Latina – Processo Dirty Glass ridotto a farsa, dai brevetti inventati ai testimoni cambiati all’ultimo minuto

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Iannotta prende la parola è attacca il curatore fallimentare della Global Distribution, Vincenzo La Brocca, apparso confuso, smemorato e molto distratto quando all’epoca ricostruì le varie fasi del fallimento del colosso del vetro

LATINA – Ormai è chiara una cosa. Luciano Iannotta deve risultare colpevole a tutti i costi altrimenti quello fatto fino ad oggi a livello investigativo rischia di rimanere una delle macchie più brutte ed indelebili della storia investigativa pontina.

L’udienza sulla ex Pagliaroli Vetri: il contro-esame del curatore fallimentare

Nella giornata di ieri, il curatore fallimentare della ex Pagliaroli Vetri (poi divenuta Global Distribution), Vincenzo La Brocca, è stato ascoltato davanti al pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Margherita Pinto.

L’udienza si è rivelata particolarmente tesa, soprattutto durante il contro-esame, in cui La Brocca è stato incalzato dalle domande dell’avvocato di Pio Taiani, uno degli imputati, e dal legale di Luciano Iannotta, l’avvocato Mario Antinucci.

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Secondo l’accusa, Taiani e Iannotta, insieme ad altri soggetti tra cui Franco Pagliaroli (ormai deceduto), avrebbero messo in atto una serie di operazioni illecite, tra cui la distrazione di beni aziendali, la distruzione dei libri contabili e l’appropriazione indebita di un automezzo in leasing del valore di 148mila euro. Tuttavia, le dichiarazioni rese in aula hanno contribuito a minare la solidità del castello accusatorio. Già in precedenti udienze, infatti, era emerso come la gestione della curatela fallimentare fosse stata caratterizzata da superficialità e lacune evidenti, un aspetto che anche ieri è stato messo in risalto. Un esempio lampante riguarda i presunti “marchi brevettati”, che nei fatti non esistono, ma che hanno rappresentato un elemento chiave per sostenere le accuse e giustificare gli arresti.

La difesa di Luciano Iannotta: documenti ignorati e dichiarazioni spontanee

Tra gli imputati figura Luciano Iannotta, che ha deciso di rinunciare alla sua attività lavorativa a Londra per rientrare in Italia e difendersi in prima persona da tutte le accuse a suo carico.

Durante l’udienza di ieri, ha scelto di rilasciare dichiarazioni spontanee, mettendo in luce elementi che fino a quel momento non erano stati adeguatamente considerati. A supporto delle sue parole, ha presentato ben cinque volumi di documenti, che, secondo lui, né il curatore La Brocca né gli investigatori avrebbero mai analizzato con attenzione, e forse nemmeno letto.

Iannotta ha raccontato di essere stato coinvolto in questa vicenda dopo che Franco Pagliaroli gli aveva chiesto aiuto, confidandogli che la situazione gli stava sfuggendo di mano. Nel corso del suo intervento, ha poi mosso pesanti accuse nei confronti dell’ex presidente del collegio sindacale della Pagliaroli Vetri, il commercialista pontino Domenico Stirpe. Quest’ultimo era già stato ascoltato in aula come testimone, ma Iannotta ha ritenuto necessario denunciarlo formalmente, dichiarando: “Sono stati commessi furti sotto l’egida di Stirpe. Alla fine, sono stato io ad essere arrestato e la mia azienda, Italy Glass, il decimo colosso industriale europeo, è stata distrutta”.

Le incongruenze nelle testimonianze di Stirpe

Le parole di Iannotta trovano conferma in alcune perplessità espresse in precedenza anche dal collegio giudicante. Durante la testimonianza di Stirpe, infatti, erano emerse numerose contraddizioni, tanto che i giudici avevano più volte contestato le sue dichiarazioni. Dai documenti in possesso della difesa, emergerebbero inoltre conflitti di interesse macroscopici tra Stirpe e la società oggetto del procedimento.

A conclusione della sua dichiarazione, Iannotta ha lanciato una provocazione: “Mi autoaccuso di tutto se qualcuno è in grado di dimostrare che ho rubato anche solo un euro”. Con questa affermazione, ha voluto evidenziare la fragilità delle accuse a suo carico e ribadire la sua estraneità ai fatti contestati.

L’udienza di ieri ha quindi sollevato ulteriori dubbi sulla solidità dell’impianto accusatorio, alimentando la sensazione che l’intera vicenda sia stata gestita con superficialità da parte della curatela e degli investigatori.

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