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Elena Croci, autrice di Nuovo turismo culturale (Franco Angeli), racconta l’evoluzione del turismo da un’esperienza puramente visiva e fotografica a un approccio più profondo e consapevole. Un turismo “verticale”, che non si limita all’osservazione ma integra conoscenze culturali, sociali ed emozionali, trasformando il viaggiatore in un interprete attivo dei luoghi che visita. La nuova edizione del libro si rivolge tanto ai professionisti del settore quanto a chi vede nel turismo una leva strategica per il rilancio del Paese. Non è un turismo fatto solo di luoghi da vedere, ma un’esperienza mediata dalla tecnologia: chi viaggia oggi si affida a Maps, ai social e a Internet per capire come vivere una destinazione, quanto dedicarle e se rispecchia davvero le proprie aspettative.

FrancoAngeli Nuovo turismo culturale. Il marketing delle emozioni. Ediz. ampliata

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Nel libro si parla di un passaggio da un turismo “orizzontale” (del solo vedere) a uno “verticale” (emozionale e culturale). Quali sono gli strumenti pratici per realizzare questa trasformazione?

Gli strumenti possono essere endogeni ed esogeni. I primi sono interni, legati al nostro corpo e alla nostra percezione. Si tratta di predisporre tutti i nostri sensi – vista, udito, olfatto, tatto – in modo completamente aperto e consapevole. Come spiego nel libro, l’obiettivo è creare un’esperienza “tutto tondo”, profonda, che rimanga nella memoria a lungo termine. Significa prepararsi a un viaggio emozionale, disponendo il proprio corpo e la propria percezione in una modalità di totale ricettività. Durante un’esperienza, ad esempio, è importante iniziare con un respiro profondo, esattamente come si fa durante un massaggio, predisponendosi mentalmente e fisicamente. Gli strumenti esogeni, invece, sono tutto ciò che ci circonda. In un parco naturale, saranno i profumi delle piante, i colori, i suoni degli animali, la brezza. Ogni contesto offre stimoli sensoriali diversi che arricchiscono l’esperienza. Un esperimento che faccio con i ragazzi dimostra come in città i nostri sensi funzionino come meccanismi di difesa: tendiamo a chiuderci, a non sentire gli odori, a non ascoltare i rumori di fondo. In natura, invece, l’esperienza sensoriale è molto più autentica e coinvolgente.

Come possono gli operatori turistici integrare elementi emozionali e culturali nelle loro offerte senza perdere accessibilità e fruibilità?

È già in atto un processo interessante. Il grande mediatore è rappresentato dai social media che utilizzano un linguaggio semplice e accessibile. L’operatore turistico sa benissimo che non può usare espressioni troppo complesse, pena la perdita dell’attenzione del turista. Prendiamo l’esempio del Louvre e della Gioconda: di fronte all’affollamento, hanno deciso di spostare l’opera e ripensare l’esperienza. Oggi il turista preferisce concentrarsi su pochi oggetti, comprenderli profondamente, piuttosto che fare una carrellata superficiale. L’idea è esporre tre o quattro oggetti in modo emozionale, con luci, colori, suoni, raccontando aneddoti semplici da ricordare e condividere. L’obiettivo finale è che il turista porti a casa un pezzo di conoscenza, uno storytelling facilmente “ri-raccontabile” sui social, che gli permetta di ottenere like e soddisfare il proprio desiderio di condivisione.

Qual è il ruolo dei social media nel turismo contemporaneo?

I social media hanno un ruolo altissimo, che definisco come uno strumento di narcisismo. L’uomo contemporaneo è tendenzialmente molto narcisista e compie queste esperienze per un ritorno di consenso, con l’esigenza quotidiana di ricevere like. La cultura è ormai diventata “pop”. Tutto è cultura: persino andare in natura è un’esperienza culturale. Il processo è chiaro: faccio una foto, la posto, aggiungo una frase zen, condivido. Oppure visito un museo e racconto un aneddoto interessante. Prendiamo sempre il caso della Gioconda: oggi un turista non si limita a guardarla, ma racconta che Leonardo se la portava dietro come fosse il suo iPad, utilizzandola per sperimentare colori e sorrisi. Questo diventa un contenuto perfetto per uno storytelling personale all’interno di un’esperienza culturale. Questo approccio è molto diverso dal turista di dieci o quindici anni fa, che voleva solo vedere senza l’esigenza di postare e condividere.

Come possono le destinazioni turistiche evitare l'”overtourism”?

La parola chiave è “destagionalizzazione”. Il Covid-19 ha cambiato radicalmente le abitudini dei turisti. Oggi tutto è diventato più fluido e elastico: si può lavorare da casa, organizzare vacanze durante la settimana, nei cosiddetti “lunghi weekend”. I miei consigli riguardano sia gli operatori turistici che i turisti stessi. Il turista deve essere più intelligente, non seguire semplicemente la massa. Oggi, tra l’altro, si parla di “coproduzione turistica”, dove lo stesso turista può diventare scopritore e promotore di nuove mete. La tecnologia ci viene in aiuto offrendo tutti gli strumenti per capire esattamente dove si sta andando. Ad esempio, se vado a Mykonos ad agosto, sono consapevole che troverò una folla immensa. Alcuni turisti cercano proprio questa esperienza, sentendosi più protetti in mezzo alla folla. Ma la vera sfida è convincere gli operatori locali a rimanere aperti tutto l’anno. Prendiamo zone come il Lago Maggiore o la Liguria: a novembre e febbraio non c’è nessuno, e i negozi sono chiusi. Serve un cambio generazionale perché gli esercenti capiscano che devono ruotare e mantenere aperti i servizi tutto l’anno. Le pubbliche amministrazioni devono creare reti, utilizzare la tecnologia per fare rotazioni e offrire alternative. Serve un “matrimonio” tra operatori turistici, pubblica amministrazione e turisti.

Quali sono le principali sfide del turismo nei prossimi anni?

La globalizzazione andrà probabilmente re-interpretata. Ci saranno regioni o paesi verso cui avremo meno interesse di viaggiare, in base a principi etici, rispetto della natura e valori sociali. Il turista del 2025-2030 sarà molto più consapevole. La consapevolezza del riscaldamento globale e dei problemi sociali in alcune regioni influenzerà le scelte di viaggio privilegiando mete più vicine ai propri ideali. Ma attenzione: questo non è automatico. Serve un processo di sensibilizzazione. Il turista deve dimostrare di voler fare scelte etiche, rifiutando destinazioni che non rispettano certi standard, come l’uso eccessivo della plastica o un trattamento non adeguato.

Esempi virtuosi di destinazioni?

La Sardegna sta dimostrando un approccio interessante, pubblicizzando eventi durante tutto l’anno e invitando i turisti a scoprire il territorio anche in autunno e inverno. Gli operatori devono creare percorsi alternativi, offrire pacchetti flessibili con attività diverse. Un turista con un lungo weekend può essere invogliato a visitare un lago o una zona di mare, sapendo di poter fare esperienze anche in caso di pioggia. Serve una nuova alleanza tra operatori turistici, pubblica amministrazione e turisti per creare un’offerta veramente coinvolgente e sostenibile.

Nel libro si parla anche della necessità di formare futuri manager del turismo. Quali competenze ritiene indispensabili per chi vuole lavorare in questo settore?

L’intelligenza artificiale giocherà un ruolo cruciale, automatizzerà compiti gestionali come orari e turni. Ma il vero manager del turismo dovrà mantenere la componente umana vincente: conoscere le lingue, capire le esigenze del viaggiatore, creare esperienze tailor-made che un algoritmo non può generare. Ovviamente saranno fondamentali le cosiddette soft-skill. Servirà un professionista poliedrico: competenze tecnologiche, umanistiche, linguistiche, storiche. Un mediatore che colleghi diversi attori – pubblica amministrazione, hotel, guide locali – offrendo esperienze profonde e personalizzate.

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