Ecco perché il settore aerospaziale italiano deve andare oltre il Venture Capital

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Il Venture Capital ha avuto un ruolo chiave nella nascita di startup innovative, ma non può essere l’unico strumento a disposizione per garantire la crescita strutturale dell’intero comparto aerospaziale. L’intervento a doppia firma di Alessandro Sannini, Private Equity Investor e Leonella Gori, Phd Sda Bocconi School of Management

I nuovi indirizzi del Governo in materia spaziale e aerospaziale segnano un momento di svolta per un settore strategico, che è stato spesso sottovalutato nella pianificazione delle politiche industriali nazionali. Finalmente si riconosce l’importanza di sostenere gli investitori, sia privati sia pubblici, per stimolare un ecosistema imprenditoriale più dinamico e competitivo. Se negli ultimi anni si è molto investito nel Venture Capital, nei programmi di accelerazione e incubazione per le startup, ora il focus si sposta su una sfida cruciale: il sostegno alle Pmi attraverso strumenti di Private Equity e nuove strategie di aggregazione industriale. Infatti molte imprese italiane che competono nell’arena “Spaziale” non sono più giovani virgulti armati di buone idee e scarsa esperienza imprenditoriale, bensì mature aziende che volgono i propri interessi economici e produttivi a questo nuovo campo d’azione e necessitano di crescere in esso.

Il Venture Capital ha avuto un ruolo chiave nella nascita di startup innovative, ma non può essere l’unico strumento a disposizione per garantire la crescita strutturale dell’intero comparto. Il modello basato esclusivamente sugli investimenti in early-stage non è più sufficiente: il settore aerospaziale italiano necessita di un mix finanziario più articolato, che includa Private Equity, Minibond, Basket Bond e strumenti di finanziamento specifici per l’aggregazione industriale. La borsa, intesa come quotazione, può costituire un importante punto obiettivo per aziende che abbiano raggiunto anche un grado di maturità finanziaria, spesso ancora da costruire, che consenta loro una proficua sopravvivenza sul mercato dei titoli quotati. Il rischio, altrimenti, è che molte startup promettenti non riescano a crescere, lasciando il campo libero a colossi stranieri o a un mercato stagnante dominato da pochi grandi player.

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Il problema principale del comparto aerospaziale italiano è la forte concentrazione del fatturato nelle mani di poche aziende. Secondo il rapporto Sace 2024, il 70% del valore complessivo del settore è generato da meno di dieci imprese, mentre il restante 30% è suddiviso tra un elevato numero di Pmi. La frammentazione è evidente, con numerose aziende che operano in modo indipendente senza connessioni solide con il resto della filiera. Il segmento upstream, che include satelliti, lanciatori e infrastrutture spaziali, è particolarmente oligopolistico, con un HHI (Herfindahl-Hirschman Index) superiore a 2.500, segno di una concentrazione elevata. Il comparto downstream, invece, appare più frammentato, con un HHI inferiore a 1.500, ma sconta una scarsa strutturazione del mercato.

L’assenza di una vera politica industriale, quantomeno nei confronti di un settore la cui strategicità, a livello macro, si è delineata più chiaramente negli ultimi anni, ha amplificato questi squilibri, impedendo una crescita armonica. Senza un piano strategico chiaro, il comparto ha visto la proliferazione di micro-aziende che faticano a trovare sbocchi di mercato e il consolidamento di pochi grandi player che monopolizzano i principali contratti.

Una possibile applicazione di strumenti quali la matrice BCG[1] applicata al segmento italiano, permette di visualizzare che aziende come Leonardo e Avio sono chiaramente posizionate tra le “Cash Cows”, ossia realtà consolidate che generano liquidità, ma che rischiano di perdere competitività senza un adeguato rinnovamento tecnologico.

Pmi innovative come D-Orbit e Argotec si trovano invece nella categoria delle “Question Marks”, con grandi potenzialità di crescita ma ancora limitate capacità di autofinanziamento. La mancanza di un forte supporto finanziario e di politiche incentivanti per le imprese di fascia media rischiano di condannarle a una crescita lenta o all’assorbimento da parte di gruppi più grandi.

La struttura industriale attuale, inoltre, limita la competitività del settore nel lungo periodo. Il potere contrattuale delle controparti commerciali è elevato, dato che molte Pmi dipendono esclusivamente da pochi grandi clienti, come l’Esa e il Ministero della Difesa. I margini di manovra sono ridotti e spesso le aziende minori si trovano in condizioni di subordinazione. Il potere contrattuale dei clienti, d’altro canto, è altrettanto elevato, con le istituzioni e le grandi multinazionali in grado di imporre condizioni rigide. L’intensità della competizione è limitata proprio dalla concentrazione del mercato, mentre la minaccia di nuovi entranti è ridotta dai costi elevati e dalla difficoltà di accesso ai finanziamenti.

A tutto questo si aggiunge un’analisi PEST (acronimo di Politica, Economica, Sociale, Tecnologica) che aiuta a comprendere i fattori esterni che incidono sulle dinamiche del settore. Dal punto di vista politico, l’assenza di un piano industriale coerente per il settore aerospaziale ha portato a una dipendenza eccessiva da fondi pubblici discontinui e da politiche di incentivazione sporadiche. La mancata creazione di un framework normativo adeguato e l’assenza di incentivi per le Pmi rendono il contesto instabile, impedendo agli investitori di pianificare a lungo termine. A livello economico, il settore soffre la volatilità dei finanziamenti pubblici e privati, con un sistema bancario poco incline a sostenere operazioni di private equity dedicate al comparto aerospaziale. La mancanza di capitali privati per la crescita delle Pmi le espone a manovre di take over da parte di grandi gruppi internazionali.

Fattore cruciale è la necessità di una governance più efficace e lungimirante per il settore. Il comparto aerospaziale non può più basarsi su strategie di breve periodo e finanziamenti erogati a intermittenza. Occorre un coordinamento tra istituzioni, imprese e centri di ricerca per creare un ecosistema industriale stabile e competitivo. Il modello attuale, basato su politiche frammentate e su una gestione reattiva anziché proattiva, ha penalizzato la crescita delle Pmi, impedendo loro di strutturarsi in realtà più solide. È indispensabile adottare una governance “smart”, capace di identificare le aree di crescita strategica e di favorire un’integrazione efficace tra filiere produttive.

In questo contesto, una politica industriale lungimirante dovrebbe incentivare la creazione di distretti industriali specializzati, rafforzare i programmi di co-finanziamento pubblico-privato e favorire l’adozione di strumenti di private equity mirati al settore aerospaziale. Una maggiore sinergia tra pubblico e privato, insieme a un framework normativo più chiaro e stabile, possono consentire al comparto di sviluppare un modello di crescita sostenibile e competitivo a livello internazionale.

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Il futuro del settore aerospaziale italiano non può essere sostanzialmente affidato solo agli investimenti pubblici o alle poche grandi aziende che dominano il mercato. Servono strategie di aggregazione efficaci, finanziamenti diversificati e una politica industriale capace di guidare la crescita in modo equilibrato. Confrontando con le dinamiche politico/industriali presenti nei principali Paesi esteri non sembra esservi più molto spazio per soluzioni parziali e non perfettamente consce della rilevanza strategica ed economica del mondo Spazio: occorre che un sistema realmente competitivo e basato sulla ricerca dell’innovazione continua guadagni una direzione di operatività precisa ed orientata in modo netto. Le eccellenze italiane possono consentire al Belpaese di giocare un ruolo da protagonista nel panorama aerospaziale globale, ma vi è il rischio di non posizionarsi al livello desiderato se la concretizzazione di programmi e proclami sarà modesta o parziale. Le scelte dei prossimi anni, da parte della politica e non solo, determineranno il futuro di un comparto che può diventare uno dei motori di crescita dell’economia nazionale.

 

[1] Boston Cosulting Group, Cfr.



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