Nello Spazio l’Europa è in ritardo, ma l’Italia può fare da apripista. Scrive Lisi

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L’Europa rischia di perdere il treno della New space economy, soffrendo un pesante ritardo tecnologico e strategico rispetto ai giganti americani e asiatici. L’Italia emerge come un’eccezione grazie a investimenti mirati e un ecosistema dinamico, ma senza un cambio di mentalità, maggiore propensione al rischio e investimenti privati, l’Europa potrebbe restare ai margini del mercato spaziale globale. L’opinione di Marco Lisi, inviato speciale per lo Spazio del ministero degli Esteri e membro del consiglio d’amministrazione dell’Asi

09/02/2025

Le prospettive di crescita del mercato globale della “New Space Economy” sono impressionanti: si prevede un volume complessivo di oltre mille miliardi (un trilione) di dollari entro il 2030, forse di mille ottocento miliardi di dollari nel 2035. Queste cifre costituiscono però per l’industria spaziale italiana e più in generale europea una promessa ed al contempo una minaccia. La New Space Economy sta infatti ridefinendo il modo in cui pensiamo allo spazio, trasformandolo da una frontiera esclusivamente governativa ad un ecosistema dinamico dominato da attori privati. SpaceX, con le sue innovazioni rivoluzionarie, come i razzi riutilizzabili e il progetto Starlink, ha stabilito standard difficili da eguagliare, creando una situazione di quasi monopolio in alcune aree del mercato. Tuttavia, anche di fronte a tali giganti, ci sono strategie che possono consentire alle aziende italiane ed europee di competere con successo, ma è di fondamentale importanza un piano industriale spaziale coordinato.

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Nonostante l’ottimismo spesso ostentato, la posizione dell’Europa nel settore spaziale globale non è affatto positiva e rischia di peggiorare in futuro. Basterà citare alcune situazioni particolarmente rappresentative. Prima fra tutte, l’accesso allo spazio, cioè la capacità dell’Europa di mettere i propri asset in orbita in modo indipendente e ad un costo competitivo. Il 2024 è stato l’annus horribilis dei lanciatori europei e solo il successo dell’ultimo lancio del razzo Italiano Vega-C ne ha parzialmente risollevato le sorti.

Dopo anni di indipendenza tecnologica basata sui lanciatori della serie Ariane, l’Europa spaziale puntava tutto, con ingenti investimenti pubblici, sul lanciatore di nuova generazione Ariane 6. Lanciatore obsoleto e non competitivo (perché non riutilizzabile) ancor prima di vedere la luce ed il cui lancio inaugurale lo scorso anno non è stato un pieno successo. Come conseguenza, si è dovuto ricorrere all’americana (e privata) Space X per mettere in orbita due satelliti della costellazione e persino ad un lanciatore indiano.

Altro esempio di arretratezza tecnologica, ma soprattutto strategica, è l’attualmente molto dibattuta situazione delle telecomunicazioni via satellite per uso governativo e militare. Per anni la passata Commissione ha cercato di promuovere due programmi, GovSatCom ed Iris2, che avrebbero dovuto, rispettivamente nel breve e nel medio/lungo termine, provvedere un’infrastruttura comune europea per le comunicazioni sicure e la gestione delle emergenze. Il risultato è che solo ora i due programmi cominciano a vedere una seppur debole luce, scontando un divario ormai incolmabile accumulatosi nel frattempo rispetto alla costellazione Starlink, sempre dell’immancabile Elon Musk.

La conseguenza tangibile delle due situazioni paradigmatiche descritte è una profonda crisi dell’industria spaziale europea, specialmente francese e tedesca, col rischio di licenziamenti a tappeto e di perdita di posizionamento tecnologico.

L’Italia, e non a caso, è attualmente in una situazione migliore di molti degli Stati membri europei. La tradizione italiana nello spazio conta ormai più di sessanta anni, l’ecosistema industriale è sufficientemente vario, con la presenza di una qualificata e molto apprezzata piccola e media industria ed una buona collaborazione fra università, centri di ricerca ed industria. Il coordinamento delle attività spaziali è affidato all’Agenzia spaziale italiana, in fase di rinnovamento e di miglioramento della sua efficienza. Infine, il sostegno del governo italiano, in termini di investimenti su budget nazionale e su fondi Pnrr, è stato sostanziale e lungimirante, nonché corroborato da una Legge sullo Spazio che fa chiarezza anche a livello normativo su tante questioni finora in sospeso.

Non ci si deve tuttavia illudere: non si può giocare nello scenario della New space economy senza prendere coscienza delle nuove regole del gioco. Queste nuove regole implicano una competizione acerrima, basata sull’eccellenza tecnologica, sulla qualità, sulla creatività, sulla flessibilità, sull’efficienza gestionale e su costi concorrenziali a livello globale.

La Space economy ci impone un radicale cambio di mentalità: da un approccio fiducioso nel supporto governativo sui grandi programmi, ad uno totalmente commerciale, ma non a scapito di eccellenza e qualità. Da una visione satellito-centrica, ad una mirante all’integrazione con tutte le infrastrutture della società, sulla base di applicazioni e servizi ad alto valore aggiunto.

Competere nel mercato della New space economy, soprattutto di fronte ai nuovi giganti monopolisti internazionali, rappresenta una sfida complessa, ma non insormontabile. Sono necessari, a livello pubblico e privato, una serie di cambiamenti radicali, i quali, prima ancora di essere tecnologici, devono investire il nostro modo di concepire l’impresa ed il mercato, la nostra propensione al rischio, l’organizzazione industriale e la gestione dei contratti.

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Una delle principali cause della rivoluzione in atto nel mercato spaziale è stata la riduzione dei costi ricorrenti, in particolare, ma non solo, quelli dei lanciatori (una riduzione di un ordine di grandezza ed oltre negli ultimi dieci anni). Innovazione e riduzione dei costi devono andare di pari passo, in modo sinergico e non antagonista.

L’innovazione deve mirare a raggiungere posizioni di eccellenza a livello internazionale, ma non a 360 gradi: non ha molto senso (come purtroppo l’Europa ha fatto in passato) cercare di riconquistare le posizioni perse nei confronti di aziende come Space X, ma piuttosto crearsi nicchie di indiscusso ed incontrastato predominio in tecnologie chiave e strategiche.

Da questo punto di vista, non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del settore downstream (cioè, dei servizi a valore aggiunto rivolti agli utenti finali, pubblici o privati che siano), che rappresenta di fatto più del 70% dell’intera economia spaziale.

La propensione al rischio, molto bassa nelle industrie europee, va promossa attraverso un rilancio convinto delle partnership pubblico-privato (Ppp). La creazione di collaborazioni forti tra enti pubblici e aziende private può portare ad un ambiente più favorevole per l’innovazione e per il supporto finanziario di iniziative spaziali, abbandonando la vecchia mentalità, confidente negli aiuti a pioggia con denaro pubblico.

Per finanziare innovazione e potenziale competitivo è tuttavia cruciale l’accesso ai capitali, meglio se privati. Start-up e PMI, sempre più attive nel settore, devono essere supportate da società di venture capital e da investitori privati interessati al potenziale di crescita del mercato spaziale.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo devono essere convogliati nella giusta direzione e non dispersi in mille rivoli, come spesso purtroppo avviene anche in Italia. È necessario creare o rafforzare il coordinamento fra università, istituti di ricerca ed industrie attraverso agenzie nazionali (Asi) ed internazionali (Esa, Euspa) che favoriscano, ad esempio, la nascita di cluster tecnologici.

Le università in particolare devono svolgere un ruolo fondamentale nella formazione di tecnici e ricercatori eccellenti e dotati della giusta forma mentis, cioè, disposti a mettersi in gioco in sfide ambiziose e difficili.

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La competizione internazionale deve necessariamente passare attraverso l’apertura di nuovi mercati e di nuove opportunità commerciali: l’Italia può e deve aumentare il proprio export spaziale.

In questa prospettiva, la cooperazione internazionale, efficacemente coordinata dal nostro ministero degli Esteri, può aprire nuove opportunità di mercato, come il lancio di satelliti per paesi emergenti o la fornitura di servizi spaziali a livello internazionale. Un unico caveat: la cooperazione è efficace, anche a livello geopolitico, solo se basata su eccellenza e competitività.

Un ultimo punto, per quanto delicato e dibattuto: la sicurezza, da e per i sistemi spaziali. I sistemi spaziali, essendo altamente integrati nelle infrastrutture critiche della nostra società, devono essere garantiti e protetti da attacchi intenzionali e non intenzionali. Inoltre, come la guerra in Ucraina ha tristemente dimostrato, negli ultimi anni è avvenuta una crescente militarizzazione dello spazio, con la rinascita di dubbi e quesiti che si credevano ormai dimenticati, quali quelli sull’uso di ordigni nucleari in orbita.

Sicurezza e militarizzazione, come tutte le minacce, generano nuove esigenze, ma, al contempo, creano anche nuove opportunità. Competere nel contesto della New space economy richiede in primis un cambiamento radicale di mentalità imprenditoriale, poi una combinazione di innovazione tecnologica, strategie di mercato intelligenti, ed un forte supporto finanziario, meglio se privato. Le Pmi italiane, con la loro tradizione di eccellenza in settori tecnologici avanzati, hanno il potenziale per ritagliarsi un ruolo significativo nella Space economy, ma tutto ciò richiede una strategia ben pensata, un uso intelligente delle risorse e una forte volontà di innovare e collaborare, accettando i rischi di un mercato fortemente competitivo.



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