Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky prende la parola alla conferenza per la sicurezza di Monaco e tenta l’ultima mossa disperata per convincere non si sa bene chi, visto che l’unico soggetto che sembra disporre dei destini del suo Paese è ormai Donald Trump.
Zelensky evoca lo scenario che molti finora hanno evitato di affrontare in pubblico, cioè la guerra diretta di Vladimir Putin alla Nato. Zelensky spiega che quest’anno la Russia preparerà 15 divisioni, 100-150.000 persone, in Bielorussia.
La Bielorussia è lo Stato modello dell’idea putiniana di zona di influenza: formalmente indipendente, ma di fatto un satellite di Mosca, ci sono le elezioni, ma le vince sempre Aleksandr Lukashenko: alle ultime, quelle del 26 gennaio, ha trionfato con l’87 per cento. Ovviamente quasi nessuno a livello internazionale ha riconosciuto questa farsa.
La confinante Polonia ha ben chiaro cosa rappresenta davvero la Bielorussia: una specie di base militare per proiettare l’influenza della Russia all’estero. Per adesso con strumenti di guerra ibrida, come la gestione del traffico di migranti alla frontiera per destabilizzare la Polonia. Ma presto, avverte Zelensky, si potrebbe passare alla guerra vera.
Ecco, l’Ucraina che potrebbe uscire dalle trattative appena iniziate formalmente tra il presidente americano Donald Trump e Putin è, nelle intenzioni di Mosca, una grande Bielorussia. Non un territorio pacificato, con le dispute territoriali risolte e avviato a un pacifico status quo, come suggeriscono certi giornali italiani che hanno abbracciato le ragioni del Cremlino.
Piuttosto la nuova Ucraina sarebbe l’avamposto di Putin da dove combattere quella che è da tempo, ormai, una guerra contro l’Occidente. Lo ha detto lo stesso Putin a maggio 2024, quella che nel 2022 era iniziata come una «operazione speciale» adesso è diventata un’altra cosa. Una tappa nello sforzo della Russia per riscrivere «i principi sui quali il nuovo ordine internazionale deve essere basato».
Lo scenario ideale
Come già aveva annunciato proprio alla conferenza per la Sicurezza di Monaco nel 2007, Putin considera l’ordine mondiale unipolare, con gli Stati Uniti al vertice, ingiusto e instabile. Pretende che si passi a un ordine multipolare, ma non certo orizzontale.
Anche nel mondo che immagina Putin ci sono Stati più importanti di altri, in particolare gli «Stati-civiltà», come la Russia, la Cina e gli Stati Uniti, che sono autorizzati dalla loro storia e dalla loro natura a dominare sugli altri, sugli Stati vassalli, ai quali garantiscono protezione in cambio di sottomissione.
Per questo è così importante per Putin che Trump, nel messaggio di sintesi della loro telefonata a tema Ucraina, abbia fatto riferimento alla «grande storia delle nostre nazioni».
Il rapporto annuale della conferenza per la sicurezza di Monaco parla della Russia come di una «potenza Potemkin», in riferimento ai villaggi di cartapesta nei quali appositi attori sceneggiavano una vita agiata e felice del popolo per compiacere la regina Caterina II a fine durante il suo viaggio del 1787 nella Crimea sottratta agli ottomani.
La Russia ha subito perdite pesanti sul campo di battaglia, non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi strategici, se non l’occupazione delle regioni del Donbass, l’armata russa dipende dal sostegno esterno, ha avuto bisogno di 11.000 soldati nordcoreani che però non sono bastati a riconquistare le aree russe di Kursk occupate dagli ucraini nell’agosto 2024.
Però in guerra vince chi resiste un minuto più dell’avversario, e Putin sembra aver tenuto l’Ucraina sotto pressione abbastanza da spingere Trump a sacrificarla in nome di una tregua che darà a Mosca il tempo di preparare le prossime mosse.
Come osserva Dimitri Minc dell’Ifri, il più autorevole think tank francese, la tregua nella versione delineata da Trump è lo scenario ideale per Putin: gli offre il tempo per ricostituire armamenti e truppe nel caso voglia perseguire i suoi obiettivi più estremi − annessione completa dell’Ucraina, invasione di altri Stati che la Russia considera spettanti alla sua sfera di influenza, o attacco a un Paese NATO − ma i negoziati e il congelamento del conflitto consentiranno anche al presidente russo di valutare se non gli convenga esercitare la sua volontà di potenza in altri campi.
Obiettivo strategico
Putin, per esempio, potrebbe sublimare l’ansia da riconoscimento in ambiti diversi da quello militare: vuole sicuramente essere trattato di nuovo come un leader globale, riportare la Russia nel G8, vedere revocate sanzioni e mandati di cattura dalla Corte penale internazionale, che non riesce a farsi consegnare dall’Italia il torturatore libico Osama Najeem Almasri, figurarsi Vladimir Putin.
Nell’immediato, scrive Dimitri Minc, Putin vuole spingere l’Occidente a «fare il lavoro sporco, spingendo l’Ucraina ad accettare l’inaccettabile». Perdita di territori, rinuncia alla Nato, quasi certamente un cambio di governo con l’uscita di scena di Zelensky. Così Putin otterrebbe un triplo vantaggio: «Indebolire Kiev, offuscare l’immagine dell’Occidente e aumentare il risentimento degli ucraini verso quest’ultimo».
L’obiettivo strategico più importante per la Russia, infatti, è fermare l’avvicinamento dell’Ucraina, ma anche della Moldova, alla NATO, all’Unione Europea, alla prosperità: il confronto tra le condizioni di vita e di libertà sperimentati dai cittadini ex sovietici che hanno scelto l’Occidente e di quelli che sono rimasti sotto il giogo del Cremlino è un fattore molto destabilizzante per la Russia putiniana.
Il primo, grande successo, che Putin ha ottenuto nella campagna militare in Ucraina è quello di aver consolidato il suo potere, con l’eliminazione di ogni possibile fastidio alla sua permanenza, ormai a vita, al Cremlino. Un potere a vita ma forse anche oltre, nel senso che negli ultimi mesi sono apparse in pubblico più spesso le altrimenti molto riservate figlie del presidente, in particolare Maria Vorontsova, quasi a segnalare la possibilità di una linea dinastica.
L’ultimo vero oppositore di Putin è stato Alexei Navalny, il blogger e leader politico che ha denunciato la corruzione del sistema putiniano, è stato avvelenato, è sopravvissuto, è stato rinchiuso in una prigione in Siberia e lì è morto, giusto un anno fa, il 16 febbraio 2024. Un mese dopo si sono tenute le elezioni presidenziali che hanno visto l’ennesima conferma di Putin con l’89 per cento: elezioni fasulle, senza una campagna elettorale, senza veri sfidanti. Ma con un messaggio politico chiaro: Putin è l’unico, la morte di Navalny a modo suo è stata il più efficace dei programmi elettorali, anche se formalmente il Cremlino respinge ogni responsabilità.
Dopo dodici mesi, di Navalny resta un accenno di memoria, l’uscita della sua autobiografia Patriota, in Italia per Mondadori, ha soltanto segnalato il vuoto che ha lasciato.
Un sistema di potere non pacificato
Il fatto che Putin sia rimasto senza rivali, neppure potenziali come forse è stato per un breve momento il capo della milizia Wagner Evgeny Prigozhin, non implica che il suo sistema di potere sia pacificato ed efficiente.
A quasi un anno dai fatti, rimane senza spiegazioni ufficiali il siluramento del ministro della Difesa Sergei Shoigu, sostituito a maggio 2024 con Andrei Belousov, privo di qualunque esperienza militare e di legami con l’industria della difesa.
Shoigu, come Putin, è un politico che ha attraversato l’intera storia della Russia post-sovietica e, come Putin, ha costruito un sistema di potere che intreccia apparati militari e politica ed è alimentato da denaro pubblico che garantisce notevoli arricchimenti privati.
Quel che è risultato ancora più sorprendente è che dopo il cambio di ministro, Putin abbia autorizzato i magistrati a indagare per corruzione e smontare pezzo dopo pezzo la rete di Shoigu, con una serie di arresti di alto profilo. È finito in carcere, tra gli altri, perfino Dimitri Bulgakov, che è un altro ex ministro della Difesa.
Perché Putin si è avventurato in una soluzione simile, peraltro senza toccare direttamente Shoigu che è stato rimosso ma non indagato e siede su una simbolica poltrona al Consiglio superiore di difesa?
Mikhail Komin del Carnegie Endowment for International Peace, nel blog Carnegie Politika, suggerisce una spiegazione:
«Una possibilità è che Putin voglia che Shoigu assista allo smantellamento dell’intero suo clan, perché lo ritiene responsabile di aver gestito male il conflitto interno tra le élite che ha portato alla ribellione del capo dei mercenari della milizia Wagner, Yevgeny Prigozhin, nel 2023. Se questa è davvero la posizione di Putin, tuttavia, è improbabile che sia condivisa da molti altri alti funzionari, che tendono a incolpare lo stesso Putin».
Gli Stati Uniti non hanno mai pensato davvero a un regime change in Russia, se non nelle primissime fasi della guerra. Il 26 marzo 2022, in uno dei suoi discorsi più appassionati a Varsavia, l’ormai ex presidente Joe Biden aveva detto che Putin “non può rimanere al potere”.
E invece è stato Biden a dover lasciare il suo posto, presto toccherà a Zelensky. Adesso Trump sembra intenzionato ad assicurarsi che Putin rimanga tranquillo al Cremlino ancora a lungo.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 15 febbraio 2025
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