I dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate mostrano che il concordato preventivo non funziona, così come l’ennesima versione della rottamazione. E il notevole recupero degli omessi versamenti deriva dal fatto che le aziende, anziché versare il dovuto al fisco nei tempi previsti, trattengono la relativa liquidità, evitando di ricorrere al credito bancario
L’Agenzia delle Entrate ha fatto martedì il punto sullo stato dell’arte del fisco made in Italy. Ne emergono conferme ma anche indicazioni su terreni tuttora oggetto di dibattito.
La prima conferma sta nel costante miglioramento della compliance. Cresce, cioè, l’adempimento spontaneo da parte del contribuente nella consapevolezza che gli strumenti di accertamento messi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria – primo fra tutti la fatturazione elettronica e l’esteso tracciamento dei pagamenti – sono così concreti e pervasivi da rendere sconsigliabile di negare l’evidente.
Evitando di coinvolgere le annualità influenzate dal Covid (2020-2022) perché distorsive, il valore dell’adempimento spontaneo passa dai 426 miliardi di euro del 2019 ai 544 miliardi del 2023 ed atterra sui 587 miliardi del 2024. La consistente crescita di questi valori va attribuita tutta alla relativa stabilità della normativa ordinaria ed anche alla discreta capacità gestoria dell’Agenzia delle Entrate guidata nel periodo – va detto – da Ernesto Maria Ruffini.
Recupero dell’evasione
Il recupero dell’evasione porta anch’esso risultati significativi (dai 19,9 miliardi del 2019 ai 24,7 e 26,3, rispettivamente, del 2023 e 2024). Ma anche lì il grosso viene dall’attività ordinaria e non dagli interventi una tantum.
Per dire: il valore del 2024 è composto da 22,8 miliardi derivanti da misure ordinarie e da 3,5 miliardi provenienti da misure straordinarie. Insomma il messaggio che viene dalle schede presentate dall’Agenzia delle Entrate è che il sistema ha bisogno di stabilità e continuità d’azione. Semmai rafforzando la struttura interna (come del resto viene illustrato nella medesima presentazione).
Tutto il contrario delle ricorrenti richieste di misure straordinarie che hanno l’effetto di: deviare la macchina amministrativa dalle sue funzioni; richiedere la creazione di nuove procedure ad hoc (con connessi costi e confusione); suscitare malevoli aspettative fra i contribuenti.
Cosa ancora non va
Ne emerge, in definitiva, una piena bocciatura tanto del concordato preventivo biennale (non indicato perché imputabile al 2025 ma che ha reso solo, stando agli ultimi dati, 1,6 miliardi), che l’ennesima versione della rottamazione (per fortuna non ancora adottata).
L’altro elemento degno di nota sta nel notevole recupero degli omessi versamenti. Qui il recupero maggiore ha riguardato – com’era facile prevedere – i contribuenti debitori di importi superiori a 100.000 euro, un valore normalmente attribuibile più al mondo delle imprese che degli individui. Le imprese – specie quelle medio grandi – si sono semplicemente fatte i conti. Ed hanno scoperto che, tutto sommato, è meglio non versare il dovuto al fisco, trattenendo la relativa liquidità, piuttosto che assoggettarsi ad una istruttoria da parte del ceto bancario col rischio di vedersi attribuito un modesto finanziamento e per di più con pesanti garanzie ed oneri di informazione sistematica sull’andamento aziendale.
In fondo, basta non versare l’IVA, pur dichiarata come dovuta, o l’Irpef, trattenuta ai dipendenti, per ottenere lo stesso risultato in termini di liquidità disponibile. Si contrae, certo, un debito oneroso col Fisco: ma senza passare per istruttorie di merito di credito, senza garanzie, senza obblighi informativi e con tassi di interesse del tutto ragionevoli (molto vicini al tasso legale di sconto).
Insomma se non una pacchia, certo un trattamento di tutto favore. L’informativa dell’Agenzia non riferisce a quali periodi la riscossione va imputata né quanto è durato il processo di riscossione rispetto al momento ordinariamente previsto. Su questo tema occorre, dunque, un intervento di natura organizzativa che metta in moto le procedure di riscossione non appena si verifica l’omesso versamento oppure, in alternativa, applichi bilanciamenti adeguati (tasso di interesse o sanzione) per evitare che la attuale prassi – che avvantaggia il contribuente singolo a danno della collettività – continui ad essere così vantaggiosa da rendere imprenditorialmente opportuno il seguirla.
Degno di nota, infine, è il richiamo delle misure di dialogo fra Amministrazione Finanziaria e contribuenti. Tema, questo, particolarmente caro al mondo delle imprese. I numeri snocciolati fanno intravedere un panorama largamente positivo, da “fisco amico”. La realtà, però, è un po’ diversa. Il dialogo c’è: gli interpelli ricevono tempestive risposte; le procedure (internazionali) amichevoli si realizzano; la cooperative compliance allarga i suoi confini.
Ma la separazione fra il mondo delle attività produttive e quello della Pubblica Amministrazione resta un piombo. Non è demerito della sola Agenzia delle Entrate ma del sistema che non persegue una leale ed aperta collaborazione. Che parte dalla conoscenza e dall’impegno a fare meglio.
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