Circa dieci retate in un mese, spiegamento di forze, zone rosse e modello Caivano: lo Stato interviene al Quarticciolo (periferia est di Roma) esibendo i muscoli, il quartiere invece lavora e si organizza per sviluppare un modello di convivenza elaborato dal basso. «Abbiamo un piano» recita il titolo del progetto di riqualificazione del Quarticciolo, redatto da tutte le realtà sociali di quartiere – Palestra popolare, Doposcuola popolare, Ambulatorio popolare, Comitato di quartiere, Microstamperia e Birrificio – in collaborazione con il Laboratorio di Studi urbani del Dicea (La Sapienza), incaricato dal dipartimento di urbanistica di Roma capitale. Lo scopo del piano è risanare gli spazi pubblici abbandonati, costruendo una rete di servizi e welfare che nella zona manca da tempo, rispondendo ai bisogni sul piano abitativo, educativo, di salute, sport e reddito. Il quartiere conta 4mila abitanti e solo 3 medici di base, il reddito medio annuo non supera i ventimila euro, molti inattivi, quasi il 30% dei residenti si ferma alla licenza media. Il progetto presenta una mappa della zona che evidenzia i luoghi su cui si intende intervenire, le misure richieste, e le istituzioni competenti (regione Lazio, comune di Roma, Municipio V e Ater).
Gli ultimi interventi urbanistici comunali risalgono a 15 anni fa. L’ultimo Contratto di quartiere, del 2003, non è stato completato, prevedeva la costruzione di un asilo nido mai realizzato. Niente opere pubbliche, la manutenzione realizzata solo dai residenti. Il parco Modesto di Veglia – intitolato informalmente al partigiano simbolo della resistenza al nazifascismo – è stato riqualificato dagli abitanti, solo dopo si è aggiunto il progetto finanziato dal comune con il laboratorio de La Sapienza. Ater, responsabile delle ristrutturazioni delle case popolari di Via Ugento, le ha cominciate e mai finite: «Dove sono finiti i fondi?» chiede Pietro di Quarticciolo Ribelle. «Ater, il vostro abbandono è il nostro degrado», si legge su una delle palazzine-cantiere.
Nel frattempo però Ater si è fatto promotore, insieme al Governo Meloni, dello sgombero dell’ex questura di via Ostuni, dove vivono circa 40 persone e che ospita il Doposcuola popolare, servizio essenziale alle famiglie, contribuendo a combattere la dispersione scolastica e fornendo percorsi di educazione all’affettività. «Nel 2021 all’interno dell’ex questura distribuivamo pacchi alimentari alle persone senza cibo, i municipi limitrofi ci hanno anche chiesto aiuto», sottolinea Fabrizio, attivista della Palestra popolare. Con il decreto Caivano l’esecutivo dovrebbe stanziare dei fondi per la riqualificazione, entro il primo marzo dovrebbe specificarne la natura e assegnare il subcommissario, ma non ha cercato un’interlocuzione con le realtà sociali.
Per questo motivo Quarticciolo Ribelle ha promosso un corteo il primo marzo. L’amministrazione Gualtieri, invece, si è fatta portavoce di un approccio diverso, affermando di voler partire dal basso e promettendo di stanziare 20 milioni, nonostante non ne abbia ancora definito l’indirizzo; intanto, però, ha organizzato diversi tavoli e assemblee con le realtà sociali, e promosso percorsi già avviati di riqualificazione. Parlando del progetto con Fabrizio (Palestra popolare), ci ha spiegato che loro, per primi, vogliono che il quartiere cambi, vogliono combattere lo spaccio di droga, che l’allocazione di risorse e fondi è positiva, ma non può essere indirizzata a colpire i luoghi simbolo del quartiere – come l’ex questura – che hanno contribuito a costruire un’alternativa alla strada.
Da anni queste realtà portano avanti progetti di riabilitazione e reinserimento degli ex detenuti, messe alla prova e misure alternative attraverso la palestra popolare, organizzano corsi di cucina, collaborano con un’azienda agricola di Zagarolo al fine di ridare vita al mercato di quartiere. «Sono arrivati dei decreti di rilascio delle case popolari per le famiglie che hanno membri con precedenti penali, una persona che ha già pagato il suo reato alla società, se si trova da un giorno all’altro senza casa, cosa deve fare? Se l’obiettivo è combattere lo spaccio, buttare le persone in mezzo alla strada non fa che consegnarle alla criminalità», afferma Fabrizio. Pietro, abitante dell’ex questura dove ha trovato un rifugio dopo aver perso il lavoro e la casa, ci spiega che ha «visto un peggioramento dello spaccio in strada, nonostante le centinaia di retate e operazioni ad alto impatto, se non si migliora la vita concreta delle persone non si risolve il problema della droga».
Mario rincara: «la guerra agli spazi sociali è una scelta politica che non ha nulla a che vedere con la sicurezza. Meloni fa campagna elettorale da quando è stata eletta». L’interesse delle realtà che hanno redatto il piano, invece, è la costruzione di una comunità alternativa che garantisca i servizi base. È una politica in senso stretto, dal basso.
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