Venezia, il Comune in mano alla Brugnaro Sas. Le opposizioni: «Si dimetta»

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La laguna veneziana è scossa dalle indagini sulla corruzione per la vendita di un’area di oltre 40 ettari. L’operazione coinvolge l’amministrazione comunale di Luigi Brugnaro. È una storia di speculazioni edilizie tentate e conflitti di interesse. L’affaire ha inevitabili ricadute politiche.

Ieri tre imprenditori che hanno patteggiato sono stati rimessi in libertà. Daniele Brichese si è accordato per 3 anni e 10 mesi con 7 mila euro di confisca, Francesco Gislon per 2 anni e 6 mesi e una confisca da 45 mila euro e Fabrizio Ormenese per 2 anni e 9 mesi. Resta agli arresti domiciliari l’ex assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, anche lui in fase di patteggiamento su alcuni dei reati, Renato Boraso. L’accordo sulla pena dovrebbe trovare soluzione consensuale a giudizio del Gup il 15 maggio prossimo, quando Boraso avrà liquidato i 400 mila euro chiesti dai Pm, che al momento non sarebbero nella sua disponibilità.

Per i 34 indagati, compresi i quattro del patteggiamento, i pubblici ministeri hanno presentato la dichiarazione di chiusura indagini. Tra di essi il sindaco, il direttore generale dell’amministrazione comunale Morris Ceron, il vicecapo di gabinetto del sindaco Derek Donadini, l’imprenditore con base a Singapore Ching Chiat Kwong e il suo collaboratore italiano Luis Lotti.

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I pm ipotizzano un nesso tra la tentata vendita dell’area dei Pili a Kwong e la svendita di due edifici storici. I terreni erano stati acquistati da Brugnaro prima di diventare sindaco per 5 milioni di euro e poi, nel 2017, erano entrati, come tutti i beni del sindaco, in un blind trust per aggirare le polemiche su possibili conflitti di interessi. Ballano cifre milionarie: la privatizzione di Palazzo Papadopoli a Ching tramite asta a 10,8 milioni di euro a fronte di una prima stima di 14 milioni, complice una tangente da 73mila euro all’ex assessore Reanato Boraso (tra gli indagati). I soldi erano sarebbero passati tra le mani del grande accusatore Claudio Vanin. Alla fine, il magnate di Singapore avrebbe potuto comprare l’area dei Pili ad oltre un centinaio di milioni di euro: il sovrapprezzo sarebbe stato giustificato da una modifica dei vincoli urbanistici che gravano su quel pezzo di Venezia, col raddoppio degli spazi edificabili, per assecondare un progetto che ricorda una piccola Dubai e che avrebbe compreso anche il palazzetto dello sport per la Reyer basket, società già di Brugnaro. L’affare non si è concluso anche a causa del forte inquinamento del sottosuolo, che prevede costi di bonifica elevati: ed ecco che riemergono i rifiuti tossici del petrolchimico di Marghera,

Dallo scorso 2 agosto, dal giorno in cui l’inchiesta giudiziaria è venuta alla luce, un movimento popolare si è convocato in occasione dei consigli comunali per chiedere le dimissioni di Brugnaro e della sua giunta, contemporaneamente i pariti del centrosinistra hanno dato vita ad assemblee pubbliche. Le mille pagine delle ordinanze disegnano un quadro solido, il rinvio a giudizio del sindaco dovrebbe arrivare entro un mese e il processo potrebbe essere celebrato in piena campagna elettorale, visto che si dovrebbe votare nella primavera del 2026.

I tempi incrociano quelli delle regionali, che dovrebbe avvenire nel prossimo autunno, sempre che la Lega non strappi una leggina per spostare anche questo voto all’anno successivo. Gli ultimi rumors parlano di un accordo tra Lega e FdI che prevede la Regione alla Lega senza Zaia. In cambio, a FdI spetterebbe la scelta del candidato sindaco di Venezia, per adesso circola il nome del senatore meloniano Raffaele Speranzon.

Brugnaro non è riuscito a dare respiro nazionale al suo progetto politico. Dopo il tracollo del soggetto lanciato con Giovanni Toti (anche lui finito sotto indagine per corruzione) ha annunciato che avrebbe corso alle regionali con Noi moderati, ma non è detto che la cosa si faccia. Tutte le opposizioni chiedono che faccia un passo indietro. A prescindere dagli esiti giudiziari: «Malgrado una situazione di prosperità economica, garantita dai massicci finanziamenti statali ed europei che non si vedeva da decenni – afferma Gianfranco Bettin, portavoce dei rossoverdi in consiglio comunale – la giunta Brugnaro ha sprecato una storica opportunità di rigenerare Venezia, come rilevano tutti gli indicatori principali. Inoltre, vi è l’evidenza e la persistenza di un colossale conflitto d’interesse che pone l’amministrazione della città in mano a un gruppo economico privato».



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