso Salento, accusato di ripetute vessazioni nei riguardi della moglie, del figlio minorenne e dei suoceri. Ma la vicenda si è già chiusa nei giorni scorsi con una sentenza di patteggiamento a tre anni e due mesi di reclusione emessa dal giudice del tribunale di Lecce Angelo Zizzari.
L’uomo, dopo aver ricevuto il decreto di giudizio immediato, aveva infatti avanzato istanza di rito alternativo, attraverso l’avvocato difensore Pasquale Tarantino, riuscendo così a concordare la pena.
“Lascia che vada in galera, ma lo devo uccidere con le mie mani”: si sarebbe rivolto così, in lingua leccese, alla moglie, riferendosi al padre di questa, “reo” di non rispettare la sua volontà di tenersi alla larga. E, alla fine, è finito davvero dietro le sbarre del carcere di Borgo San Nicola, e vi è rimasto, anche in ragione dell’impossibilità di ottenere una misura cautelare meno restrittiva, non disponendo di un’abitazione diversa da quella coniugale.
A ottenere l’arresto, quattro mesi fa, dalla gip Giulia Proto, fu il pubblico ministero Luigi Mastroniani, il magistrato titolare delle indagini, dalle quali emerse che dal 2019, il 43enne avrebbe tenuto sotto scacco, attraverso ripetute minacce di morte e aggressioni fisiche, non solo la convivente e il figlio di appena 10 anni, ma anche i suoceri che abitano nello stesso immobile, al piano superiore.
In particolare, alla malcapitata sarebbe stato vietato di uscire persino per fare la spesa e di vedere o sentire, nonostante la vicinanza dei rispettivi appartamenti, i genitori. Scoperti alcuni messaggi scambiati di nascosto tra la donna e la sua famiglia, l’uomo avrebbe lanciato inquietanti e inequivocabili messaggi di morte e, per dispetto, sarebbe arrivato anche a forare la piscinetta regalata al bambino dai nonni.
Insomma, le vittime erano quasi segregate in casa e sottoposte a ogni assurdo divieto, a causa della possessività del 43enne indicato dai magistrati come un “padre padrone” e un “aguzzino” che, temendo di essere lasciato, non avrebbe esitato a minacciare chiunque gli gravitasse attorno.
In alcune circostanze avrebbe picchiato il figlio o l’avrebbe scaraventato contro il letto. In una in particolare, verso la metà dello scorso agosto, mentre stavano pranzando, nel tentativo di percuotere il piccolo, che per sfuggire alle botte correva attorno al tavolo, gli avrebbe lanciato addosso un coltello da cucina, senza per fortuna raggiungerlo, per poi comunque colpire con un pugno in testa la consorte.
E’ attesa per il 13 febbraio prossimo, l’udienza davanti al tribunale per i minorenni per l’affidamento del figlio e la revoca della potestà genitoriale.
Le generalità complete dell’imputato sono state omesse nel rispetto della privacy di tutte le persone coinvolte.
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