Quando la politica lavora contro la pace, l’ultima speranza è la fede

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di Pierluigi Franco

Se la politica annaspa sulle tematiche di pace, con la diplomazia privata della possibilità di agire, non resta che affidarsi alla forza del dialogo religioso. Ben venga dunque qualunque religione, purché sia in grado di parlare di pacificazione e di risoluzione dei conflitti. Il tema, più che mai attuale, viene affrontato da Andrea Angeli nel suo ultimo libro “Fede, ultima speranza. Storie di religiosi in aree di conflitto”, edito da Rubbettino.

Per oltre trenta anni funzionario della Nazioni Unite, Angeli ha fatto parte dei contingenti di pace in Namibia, Cambogia, Timor Est ed ex Jugoslavia e ha prestato servizio, oltre che a New York, a Santiago del Cile e a Baghdad. Ma nella sua lunga esperienza è stato anche portavoce dell’Osce in Albania, dell’UE a Skopje e Kabul e dell’Autorità di Coalizione a Nassiriya, ricoprendo poi il ruolo di political advisor dei comandanti dei contingenti Nato a Herat e Pristina. Un bagaglio di conoscenze dirette delle aree più calde del mondo che ora ha deciso di condividere con il lettore. Lo fa in un volume dedicato al ruolo, spesso dimenticato o sottovalutato, dei religiosi nel promuovere il dialogo e la pace. Come scrive il cardinale Camillo Ruini nella prefazione, “le vicende narrate sono spesso avvincenti e danno conto di una vita che ha spaziato nelle più diverse aree del pianeta”, sottolineando che “anche lo stile di Angeli colpisce favorevolmente” poiché “scrive con brio e incisività, tiene desta l’attenzione del lettore e stimola la sua curiosità”.

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Nel libro vengono riportati fatti inediti che testimoniano l’importanza assunta da quelli che vengono definiti intrepidi missionari, suore-rambo, cappellani militari, vescovi trascinatori, monsignori fuori dal coro, austeri diplomatici vaticani ma anche archimandriti sotto assedio e rabbini erranti. D’altra parte, l’accendersi sempre più diffuso delle guerre sparse è motivo di rafforzamento della fede religiosa in chi si trova coinvolto nei conflitti, quell’ultima speranza ben sottolineata anche nel titolo del volume. A fronte della disperazione delle guerre si riscoprono inevitabilmente antiche devozioni, si prega e si invocano l’intervento e la protezione divina. Ma si cerca anche il conforto di chi, in ogni religione, viene ritenuto intermediario tra gli esseri umani e Dio. Così ci si affida a sacerdoti, suore, pope ortodossi, imam e rabbini, con i quali spesso ci si confida e dai quali si cerca una parola consolatoria che guardi verso la pace.

Nel suo andare da una parte all’altra del mondo, Andrea Angeli ha incontrato molti di questi religiosi anche in posti remoti, dalla Cambogia a Timor Est, dai Balcani all’Afghanistan. Così, nel libro, racconta episodi vissuti in prima persona, con la conoscenza diretta di coloro che prestavano la loro opera sulla linea di fuoco assumendo il ruolo di “testimoni di pace”, come li ha definiti il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando padre Paolo Dall’Olio. Proprio a padre Dall’Olio, con il titolo “Il gesuita incompreso”, è dedicato un capitolo del volume. Angeli lo aveva conosciuto e ricorda quel momento come “l’incontro di carattere religioso più rilevante”, ripercorrendo le tappe che hanno portato padre Paolo dalla rifondazione dell’antica comunità siro-cattolica di Al-Khalil nel monastero del VI secolo d.C., in pieno deserto siriano, fino alla sua misteriosa scomparsa avvenuta mentre operava per la pace in territorio controllato dalle milizie islamiste.

Nel libro viene quindi messo in evidenza il fatto che le scelte dei religiosi in aree di conflitto sono spesso genuine e talvolta quasi obbligate perché vincolate al dovere della missione. Così non si abbandona mai il campo, ma si resta in prima linea pronti ad assistere gli indifesi o a difendere i baluardi di pace anche a costo della propria vita. Ne è esempio il caso dei monaci ortodossi dello splendido monastero di Visoki Dečani, patrimonio dell’Unesco, a cui è dedicato un capitolo esplicitamente intitolato “Leopard al monastero”. Il convento ortodosso fu costruito nel 1327, sessantadue anni prima della battaglia di Kosovo Polje, e si trova in un’area del Kosovo oggi abitata da kosovari-albanesi totalmente ostili alla chiesa serbo-ortodossa. Un territorio già roccaforte del famigerato Uck e caro al suo comandante Ramush Haradinaj, che lì è nato e cresciuto. Le minacce continue nei confronti del monastero e dei suoi monaci hanno imposto la presenza di reparti armati a difendere la struttura e la vita dei suoi ospiti; un compito affidato ai soldati italiani che lo presidiano 24 ore su 24. Tra i vari “attentati” al monumento di Dečani, Angeli racconta anche del tentativo delle autorità locali di realizzare una superstrada nell’area del monastero e della difficile trattativa con la quale si è riusciti a sventare tale minaccia.

Il libro è dedicato dall’autore ad alcuni amici scomparsi: al diplomatico Giandomenico Picco, negoziatore di successo in molte situazioni di crisi e definito da Angeli “luce di speranza nelle notti di Beirut quando l’Onu faceva la differenza” in riferimento alla liberazione di undici ostaggi in Libano, ai giornalisti Franco di Mare e Andrea Purgatori, “indimenticabili compagni di viaggio” e al Generale dei Carabinieri Leonardo Leso, “nome in codice DoppioLima, sempre in prima linea a tutte le latitudini”.





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