Il noto profilo Instagram filosofia_coatta, ha recentemente pubblicato un carosello su uno degli argomenti del momento: il caso Ferragnez. Attraverso la sottile ironia propria della pagina, è stato chiamato in causa Umberto Eco che in Occhio critico, trasmissione svizzera degli anni Settanta, parlava di Kitsch, e che adesso recita: “che cosa ci lascia questa telenovela? Ci viene in soccorso un mio vecchio aforisma: chi non scrolla, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria; ma chi scrolla, avrà vissuto anche la vita dei Ferragnez – continuando – una serie di eventi eclatanti di cui francamente non mi rimane niente.”
Appellandosi, ancora una volta, al paradosso di Zenone secondo cui mettendo in fila una serie di “tanti piccoli niente, si potrebbe ottenere l’infinito”, questo meta Eco sottolinea sagacemente: “oggi sembra che accadano solo eventi eccezionali, ma la loro somma è zero […] e così chi scrolla avrà davvero vissuto tutte le vite, meno una: la propria”. Questo legame tra passato e presente è possibile grazie a una relazione che si crea tra chi ha lasciato un’eredità degna ancora di grandi riflessioni – tant’è che tra i commenti si leggono utenti smarriti, grati del ribaltamento, per questa volta a scopo didascalico, del carosello – e quello che accade nel presente e sembra essere più degno di nota.
La relazione è il tema su cui, attualmente, più si dibatte nei vari campi del sapere: anche nel campo dell’estetica contemporanea, questo termine emerge come un ponte che collega e mette in discussione approcci filosofici diversi riguardo allo stato dell’arte, inteso come il vero e proprio stato di salute del panorama estetico e artistico contemporaneo.
Il carosello di filosofia_coatta è, allora, una sorta di manifesto – voluto o meno in modo tale dall’autore – che ci spiega uno dei principali problemi che riguardano il nostro presente, l’antipodo del concetto di relazione: “oggi sembra che accadano solo eventi eccezionali, ma la loro somma è zero”. La frammentarietà, la segmentazione e la discontinuità sono stati alcuni dei capi saldi della riflessione artistica, filosofica, storica e sociale contemporanea. La ricerca di una soluzione a quello che viene definito come problema è l’interesse per ciò che lega questi elementi discontinui, questa serie di “eventi eccezionali” che, in quanto tali e proprio a causa di questa loro straordinarietà, concorrono a creare una serie di piccole oasi scollegate tra loro, fluttuanti in un mare di nulla apparente.
Qualche mese fa, presso la Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, si è svolto il simposio di estetica Continuum. Estetica e arte tra relazioni e partecipazione, curato da Davide del Sasso, in cui sono stati messi in luce gli sviluppi della ricerca estetica, sempre più orientati nel campo della relazione, delle dinamiche di condivisione e di interazione in campo artistico. Attualmente, le opere rendono manifesti i propri processi di realizzazione, mostrando i vari gradi di relazione che si creano tra creazione artistica, artista, operatori e pubblico.
Il primo aspetto utile da sottolineare è la relazione principale che intercorre nel contesto artistico: quella tra opera e fruitore, oppure, in modo ancora più generale, tra osservato e osservatore. Questa relazione, per essere efficace, dovrebbe essere qualitativa, rendendo inseparabile queste due entità. Nel caso dell’immagine di Umberto Eco, per utilizzare le parole del filosofo Georges Didi-Huberman, il suo riutilizzo testimonia che essa “brucia ancora”.
Questo vuol dire che si è creata una relazione, un “incontro di tempi anacronistici, di un presente che si impegna a guardare un’immagine del passato, cioè a cogliere il momento in cui essa ancora ‘brucia’, nel raffigurare un segreto, una crisi irrisolta, un sintomo di sofferenza, la speranza di un futuro diverso.”
Collegandoci a ciò che ha spiegato il filosofo Nicola Perrullo, durante il suo intervento al simposio fiorentino, quella biforcazione che si crea solitamente ricorrendo al concetto di dualismo della realtà – che distingue dalla dualità, concetto che può esistere, ad esempio, tra pensiero e linguaggio – e che vedrebbe osservatore e osservato come due elementi distinti e paralleli, si intrecciano in “processi di generatività continua”. Nel suo intervento, Per una rigenerazione della mente analogica e per un’intelligenza artigianale, Perrullo sottolinea, infatti, l’importanza della relazione come antidoto al dualismo, elemento che porta necessariamente alla frammentarietà.
L’opposizione tra analogico e digitale, implicita nel titolo della sua presentazione, si propone come antidoto a questa frammentarietà delle informazioni, della conoscenza e dell’esperienza a partire dall’artigianalità dell’intelligenza che, non distaccata, ma unita alla percezione, è misura di tutte le cose; se, secondo il principio di indeterminatezza, infatti, finché una proprietà non è misurata, non è determinata, si deduce che l’oggetto e il soggetto – nel nostro caso, l’osservatore e l’osservato – non abbiano delle qualità preesistenti, ma che esse emergano a partire dalla percezione che le porta a diventare locali.
Artist doesnt care 2 12
oil on canvas
130 x 170 cm
Questo sistema di percezioni non è per forza naturalmente intrinseco, ma può essere dettato da un sistema di paradigmi e cultura. La relazione introduce una mescolanza, un incontro che non è solo conciliazione, ma è fusione di confini: questo, all’interno di un sistema principalmente votato al digitale, è difficilmente accettato, o anche solo percepito. Perrullo, infatti, spiega come ci sia una differenza intrinseca tra polo digitale e analogico che verte sulle idee di sostituzione o riparazione: il polo digitale pensa di poter sostituire o annullare qualcosa, di poter fare a meno dell’altro, creando una distanza; il polo analogico segue la legge di Lavoisier per cui “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, annullando la distanza, creando intrinsecamente una relazione tra cose e persone.
Il continuo, dunque, dovrebbe ricreare quell’equilibrio che ribilanci i due poli, portando l’opera a quel momento pre mercificatorio, che non annulla l’oggetto, non crea le condizioni di legame tra osservato e osservatore tipiche della teoria rosenberghiana per cui si associano sensazioni di ansia e angoscia agli oggetti artistici (cfr L’oggetto ansioso, Harold Rosenberg, 1967), perché il punto non è chi definisce cosa sia un’opera d’arte, ma l’irriducibilità della vita, dunque anche dell’opera, all’evento eccezionale, alla fila di “tanti piccoli niente la cui somma sarebbe un infinito zero”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link