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Da Milano a Messina si sta diffondendo il modello dell’energia condivisa da fonti rinnovabili. Il consenso è trasversale. Ma serve un piano. Il sistema di incentivi attuale terminerà nel 2027
A che punto siamo con lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili? La domanda è di qualche interessa non solo perché se ne è parlato tanto in questi anni ma perché sembra essere rimasto un ambito, davvero tra i pochi, senza problemi di conflittualità. Persino i comitati anti-rinnovabili della Sardegna, che combattono qualsiasi tipo di impianto solare o eolico sull’Isola, chiedono che piuttosto si facciano le comunità energetiche.
E il consenso tra gli schieramenti politici è assolutamente bipartisan, tanto che nella scorsa legislatura l’Italia è stato il primo paese europeo a recepire la Direttiva europea sulle Cer, per una sperimentazione per impianti condivisi fino a 200kW, con un ruolo fondamentale nel passaggio parlamentare dell’allora senatore della Lega Paolo Arrigoni, oggi presidente del Gse. Insomma, se ne può parlare fuori dai soliti schemi e se ne deve parlare perché è tempo di bilanci e di riflessioni rispetto ad alcuni problemi da superare e scelte da prendere.
Le comunità energetiche
Partiamo dai numeri. I dati del Gse descrivono una situazione in crescita, con oltre seicento comunità energetiche in esercizio divise nelle tre configurazioni oggi possibili di scambio a distanza e all’interno di edifici, con 65 Mega watt installati. Si potrebbe osservare che sono davvero poca cosa a confronto con quanto installato nel 2024 di fotovoltaico, ossia più di 6mila Mega watt. Ma sarebbe un errore, perché queste configurazioni sono molto più complesse da organizzare e rappresentano una innovazione gigantesca nel sistema energetico, che è quella della condivisione attraverso la rete elettrica e all’interno di una delle oltre due mila cabine primarie in cui è divisa l’Italia.
È normale che i processi siano più lenti, perché l’accesso agli incentivi avviene solo per l’energia che contemporaneamente viene prodotta dagli impianti e consumata dai soci, poi bisogna mettere assieme più soggetti e non è detto che lo si voglia fare, che si vada d’accordo e ci si fidi reciprocamente. Anche per questo vanno a rilento le configurazioni che riguardano i condomini che apparentemente sembravano più semplici da sviluppare.
È normale, ci vorrà tempo, ma quando cominceranno a essere diffuse e conosciute si comprenderanno meglio i vantaggi e ci sarà di un’accelerazione. Intanto però un errore è stato fatto nella precedente legislatura. Ed è stato quello di assegnare 2,2 miliardi di Euro del Pnrr per un contributo fino al 40 per cento dell’investimento nei piccoli Comuni fino a 5mila abitanti. Se infatti l’obiettivo era lodevole oramai siamo sicuri che quelle risorse non verranno mai utilizzate, sono pochi i progetti partiti per la semplice ragione che sono territori con pochi abitanti e quindi limitati consumi. In più la definizione delle regole di accesso è stata lunga, con procedure arrivate in ritardo e inutilmente complesse.
L’energia condivisa
Eppure, se si guarda dentro i progetti che stanno andando avanti nei diversi territori della penisola si trova conferma di quanto sia interessante il modello della condivisione di energia. Lo è per le imprese, perché all’interno di distretti o ambiti omogenei sono evidenti i vantaggi di impianti solari studiati non solo per la singola azienda ma per più utenze che possono studiare come beneficiare della sovrapproduzione di alcuni capannoni, in determinati momenti della giornata o dell’anno, dei cicli produttivi. Da Treviso a Salerno sono già partiti diversi progetti e altri stanno andando avanti con il supporto di piccole imprese e grandi utilities che si candidano a gestire progettazione e gestione.
Ma lo è soprattutto per gli obiettivi sociali che in molti progetti si stanno portando avanti, di contrasto alla povertà energetica con il coinvolgimento diretto di soggetti in condizioni di difficoltà o di strutture come case famiglia. Grazie a finanziamenti di enti benefici e fondazioni è diventato possibile costruire esperienze bellissime in quartieri complicati di Milano, Napoli, Messina e Roma. Proprio a Roma per dare supporto a progetti solidali è stato approvato un regolamento per assegnare a enti del terzo settore la realizzazione di Cer su impianti e tetti di edifici del Comune.
I limiti dei progetti
Ma se vogliamo che questi modelli prendano piede dobbiamo intervenire sulle barriere e i problemi. Il primo riguarda proprio i limiti che incontrano i progetti che puntano a coinvolgere chi più ne avrebbe bisogno. Da un lato perché le risorse del Pnrr a fondo perduto sono inaccessibili nelle periferie delle grandi città e dall’altro perché l’Italia è oramai l’unico paese in Europa a non avere un fondo di garanzia pubblico per questo tipo di interventi. Con il paradosso che le banche non concedono prestiti a progetti che hanno tempi di rientro competitivi ma di cui non si fidano.
A fermarsi sono proprio le Cer che potrebbero mettere in campo soluzioni strutturali all’aumento delle bollette delle famiglie più povere slegandole dai prezzi in crescita del gas. In parallelo bisognerebbe intervenire per ridurre le complicazioni giuridiche, tecniche e fiscali.
Ma ha anche senso guardare già a come dare un futuro a questa prospettiva, oltre l’orizzonte del sistema di incentivi attuale che terminerà nel 2027. Magari a partire dalle esperienze di altri paesi europei che hanno scelto strade meno complicate.
Rimuovere i problemi
Se infatti l’obiettivo è premiare la realizzazione di nuovi impianti rinnovabili che soddisfano consumi di utenze nello stesso territorio, in modo da pesare meno sulla rete e sulla necessità di centrali termiche di riserva, allora vale la pena, ad esempio, guardare al modello spagnolo. Dove semplicemente quell’energia viene tolta dalle bollette.
Così diventa più facile fare i conti e le stime di rientro dei progetti e si evitano giri di risorse dal Gse verso la Cer e poi verso i soci. Ha senso cominciare a parlarne per condividere un percorso che è nell’interesse di un Paese che ha rilevanti problemi ma anche enormi opportunità grazie al solare. Di sicuro questi modelli di generazione distribuita e interconnessa collegati a batterie e ad auto elettriche, a sistemi digitali integrati di gestione della domanda, diventeranno sempre più competitivi e economici per la continua riduzione dei costi. E allora perché non cercare una via italiana dove si tengono assieme innovazione e semplificazione, imprese e famiglie?
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