«No a polarizzazioni o giochi al ribasso»

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Non diventi un tema politicamente orientato, né tanto meno sottoposto «a polarizzazioni o giochi al ribasso». Perché «la dignità non finisce con la malattia». Ogni azione che riguarda il fine vita, infatti, va inteso come tutela della vita stessa, accompagnando e curando nella malattia. E ciò non significa «accanimento», ma semplicemente «non smarrire l’umanità». La Conferenza episcopale italiana interviene nel dibattito scaturito dall’approvazione, nei giorni scorsi, da parte del Consiglio regionale della Toscana di una legge sul suicidio medicalmente assistito esprimendo «preoccupazione per le recenti iniziative regionali sul tema del fine vita». La Toscana, infatti, ha provveduto in autonomia – e altre Regioni stanno seguendo il suo esempio – a rispondere alle questioni sollevate dalle sentenza della Corte costituzionale, in cui i giudici sollecitavano a legiferare in tema di fine vita.

In una nota la Presidenza della Cei però ricorda i binari entro cui il tema del fine vita va declinato. «Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario – sottolinea – è assistere e curare, non anticipare la morte. Anche perché – proseguono i vescovi – «procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica». Ecco perché la presidenza della Cei invita «a non fare di questo tema una questione di “schieramento”, ma un’occasione per una riflessione profonda sulle basi della propria concezione del progresso e della dignità della persona umana». Il percorso da seguire è perciò quello di «un ampio confronto parlamentare che rappresenti il Paese e le reali necessità dei suoi cittadini, scevro da logiche di parte e possibili strumentalizzazioni».

L’auspicio della Cei, pertanto, è che si giunga, «a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza». Una sottolineatura che si inserisce nel percorso legislativo che il Parlamento ha intrapreso da tempo – non senza ostacoli – per arrivare ad una legge il più possibile condivisa sul suicidio medicalmente assistito. Dopo il ciclo di audizioni che ha impegnato le commissioni da maggio a novembre, il 3 dicembre scorso è stato istituito il comitato ristretto chiamato a redigere un testo base rispetto ai cinque ddl presentati. Entro fine mese, difatti, i due relatori Pierantonio Zanettin (Fi) e Ignazio Zullo (Fdi) dovranno sottoporre al comitato ristretto delle Commissioni Sanità e Giustizia del Senato un testo che possa fare sintesi delle diverse posizioni dei partiti, su cui iniziare la discussione in Aula.

Parallelamente alla speranza di avere presto una legge a salvaguardia della vita, però, i vescovi italiani ribadiscono anche la necessità di dare piena attuazione alle leggi che ci sono già, a cominciare da quella sulle cure palliative che – ricordano – «non ha trovato ancora completa attuazione: queste devono essere garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo». Sulla vita insomma – la loro conclusione – «non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso. La dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento, ma di non smarrire l’umanità».
Una nota, quella della Presidenza della Cei, considerata dal network di oltre cento associazioni “Ditelo sui tetti” «un giudizio che chiede a tutti un paragone sincero e affrancato dai troppi condizionamenti dei luoghi comuni che in questi giorni stanno travolgendo persino quella prudenza che dovrebbe essere il primo dovere dei decisori politici». A ognuno di noi, ma soprattutto ai decisori politici – conclude il coordinatore Domenico Menorello- «vengono offerte ragioni inoppugnabili, di fronte alle quali siamo chiamati a scegliere se sia più adeguato alla nostra «umanità» curare o annientare la fragilità».





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