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Non ha occupato le prime pagine la notizia che a Roma la droga importata dagli albanesi viaggiava sui bus con il visto umanitario con partenza dal Cas di Riserva Nuova utilizzato come base di stoccaggio. Ma anche base di ripartenza delle partite di stupefacenti e di reclutamento di immigrati nigeriani, titolari di permesso di soggiorno provvisorio in attesa della definizione del relativo status.
Il Centro Sprar (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), ora Centro di Accoglienza Straordinaria di Roma di via della Riserva Nuova, piccola capitale dello spaccio in Europa, non è esattamente cronaca da mettere da parte. Parliamo di un sistema che dovrebbe organizzare l’accoglienza e la protezione di rifugiati e richiedenti asilo, ma che da anni viene utilizzato come piazza per una lunga lista di reati: associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione, porto abusivo di armi e intestazione fittizia di beni.
Il gip ha disposto l’arresto di 27 persone, ma in otto sono scappati e sono ancora ricercati. Si tratta di un’operazione cominciata nel 2018 e detta ‘Tibus’ dal nome del capolinea dei bus regionali adiacente alla stazione Tiburtina e dove negli ultimi sette anni sono stati fermati decine di spacciatori, quasi tutti di origine nigeriana.
Ma solo adesso gli inquirenti sono stati capaci di ricostruire la rotta dello spaccio. La droga arrivava dall’Albania e veniva fatta sbarcare sulle coste pugliesi per essere poi trasportata nella Capitale tramite il meccanismo “a staffetta” di veicoli a intestazione fittizia o noleggiati a lungo termine.
Erano due le bande principali. Una albanese che si occupava di far arrivare la droga da Valona (Albania) a Bari utilizzando potenti motoscafi, e poi da Bari a Roma noleggiando auto con nomi di comodo. Una volta arrivata al Cas, c’era l’altra banda, la nigeriana, che distribuiva la marijuana sul territorio nazionale servendosi di immigrati con lo status di “rifugiati politici”. Non un’unica regia dunque, ma due gruppi distinti che avevano stipulato un accordo ben preciso. Una vera e propria «joint venture», come si legge nell’ordinanza firmata dal gip. E i nigeriani, da quello che emerge, avrebbero gestito la piazza con metodi spietati: estorsioni, minacce, violenze.
Dall’inizio delle indagini sono state arrestate 147 persone e sequestrati 900 chili di sostanze stupefacenti e 90mila euro in contanti. Ci sono voluti anni, perché i militari, grazie anche alla collaborazione della Direzione centrale servizi antidroga, riuscissero a ricostruire la complessa organizzazione gestita dai due diversi sodalizi criminali.
Non di certo una banda di sprovveduti. Gli indagati usavano solo cellulari di vecchia generazione e un preciso linguaggio in codice per fuggire, alla meglio, dalle intercettazioni. Con lavoro indicavano la droga, con bomba verde l’ottima qualità della sostanza e i documenti erano i soldi. Ed è dalle lamentele sulla qualità della droga che gli inquirenti hanno potuto capire come avveniva la cessione della droga. Nel seguire, poi, passo, passo gli spostamenti di un certo Muhammed, uno degli immigrati che viveva nel Centro di via Riserva Nuova, i carabinieri hanno scoperto che era lui a contattare gli albanesi per recuperare la marijuana.
I richiedenti asilo nigeriani potevano contare su un permesso di soggiorno in tasca e quindi mobilità garantita sul territorio nazionale. Gli albanesi, invece, avevano addirittura una rete social. Niente di nascosto. Secondo quello che riportano gli inquirenti, «dall’analisi di Facebook e del sistema automatico di riconoscimento immagini si evince come tra le amicizie presenti vi siano diversi soggetti appartenenti al sodalizio criminale di matrice albanese». Ma, soprattutto, i richiedenti asilo nigeriani, è risultato avessero contatti con esponenti della nota mafia nigeriana degli Eiye. In Italia l’Eiye è la prima organizzazione cultista nigeriana per numero di affiliati, seguita dalla Black Axe. Il loro arrivo può essere rintracciato negli anni ‘80 a seguito dall’incremento delle migrazioni dalla Nigeria all’Europa e in concomitanza al cambiamento delle rotte del commercio di cocaina verso l’Europa e l’Asia.
Le indagini degli ultimi anni hanno fatto emergere la diffusione degli Eiye nel Veneto, in Emilia Romagna, nel Lazio ed in Sardegna. In Italia l’Eiye ha sede a Torino, mentre la Black Axe a Verona e da lì controllano le cellule operative presenti nel territorio nazionale.
Un’inchiesta de Il Giornale della scorsa primavera svelava come sulle piattaforme più in voga tra i giovanissimi ci fossero migliaia di video a mostrare l’ultima generazione di immigrati ad ostentare spaccio di droga, denaro e armi: emerge una realtà inquietante a portata di mano. Migliaia di clip, che durano anche una manciata di secondi, in cui viene fatto sfoggio di dosi di droga, di strumenti per il taglio e la vendita. E di soldi, tanti soldi. Banconote arrotolate e disposte ordinate come proventi delle attività di contrabbando. E poi, ovviamente, decine e decine di migliaia di ‘mi piace’ all’ostentazione di coltelli, katane, fucili e pistole. Eppure tra gli stessi e i commenti di approvazione sorge il dubbio che tutto questo rientri in una perversa propaganda utile a reclutare nuove leve da arruolare nel business della droga. O anche per spingere nuovi irregolari sulle rotte italiane per inserirli nella manovalanza dello spaccio?
Del resto dall’inchiesta appena scoperchiata del Cas di Roma viene fuori, da quello che riporta il gip, «la circostanza particolarmente inquietante per cui» i narcotrafficanti, «si avvalgono, per poche decine di euro, delle condotte di connazionali del Centro di accoglienza per rifugiati, da utilizzare come corrieri per smistare lo stupefacente al fine di approvvigionare le piazze di spaccio allestite dall’organizzazione criminale nigeriana».
Quindi da una parte un’inchiesta immensa con base un centro per immigrati, dall’altra i social che raccontano i giovanissimi immigrati di terza generazione in compagnia di dosi pronte per essere smerciate e la loro vita ai bordi delle città, da Roma a Milano passando per la Toscana e l’Emilia: la stessa rotta che segue la mafia Eiye in Italia e la medesima disegnata dall’inchiesta del Cas di Roma.
E se da nord a sud, non c’è città che non sia costretta a convivere con l’aumento dello spaccio e della violenza, strettamente legati all’aumento di popolazione straniera clandestina, vuol dire che sotto il naso di tutti si sviluppa l’abisso di un orrore del quale, però, si preferisce non parlare.
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