Due dei miei compagni di sempre, Roazzi e Veronese,il primo peraltro valente penna di questo giornale, mi forniscono più di uno spunto per riaffermare il mio pensiero sul Governo. Spero serva per chiarire ancor più la mia posizione.
Ovviamente trattandosi, quello del Governo, di un progetto completo, e cioè di una strategia economica, la regola di base delle scienze economiche – “tutto si tiene” – è un riferimento assoluto. Se tocchi anche uno degli elementi, anche il meno incisivo, potrebbe “smontarsi” tutto e le conseguenza a cascata sono moltissime. Spesso più negative per tutti che non per il Governo.
Ma non è vero che questa sia l’unica strategia possibile: sembra ovvio e non lo è. Perché, se fosse ovvio, si capirebbe che l’attacco a questa strategia deve compiersi con una alternativa avente la stessa forza e cioè la natura di progetto completo – e coordinato nei suo meccanismi. Ogni tentativo di incidere su un pezzetto solo del progetto economico in atto è destinato a fallire. Chi Governa si stringe a riccio, perché non può consentire di veder fallita un’intera impostazione politica. Ma anche chi è “neutrale” valuta cosa succederebbe a smontare un castello che qualche successo lo riporta, per cascare nel vuoto. Questo, vale per l’interno e vale ancora più per la politica internazionale.
E qui il secondo punto su cui bisogna capirsi: non riconoscere il ruolo che l’Italia sta assumendo nel mondo, anche se favorito dallo spostamento a destra dell’intero occidente, significa non valutare i pericoli che si correrebbero se non si proponesse qualcosa di “forte” in alternativa alla attuale politica. Della collocazione più o meno a destra dell’Italia non gliene frega nulla ai tantissimi altri Paesi: quello che da fastidio, con le dinamiche internazionali sempre più complesse, è che l’Italia appaia un attore sempre più rilevante nello scenario europeo. Per questo c’è chi potrebbe volerla “rimettere al suo posto”. La “politica” c’entra poco: l’azione italiana avrà conseguenze economiche su altre economie. Ed è su questo piano che si risponde. Non c’è alcun “complottismo” in questo pensiero: se si vuole una conferma del carsico gioco in atto, basta vedere quello durissimo nel sistema bancario (Italia vs Germania) e in quello delle assicurazioni intese come fondi di gestione che controllano il finanziamento del debito (Francia vs Italia – la vicenda Generali significa decidere chi controlla 36 miliardi di finanziamento del debito pubblico italiano). Il 2011 ci ricorda cosa significa soggiacere a manovre speculative estere. E c’è tutto il capitolo delle ultime vicende, comunque le si voglia interpretare, che toccano i nostri e gli altrui 007. Gridare allo “scandalo” è il modo migliore per non capirci niente.
Quando io, ma tanti altri compagni e soprattutto i due ai quali mi sono riferito, chiediamo di smetterla con i soli “pizzicotti” e tante fumose demagogie sul Governo e di pretendere invece un tavolo di confronto serio su programmi economici tra loro alternativi abbiamo di mira sollecitare non il tavolo ma il programma . Che non c’è.
Roazzi dice «si apra un tavolo decente di politica economica, recuperando le parti sociali ma non da spettatori». Non potrei essere più d’accordo. Perché pensare ad una vera e propria rivoluzione contro lo strapotere che si sta affermando e pensare ad un programma economico senza la partecipazione progettuale e di presenza, il consenso, l’appoggio del Sindacato non prepara alcun futuro. Non ci può essere un programma alternativo a quello del Governo che non si fondi su una profondissima riflessione – e relative correzioni delle attuali convinzioni – dell’analisi non solo di cosa è o sta diventando, ma cosa in un futuro che corre più veloce di sempre sarà il mondo del lavoro. Professionalità, processi, criteri di merito, produttività, addirittura la stessa presenza fisica dei luoghi di produzione saranno del tutto diversi da oggi. Questa parte di programma non può che essere elaborato dai Sindacati. E poi inserito, mediato, interconnesso con il programma economico e sociale di chi vuole schierarsi contro la politica di questo Governo.
Mi perderei in mille altre considerazioni e sono stato invece già fin troppo lungo.
Solo una annotazione, anche per chiarirmi con Veronese. Io credo nello sciopero: ma solo se è un’arma vera. Una volta decisa la strada da percorrere, definiti gli obiettivi di un programma che, per essere serio, deve anche valutare le gradualità da realizzare, il confronto con tutte le controparti – private e pubbliche – sarà al redde rationem. E se fosse necessario – e non vedo alternative – uno o anche più scioperi generali forti, duri, lunghi, incisivi, che realizzino una vasta solidarietà popolare mi sembra la strada da percorrere. Il contrario della logica dello scontro sui singoli problemi, con momenti di lotta numerosi ma non efficaci, scoordinati tra loro, che creano disagi e non solidarietà popolare: la logica che oggi invece c’è. Il “tossico” è in questo e lo ribadisco: e per me le interpretazioni sono tante, tutte ovviamente opinabili.
Tranne una. Il malessere c’è ma il Governo vola nei sondaggi, con l’assenso anche delle classi sotto la media. Non vedo carri armati in giro: vuol dire che qualcosa la stiamo sbagliano noi.
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