Facciamo un gioco. Chiudete gli occhi, riflettete e non barate cercando su Google. Ora, ditemi il nome di una CEO della moda. Lo sappiamo, è difficile. Forse vengono in mente Bernard Arnault o François-Henri Pinault, magari Marco Bizzarri, fino a poco tempo fa legato a Gucci. Parliamo di un argomento di nicchia: già fatichiamo a riconoscere i direttori creativi con il loro continuo valzer delle sedie, figuriamoci gli amministratori delegati. Se poi ristringiamo ulteriormente la categoria alle donne, le cose si complicano perché l’elenco di nomi tra cui pescare si assottiglia notevolmente. Nel caso vi sia venuto in mente un nome è probabile che sia quello di Francesca Bellettini, AD e presidente di Saint Laurent dal 2013 e dal 2023 Deputy CEO di Kering. Magari, intercettando le news più recenti, potreste rispondere Silvia Onofri che dopo il successo del rebranding di Napapijri, a partire dal 26 febbraio sarà il nuovo CEO di Miu Miu. Ok, e le altre?
Le donne nella moda: consumatrici, ma non leader
Le donne acquistano due terzi degli abiti e degli accessori prodotti in tutto il mondo e costituiscono l’85% di consumatori eppure sono gli uomini a guidare l’industria della moda, sia nel design sia nelle sue C-Suite. Eppure le donne nelle aziende ci sono, fanno sacrifici, producono, elaborano strategie vincenti, ottengono successi e riconoscimenti, ma, per qualche ragione, si fermano davanti alla porta della dirigenza. Se attraversano quella soglia, secondo il rapporto Women in the Workplace 2024 di Mckinsey, spesso è in posizioni di supporto, come risorse umane, reparto legale e IT. La disparità di trattamento, opportunità, rappresentanza e retribuzione tra uomo-donna e secondo etnia rimane un problema della moda contemporanea. Anche se qualche passo avanti è stato compiuto. Negli ultimi dieci anni la rappresentazione femminile è aumentata a tutti i livelli e oggi le donne occupano il 29% delle posizioni C-suite rispetto al 17% del 2015. Secondo l’indagine Donne e Moda: il Barometro 2024, realizzata dall’ufficio studi PwC Italia in collaborazione con Il Foglio della Moda, nel 2023 la presenza femminile nei CdA negli USA era il 40%, il 47% in Francia, il 34% nel Regno Unito e solo il 27% in Italia, meno di una posizione apicale su tre negli organi societari. Pare che la presenza femminile si assottigli man mano che ci si avvicini al vertice aziendale, relegandole al basso. Stando ai dati accolti da Confindustria moda e Sistema moda Italia, infatti, nel panorama del fashion system italiano la presenza femminile è concentrata nei ruoli più bassi della filiera produttiva: il 67,3% nei settori impiegatizi e il 57,8% nella manodopera.
Le difficoltà della leadership femminile nella moda
Nell’industria della moda, come in altri settori, il dibattito sulla diversity, sulla parità di genere e sulla rappresentanza di voci ed etnie è diventato centrale, ma pare che, dopo una serie di segnali incoraggianti, sia diventato anche stagnante. La rappresentanza femminile ai vertici sembra venire ancora trattata come outsider che si intromette in un club privato fatto prevalentemente di uomini bianchi. E chi riesci ad entrarci lo fa attraverso un percorso tortuoso, duro, dove ogni risultato ottenuto viene analizzato e sezionato scrupolosamente, gli errori non sono concessi e, a quanto pare, nemmeno il tempo di dimostrare il proprio valore. “Tendiamo a promuovere gli uomini in base al potenziale mentre promuoviamo le donne in base a ciò che hanno già realizzato” spiega Rachel Thomas, CEO e co-fondatrice di Lean In. Secondo Fortune, le aziende sono solite rivolgersi alle donne nei momenti difficili perché hanno bisogno di un segno visibile di cambiamento al vertice, aumentando così il rischio di un loro fallimento. Non a caso il mandato medio per le donne CEO nella Fortune 500 è significativamente più breve di quello degli uomini e lo è stato per l’ultimo decennio, con il divario che si è ridotto solo leggermente negli ultimi anni. Ad esempio, nel 2023 la durata media della carica delle donne delle aziende Fortune 500 è stata di 4,5 anni, mentre la media dei CEO uomini è stata di 7,2 anni.
Donne ai vertici della moda. A che punto siamo?
Già nel lontano 2010 Kering aveva lanciato un programma a favore dell’uguaglianza di genere e, da allora, ha dato il via a diverse iniziative per favorire la crescita della componente femminile nelle posizioni più alte della società, compresa la firma della Women’s Empowerment Principles, la carta dei principi sull’empowerment delle donne stabilita da UN Women e dal Global Compact delle Nazioni Unite. In concreto, però, come è la situazione al vertice? Il colosso del lusso mondiale e proprietario tra gli altri di Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, and McQueen ha un solo posto di CEO ricoperto da una donna: Francesca Bellettini, CEO di Saint Laurent e dal 2023 Deputy CEO del gruppo di François-Henri Pinault. Oltre alla Bellettini vanno segnalate anche Hélène Poulit-Duquesne, CEO di Boucheron, e Marie Leblanc, CEO di Courrèges, che è proprietà di Artemis, holding della galassia Kering. Non va molto meglio da LVMH, dove tra le CEO donna ci sono Delphine Arnault, CEO di Dior e figlia del fondatore e presidente di LVMH Bernard Arnault, Séverine Merle, CEO di Céline, Pascale Lepoivre, amministratore delegato di Loewe. Qualche altro esempio di donne che sono riuscite a sfondare il cosiddetto soffitto di cristallo: Myriam Serrano, CEO di Alaïa, Leena Nair, Global Chief Executive Officer di Chanel, Michelle Gass, amministratore delegato di Levi Strauss & Co., Shira Suveyke Snyder, CEO di Proenza Schouler, Sara Blakely, fondatrice e amministratore delegato di Spanx, Barbara Calò, CEO di Antonio Marras, e, come accennato prima, Silvia Onofri, recentemente nominata CEO di Miu Miu.
La parità di genere sul posto di lavoro: un obiettivo lontano
Sebbene le donne abbiano fatto progressi a ogni livello aziendale nell’ultimo decennio, siamo ben lontani dall’avere un’adeguata rappresentanza femminile. Gender gap, intersectional gap e minori possibilità̀ di avanzamento di carriera rispetto agli uomini rimangono problemi attuali. Siamo così lontani da una concreta soluzione che, secondo il rapporto Women in the Workplace 2024 di McKinsey riguardante gli Stati Uniti, i passi in avanti fatti finora saranno probabilmente soggetti a un forte rallentamento nel lungo periodo, specialmente per le donne di colore. Inoltre, è stato stimato che, al ritmo attuale del progresso, ci vorrebbero 22 anni perché le donne bianche raggiungano la parità e ci vorrebbe più del doppio del tempo per le donne di colore. Dati che mostrano quanto la parità nel lavoro sia ancora lontana.
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