Caricamento player
La Zoogamma di Casalbuttano, in provincia di Cremona, produce latte in polvere dal siero di scarto della lavorazione del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano. Per farlo ha bisogno di molto calore, che in genere viene prodotto consumando enormi quantità di gas. Per questo ogni piccola variazione del prezzo vuol dire molte migliaia di euro in più o in meno sulle bollette mensili. «Siamo una di quelle aziende che vengono definite energivore, cioè che consumano molta energia, però siamo riusciti a trovare delle soluzioni tecnologiche per ridurre molto i consumi e non dipendiamo più come in passato dalle oscillazioni del costo del metano», spiega l’amministratore delegato Salvatore Gambardella.
L’impianto di ricompressione meccanica del vapore alla Zoogamma di Casalbuttano (Giorgio Salimeni/Cesura)
Negli ultimi mesi il costo del gas è aumentato del 30 per cento, a causa del freddo che ha colpito molti paesi europei e ha fatto diminuire molto le scorte, del rischio di nuove guerre commerciali, delle tensioni internazionali, della minore produzione di energia rinnovabile, dell’incertezza e delle speculazioni provocate dai continui annunci del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Alla metà di febbraio è arrivato a costare 58 euro al megawattora, poi si è stabilizzato attorno ai 50 euro, il doppio rispetto a un anno fa, quando oscillava tra i 25 e i 30 euro al megawattora. «Questi aumenti ovviamente peseranno anche su di noi, poiché non riusciamo a fare a meno completamente del gas, però di sicuro saranno molto più contenuti che in passato», dice Gambardella.
– Leggi anche: Il prezzo del gas non era così alto da due anni
Quello di Casalbuttano è il più grande stabilimento in Italia dove si ricicla la scotta, come viene chiamato il liquido giallo-verdastro che rimane dopo la produzione dei formaggi. Ha 90 dipendenti e ogni giorno produce 385 tonnellate di latte in polvere, che viene poi esportato in tutta Europa, in Australia e in Estremo Oriente, dove viene utilizzato per preparare bevande energizzanti e mangimi per gli animali. Ogni giorno alcuni addetti ritirano il siero da diversi caseifici della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, che altrimenti dovrebbero depurarlo e smaltirlo come “rifiuto speciale non pericoloso”. Il liquido viene portato nello stabilimento e scaricato in alcuni silos d’acciaio che possono contenerne fino a mille tonnellate. Poi viene inviato in una cosiddetta “torre spray”, dove viene fatto passare in minuscole gocce attraverso getti d’aria calda che lo essiccano, separando le proteine solide del latte.
Fino a qualche anno fa, la produzione di calore avveniva con caldaie a metano. Ora invece «riutilizziamo il vapore prodotto durante l’essiccazione», spiega la responsabile ambiente, qualità e sicurezza Nadia Ambrosi mostrando l’impianto. È un sistema che permette di recuperare il vapore generato dal processo di essiccazione della scotta, che altrimenti si disperderebbe nell’aria. I fumi prodotti nella «torre spray» vengono a loro volta recuperati e riutilizzati nel processo di vaporizzazione.
Nello stabilimento c’è anche un impianto detto di “trigenerazione”, cioè che produce allo stesso tempo energia elettrica, acqua fredda per i frigoriferi e acqua calda per il riscaldamento. È alimentato a metano, «ma consente un notevole risparmio energetico perché produce tre forme di energia diverse da un’unica fonte», spiega Ambrosi. Le celle frigorifere invece sono refrigerate con l’ammoniaca, un gas che è considerato sostenibile perché in atmosfera dura pochi giorni e non contribuisce all’effetto serra.
Antioco Fanari sul tetto del caseificio, ricoperto di pannelli fotovoltaici (Giorgio Salimeni/Cesura)
Le continue oscillazioni del prezzo del gas stanno diventando un problema serio per le aziende italiane, in particolare per quelle che hanno bisogno di molto calore per la produzione, come le acciaierie, le cartiere, le fabbriche di ceramiche, le vetrerie e gli stabilimenti che trasformano i prodotti agroalimentari. Secondo un’analisi di Unimpresa, un’organizzazione che rappresenta le piccole e medie imprese, se il costo del gas rimarrà sui 50 euro al megawattora quest’anno le aziende italiane spenderanno 1,6 miliardi di euro in più rispetto al 2024. «Senza misure adeguate, molte imprese potrebbero essere costrette a ridurre la produzione, licenziare personale o, nel peggiore dei casi, cessare l’attività», ha detto la presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. L’ufficio studi della CGIA di Mestre, un’associazione di artigiani e piccoli imprenditori, ha stimato che complessivamente le imprese italiane pagheranno 19,9 miliardi di euro per il gas, 3,9 miliardi in più rispetto al 2024.
La «stufatura» dei formaggi alla Fanari (Giorgio Salimeni/Cesura)
Per questo molte stanno facendo investimenti, anche costosi, per ridurre o azzerare del tutto, quando è possibile, la dipendenza dal gas. Diversi stabilimenti agroalimentari, soprattutto nel settore caseario e della trasformazione dei pomodori, hanno installato impianti di compressione del vapore come quello della Zoogamma. In un terreno vicino alla Fanari Formaggi, un caseificio a conduzione familiare di San Nicolò d’Arcidano, in provincia di Oristano, è stato invece costruito il primo impianto in Italia con tecnologia solare a concentrazione. Si estende su 1000 metri quadrati di terreni e direziona i raggi del sole con alcuni specchi per concentrare i fasci di luce su dei tubi dell’acqua, che viene usata per riscaldare fino ai 38 gradi un ambiente dove avviene la cosiddetta “stufatura” dei formaggi, un processo necessario a completare la fermentazione. «Questo ci consente di non usare gasolio, che è il carburante che utilizziamo perché da queste parti il gas non arriva», spiega Antioco Fanari, che con suo fratello Giovanni e la sorella Rosetta porta avanti l’azienda, fondata dal nonno. «L’unico problema è che, visto che si tratta di un progetto sperimentale, è molto complicato trovare qualcuno che faccia la manutenzione dell’impianto».
La stagionatura dei formaggi alla Fanari (Giorgio Salimeni/Cesura)
A Cremona l’acciaieria Arvedi, che ha 2mila dipendenti, una produzione di circa 3 milioni di tonnellate all’anno di acciaio e un fatturato di circa 3 miliardi di euro, produce acciaio inox con un forno elettrico. Inoltre ha ideato e brevettato un impianto che invia l’acciaio fuso direttamente al laminatoio, invece di produrre le lastre di semilavorato (bramme) che poi devono essere di nuovo riscaldate ad altissima temperatura per essere laminate. In pratica nella lavorazione dell’acciaio si salta un passaggio, con una notevole riduzione dei consumi energetici.
«Questa è la soluzione che ci fa risparmiare più di tutto, perché utilizziamo meno energia elettrica e non consumiamo gas per rilavorare le bramme di acciaio», dice Alessandra Barocci, responsabile sostenibilità e ambiente di Arvedi. Per fare un paragone, all’ex ILVA di Taranto l’acciaio laminato è prodotto nell’altoforno, che è alimentato con il cosiddetto coke metallurgico, un residuo della distillazione del carbone che crea molti problemi di inquinamento.
La batteria a sabbia nello stabilimento Magaldi (Alessandro Sala/Cesura)
Alla metà di ottobre nell’area industriale di Buccino, in provincia di Salerno, davanti a una platea di scienziati arrivati da tutto il mondo per un congresso internazionale sull’energia solare, è stata presentata anche una batteria termica industriale che accumula l’energia prodotta da pannelli fotovoltaici o dalle pale eoliche. A trattenere il calore, a temperature che vanno dai 120 ai 400 gradi, è la sabbia dei fiumi. La batteria ha una capacità tale da fornire energia in media per 24 ore prima di scaricarsi e può sostituire le caldaie a gas negli impianti più energivori. Il grande vantaggio è che risolve il problema della volatilità della produzione rinnovabile da solare e da eolico, e va a sostituire completamente l’utilizzo di gas e gasolio.
L’interno della batteria a sabbia (Alessandro Sala/Cesura)
«Può funzionare molto bene nelle aziende agroalimentari e anche nelle cartiere o nel settore tessile, che consumano molto gas perché hanno bisogno di alte temperature», spiega Letizia Magaldi, che guida l’azienda omonima detentrice del brevetto della batteria. Magaldi è anche vicepresidente del Kyoto Club, una ong di cui fanno parte associazioni, amministrazioni locali, enti pubblici e imprese che promuovono l’efficienza energetica e l’utilizzo dell’energia da fonti rinnovabili.
«Con questo sistema possiamo utilizzare l’energia prodotta dalle rinnovabili per decarbonizzare le industrie», dice Fulvio Bassetti, uno degli ingegneri che hanno progettato questa batteria “a sabbia”.
Lo stabilimento Igi a Buccino (Salerno), dove è stata installata la prima batteria a sabbia (Alessandro Sala/Cesura)
La prima è stata installata alla Igi, una raffineria di oli industriali che lavora per la Ferrero e ha lo stabilimento proprio nella zona industriale di Buccino. «Consumavamo due milioni di metri cubi all’anno di gas per riscaldare i serbatoi e mantenere il vuoto, cioè per non far ossidare l’olio», dice l’amministratore delegato Mario Sepe. «La batteria a sabbia per noi è stato un investimento costoso ma ci consentirà di azzerare il nostro costo principale».
La Commissione Europea ha previsto che entro il 2040 il 40 per cento del calore industriale dovrà essere prodotto con l’elettricità e non con il gas, anche per ridurre le emissioni nell’atmosfera di anidride carbonica (CO2), il principale gas responsabile del riscaldamento globale. In Italia attualmente questa percentuale è del 23 per cento. «Le aziende italiane dovrebbero capire che per migliorare la sicurezza energetica dovrebbero passare all’energia elettrica, è l’unico modo per emanciparsi dalla volatilità dei prezzi e dagli shock legati alla fornitura di gas», sostiene Carolina Bedocchi, ricercatrice di Ecco, un think tank che si occupa di transizione energetica. Bedocchi dice che «l’Italia è il maggiore produttore europeo di queste tecnologie», ma ci sono molti ostacoli alla loro diffusione. Tra i principali, Ecco elenca il costo degli impianti, i rincari dell’energia elettrica – che in Italia è prodotta in gran parte da centrali alimentate a gas, molto più della media europea – le politiche fiscali che non agevolano il passaggio dal gas all’elettrico e, soprattutto, la resistenza di molti imprenditori al cambiamento.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link