insufficienti le iniziative di educazione alla pace

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Stiamo attraversando l’anno scolastico 2024-2025 (viaggiamo speditamente verso la fine del primo quarto del terzo millennio d.C.). All’inizio del II quadrimestre di quasi tutte le scuole italiane da quella dell’infanzia passando per la primaria e fino alle secondarie di I e II grado, gli utenti più sensibili e attenti al sistema educativo e, non è fuori luogo dire, la società italiana si pongono due domande rispetto agli ultimi avvenimenti sui conflitti bellici che vediamo ampliarsi sempre più. La prima è: “oggi, come si pone la Scuola italiana difronte alle guerre in corso? “. La seconda è: “sono sufficienti le iniziative del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, sulla Scuola italiana rispetto alle guerre in corso?”.

Nella Scuola italiana vanno bene tutte (o quasi tutte) le iniziative che vengono prese, ai sensi del Dpr 8 marzo 1999, n. 275, regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni, sia didattica che organizzativa, per averne consapevolezza ed esprimere dissenso contro le guerre del mondo: va bene l’approfondimento degli studi sulla storia delle guerre, va bene l’attuazione di progetti capaci di promuovere la solidarietà e il dialogo tra le persone e tra i popoli, e che puntano inequivocabilmente all’interculturalità, vanno bene il coinvolgimento dei discenti e l’attuazione di attività di sensibilizzazione rivolte ad essi finalizzate, non solo a riflettere sulla brutalità delle guerre, ma  anche a centrare l’obiettivo della formazione di cittadini responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri in un contesto che non li vede più chiusi nei confini nel loro piccolo mondo, ma proiettati in un mondo che si è esteso all’intero pianeta; vanno bene anche e ovviamente l’educazione non retorica sui diritti umani e, soprattutto, il paziente lavoro di molti docenti a sviluppare le capacità critiche dei loro studenti, che è la vera finalità della Scuola, senza escludere la spiegazione del valore della protesta rispetto a ciò che si ritiene sbagliato e quello della mobilitazione contro il male che li circonda.

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Credo, peraltro, che sia fuori da ogni dubbio che la Scuola italiana, oggi, in quanto manifestazione del sentire sociale ed essendo parte di un sistema educativo internazionale occidentale, cerchi di affrontare il problema delle guerre nel mondo ponendo al centro: la cooperazione internazionale, l’educazione alla pace (con qualche distinguo anche di sostanza) e il rispetto dei diritti umani rivenienti dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani”, approvata dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre del 1948.

Tutto ciò fa parte del Dns della Scuola italiana, ma il problema è su come essa si approccia a queste problematiche, che, in nome della sacrosanta libertà d’insegnamento, sono a volte affrontate con superficialità, che spesso sfocia nel veicolare messaggi divisivi; questi, infatti, contrastano con i messaggi che dovrebbero sempre andare in direzione di una educazione delle future generazioni alla pace senza se e senza ma. Per questo, allo scrivente appare sempre attuale il problema della formazione degli insegnanti che è, in molti casi, del tutto insufficiente rispetto ai compiti della Scuola prospettati sopra in materia di educazione alla pace. 

Si vuole sottolineare qui che qualche volta, addirittura, si rema contro l’efficacia delle iniziative in tema di educazione alla pace e c’è anche, spesso un approccio che è esattamente il contrario delle cose dette sopra. Un solo esempio: molte scuole, in specie secondarie di II grado, ma anche addirittura di altri segmenti del sistema, promuovono iniziative progettuali con le forze armate di ogni tipo, al fine di promuovere la professionalizzazione del settore militare. Ebbene c’è da rilevare un forte contrasto con i principi costituzionali dai quali emerge chiaro come l’Italia ripudi la guerra e, ovviamente, tutto ciò che rappresenta l’uso della forza e, pensa chi scrive, anche la militarizzazione dei suoi futuri cittadini se non per scopi strettamente di sicurezza. 

Le armi vanno abolite e con esse vanno messi al bando i produttori miliardari di armi che lucrano inverosimilmente con le guerre sparse nel mondo (trattasi dell’economia più fiorente del mondo); le armi non vanno sponsorizzate come necessarie per la difesa dei popoli perché solo la cooperazione pacifica tra essi può assicurare la loro difesa. La difesa dei popoli si ottiene rendendo universale l’anelito alla pace e non promuovendo, come fa La Russa, il “mini naja” per i giovani in formazione, addirittura collegato ai crediti scolastici.  Di cultura della pace ha bisogno la Scuola italiana e non di cultura militarizzante!

La pace non si discute: la pace si persegue in quanto valore ineludibile dell’uomo che vuole sopravvivere come specie. Non deve esistere il concetto né di pace giusta né di quella fatta da compromessi. La pace è l’armonica convivenza tra esseri umani dotati di buona volontà. La pace è il risultato della mente dell’uomo che ha capito la sua essenza, che è quella di vivere un tempo infinitesimo, rispetto all’eternità, su questo pianeta vagante nell’Universo; la pace è la convivenza umana che conviene a tutti, che conviene al singolo uomo per viverla insieme agli altri suoi contemporanei al fine di aumentare il suo benessere del grande dono della vita. La pace è quella convivenza umana che si regge sul principio del rispetto delle opinioni e degli interessi altrui e non sul principio della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, che genera le guerre, finalizzato a far prevalere le convinzioni e gli interessi di parte annientando con la forza il proprio simile che dissente.

Sulla seconda domanda, c’è subito da osservare che il Ministro dell’Istruzione e del Merito in questa delicatissima fase dei conflitti non riesce a mettere in campo una sola iniziativa di segno vincente rispetto al problema dell’Educazione alla pace. Egli si preoccupa di intervenire sui programmi scolastici, in particolare su quelli si Storia e di Educazione civica rivedendo, ad esempio, le indicazioni nazionali di Storia, dando spazio allo studio degli eventi storici successivi alla Seconda Guerra Mondiale con il fine di promuovere nelle giovani generazioni (sic) una cittadinanza più consapevole e il rispetto dei valori democratici.                                           

Il ministro ha anche sottolineato, in maniera doverosa, ma anche scontata, l’importanza della commemorazione di eventi storici drammatici come quello del Giorno del Ricordo, che hanno portato ad eccidi come quelli delle Foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, ma anche del Giorno della Memoria, con lo sterminio degli ebrei al fine di “mantenere viva la memoria degli orrori del passato per combattere ogni forma di odio e di violenza”. Il Ministro poi, preannunziando l’istituzione di un gruppo di lavoro sull’Educazione civica con il compito di rivederne le linee guida, afferma che tale gruppo di lavoro dovrà sottolineare le necessità, abbastanza scontate anche queste, di perseguire l’uguaglianza tra gli esseri umani come diritto inviolabile e di formare cittadini consapevoli attraverso il possesso degli eventi storici.

Inoltre, il Ministro ha scatenato fior fiori di polemiche con l’idea di reintrodurre a partire dalla seconda media lo studio del latino, sia pure con obiettivi e finalità diverse da quelli del passato e, soprattutto, ha posto l’accento sulla centralità dello studio della storia nazionale in barba alle esigenze d’interculturalità che la cultura moderna esige. Appare evidente che la risposta alla seconda domanda non può che andare nella direzione di una totale insufficienza delle iniziative ministeriali rispetto al grave problema delle guerre in corso.

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In conclusione, ahimè, vediamo sotto i nostri atterriti occhi che la pace la decidono i potenti (oggi Trump e Putin e chi servilmente si allinea a loro per biechi interessi di bottega, domani altri) a danno dei più diseredati, i meno potenti (Zelens’kyj, il popolo destinato alla deportazione, i palestinesi e altri immersi in questo nefasto vortice della violenza). Oggi siamo al punto che i più deboli la devono accettare la pace perché sempre pace è e la devono accettare difronte alla conclamata impotenza di altre entità (la Ue) e di fronte al pilatismo di altre che, pur direttamente interessate, stanno a guardare perché incapaci di esprimere politiche efficaci in direzione della pace condivisa.

Con questi risultati negativi esemplari a chiunque viene il dubbio che si possa celebrare il “de profundis” all’Educazione alla pace. Chi scrive rifugge da questo dubbio e, in positivo, sposa la speranza nell’impegno di molti.

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