Quattro bare sul palco di Hamas

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Quella di ieri è stata per Israele una giornata estremamente faticosa sul piano emotivo. Come previsto dall’accordo, già nella prima fase Hamas avrebbe riconsegnato, accanto a un certo numero di ostaggi in vita, anche parte delle salme di quelli che non sono sopravvissuti. Così, mentre erano in atto i preparativi per ricevere, i corpi di Oded Lifschitz, anziano pacifista residente del kibbutz Nir Oz, e di tre membri della famiglia Bibas, la mamma Shira e i piccoli Ariel e Kfir, l’angoscia e il lutto hanno nuovamente pervaso gli spazi ebraici, pubblici e privati, ma soprattutto quelli virtuali.

CI È VOLUTO INFATTI meno di un istante dall’annuncio dei nominativi da parte di Hamas, perché la rete si popolasse delle foto dei bimbi dai capelli rossi, eletti dal mondo a simbolo della straziante vicenda degli ostaggi israeliani catturati nel corso dei massacri del 7 ottobre 2023. Ma per molti si tratta di un carico eccessivo, come ha riferito in un’intervista al Canale 11 Rachel Meir, direttrice della sede di Gerusalemme della linea di telesoccorso emotivo Eran che in queste ore ha dovuto potenziare i volontari a causa del picco di chiamate.

Nella serata di mercoledì il primo ministro Netanyahu ha parlato alla nazione, mentre il presidente Herzog in visita a Roma ha tenuto un discorso alla sinagoga. Herzog ha ribadito l’urgenza di riportare a casa tutti gli ostaggi e condannato Hamas come organizzazione terrorista da sconfiggere, come l’Iran, con ogni mezzo. Nel frattempo, giovedì mattina a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, prima di consegnare le bare ai funzionari della Croce Rossa, di fronte a una folla festante a suon di musica, Hamas ha offerto al mondo uno dei suo spettacoli più rivoltanti, esponendole come trofei sul palco allestito con una coreografia macabra, con la caricatura di Netanyahu.

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Dopo aver ricevuto i corpi a Gaza, l’esercito israeliano ha tenuto una breve cerimonia militare guidata dal rabbino Eyal Karim, per poi depositarli presso l’istituto forense Abu Kabir per l’identificazione. Netanyahu ha rinunciato a partecipare ma, nonostante il maltempo, centinaia di persone si sono radunate in tutto il paese per onorare i morti e sostenerne le famiglie. Il corpo di Oded Lifschitz è stato identificato già nelle prime ore del pomeriggio, mentre in serata la folla attendeva ancora fuori dall’istituto nella speranza di ricevere aggiornamenti sui poveri Bibas.

SIA IL REALITY di Hamas che l’abuso da parte dei media della tragedia della famiglia Bibas, che spera fino all’ultimo in un errore, riportano il dibattito sulle conseguenze della «pornografia del dolore». Come nel caso della visione ripetuta dei filmati del 7 ottobre diffuse in rete, la prolungata esposizione a questi contenuti non fa che alimentare sentimenti di tristezza, rabbia, paura e impotenza, che si traducono in aggressività e desiderio di vendetta. Nel suo La trappola dei conflitti intrattabili, lo studioso di psicologia politica Daniel Bar-Tal spiega che simili emozioni diventano parte integrante dell’identità nazionale e completano la delegittimazione dell’avversario, alimentando e corroborando le narrazioni a supporto del conflitto.

IN QUESTO MOMENTO l’opinione pubblica israeliana è ancora sostanzialmente favorevole alla tregua per non compromettere il rilascio di tutti gli ostaggi, ma si tratta di equilibri fragili, anche a fronte delle politiche del governo che non esclude la possibilità di assumere il controllo politico e militare della Striscia o, peggio, implementare il piano Trump. Hamas intanto propone per la seconda fase un unico scambio reciproco di prigionieri, ma giornate come quella di ieri rischiano di far precipitare una situazione già estremamente delicata. La comunicazione del resto svolge un ruolo estremamente complesso e anche la scelta della terminologia, come abbiamo visto con l’uso, spesso improprio, del gergo preso in prestito dall’Olocausto, esercita un impatto psicologico non indifferente sull’opinione pubblica.

A FARLO NOTARE sono state stavolta anche alcune madri di ostaggi deceduti che nei giorni scorsi hanno pregato di non riferirsi ai figli con il termine ebraico gufot (corpi), bensì con hallalìm, che indica i caduti di guerra e deriva dal versetto biblico: «Il tuo vanto, Israele, sulle tue alture giace trafitto! Come sono caduti gli eroi?» (Samuele II, 1:19). L’ebraico è una lingua essenziale che non abbonda di sinonimi, estremamente precisa anche nell’indicare le circostanze della morte. Ma la radice della parola hallal, sinonimo di spazio vuoto, riconduce curiosamente anche alla parola mehilà, perdono, e a mahol, danza. Chissà che non sia proprio la lingua dei testi sacri a restaurare la centralità della vite umane che si va perdendo in nome della santificazione della terra, fungendo da motore per il tikkùn, quella riparazione di cui israeliani e palestinesi hanno urgente bisogno.

QUELLO DI IERI non era uno scambio. Per sabato è previsto il rilascio di sei ostaggi israeliani, di cui sono già stati fatti i nomi, dietro la liberazione di altri prigionieri palestinesi.



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