In occasione del Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, il Presidente del Consiglio regionale Quintino Pallante ha dichiarato:
“È sicuramente dovere di questa Presidenza e dell’intera Istituzione Consiliare, come giustamente previsto dalla legge n. 92 del 2004, “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Conservare e rinnovare la memoria certo nel Giorno del Ricordo, ma anche in ogni occasione utile di approfondimento, di studio e di rievocazione storica di quegli anni lunghi e complessi di metà ‘900. Un dovere che ci viene dalle vittime delle atrocità che furono commesse con inaudita ferocia dai cosiddetti “partigiani Titini”, ai danni di italiani civili (donne, uomini, bambini, anziani) che nulla avevano a che fare con il conflitto appena trascorso, con le decisioni di spartizione del confine orientale e che certo non portavano sulle spalle alcuna responsabilità diretta o indiretta della storia pregressa e quindi della presenza italiana in quell’area dall’inizio del ventesimo secolo. Un numero di italiani ancora sconosciuto nella sua totalità, ma che, dopo la riesumazione dei corpi, dopo gli studi fatti in questi decenni, dopo aver ascoltato testimoni e vittime sopravvissute, emerge come una delle pagine più brutte e sanguinose dell’Europa e del nostro Paese. Pagine tinte di odio nazionale, politico e ideologico, che ebbe come fine non solo “punire” e perseguitare gli italiani, ma cacciarli dalle proprie case, dalle attività che conducevano e dai posti di lavoro che occupavano a beneficio della popolazione slava. Quest’ultima, infatti, non si fece scrupolo ad occupare con tempestiva premura abitazioni, posti di lavoro, imprese e negozi che fino a poche ore prima erano appartenute in alcune occasioni a loro conoscenti se non a loro amici di nazionalità italiana.
Una tragedia che vide nelle centinaia di migliaia di italiani scampati alle foibe lasciare all’improvviso, sotto la minaccia di violenze se non di eliminazione fisica (come accaduto a tanti loro parenti o amici), tutto il loro mondo, il posto in cui erano nati, cresciuti e costruito quello che loro credevano essere il proprio futuro, per girovagare nel resto dell’Italia da esuli nel proprio Paese alla ricerca di un posto in cui fermarsi e ricominciare. Un dramma nel dramma che vide famiglie con anziani malati e stanchi e con bambini piccoli e spaventati, spostati come merci da un luogo all’altro della penisola. Famiglie senza nulla se non la propria dignità, cariche di paura e umiliazione e che in alcune occasioni, purtroppo, furono accolte dalle popolazioni locali con ingiustificata freddezza e indifferenza. Italiani sfortunati che non furono riconosciuti dai connazionali quali fratelli vittime della violenza titina. Esuli che venivano indicati da una certa propaganda politica quali traditori, o etichettati, a mo’ di condanna, con l’appellativo generico -che già allora, ma ancor più lo sarebbe stato nei decenni successivi, aveva assunto un significato negativo tanto largo quando di conseguenza indefinito, in cui si indicava tutto e il suo contrario – di “fascisti”, in quanto rei di aver rifiutato di restare nel “paradiso terrestre” di quel regime comunista che il Maresciallo Tito e i suoi partigiani stavano costruendo con metodi autoritari, spregiudicati e violenti proprio in quegli anni in quell’angolo d’Europa a seguito delle spartizioni tra le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale.
Ascoltando le testimonianze dirette o leggendo gli scritti che ci hanno lasciato quegli esuli, molti dei quali giunsero in Molise e si radicarono nel nostro territorio, si capisce quando essi soffrirono ad essere cacciati dalla loro terra dagli jugoslavi, ma si evince anche quanto più patirono nel vedersi non essere accettati ed accolti dai loro connazionali in patria. Una brutta pagina di storia, che diviene ancor più spiacevole, se per essere scritta nella sua totalità, abbisognò del susseguirsi di tanti lustri, prima che essa potesse essere letta e valutata dalle generazioni future. E sì perché negli anni susseguenti quegli eventi, alle vittime delle foibe e a quelle dell’esodo, si inflisse un’altra umiliazione: l’oblio della memoria; il negare che fatti così atroci fossero mai accaduti e comunque non con quella efferatezza. Ma la forza della verità ha squarciato quei tentativi puerili di coprire quell’orrore, di ridurne la portata, di giustificarlo in qualche modo. Oggi esistono studi, si realizzano eventi culturali e scientifici, ci si confronta e si approfondiscono le cause di tanto odio e le conseguenze a cui questo sentimento così radicato e profondo portò. Certo c’è ancora molta strada da percorrere; un cammino che come istituzioni, come società civile e come Paese dobbiamo seguire con il coraggio della ragione, non solo per onorare quelle vittime, ma per trovare la forza di guardare anche alle responsabilità che ebbero alcuni italiani nel coprire dei fatti, nel non accogliere i loro connazionali, nel rinchiudersi nell’indifferenza, mostrando che in alcuni casi, taluni italiani non sono stati “brava gente” e non lo sono stati proprio nei confronti di altri italiani.
Allora traiamo forza da questa Giornata per guardare a quel nostro passato e alla storia che ci racconta con serenità e con obiettività, al fine trarre insegnamento dagli errori compiuti e soprattutto per imparare dagli esempi molto positivi di cui quegli anni non furono certo sprovvisti: a cominciare da chi ebbe il coraggio di riesumare quei corpi infoibati; da chi ebbe la forza di raccontare quanto accaduto; da quegli italiani di ogni parte della penisola, e furono tantissimi, che offrirono solidarietà, accoglienza e ricovero agli esuli, aiutandoli a ricostruire un’esistenza e una casa in cui vivere e progredire. Proprio a questi piccoli-grandi eroi deve andare oggi e sempre la nostra gratitudine riconoscendoli quali veri interpreti dei valori costituzionali e repubblicani. Parimenti, alle vittime di quelle efferatezze deve andare la nostra pietà cristiana e l’impegno affinché cose simili non abbiano più ad accadere.”
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