Mobilità passiva sanitaria, costo record: in 15 anni buco da 800 milioni

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Pubblichiamo integralmente l’inchiesta del quotidiano il Centro sui conti della mobilità passiva extraregionale in Abruzzo. L’articolo di Lorenzo Colantonio ricostruisce gli andamenti e le responsabilità del fenomeno che costringe migliaia di pazienti abruzzesi ad “emigrare” per curarsi

 

 

di Lorenzo Colantonio

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Nulla accade per caso. Prendi la mobilità passiva nella sanità che, in quindici anni, ha creato una voragine di 800 milioni di euro. Ed ha costretto, dal 2010 fino a oggi, oltre 550mila cittadini a curarsi fuori regione – in media 37mila l’anno – non solo negli ospedali pubblici di Lazio, Marche, Emilia Romagna e Lombardia ma, soprattutto, nelle case di cura delle regioni limitrofe. Sono numeri da capogiro. Metà dell’intera popolazione dell’Abruzzo è emigrata per potersi curare. Fuggita dall’Abruzzo con la speranza di guarire, non perché i medici sono altrove migliori, ma perché è una fuga obbligata. Da chi e come? La nostra indagine giornalistica cerca di dare risposta a queste domande.

FUGA PER LA SCONFITTA. Nulla è accaduto per caso. Analizziamo così il fenomeno mobilità passiva extraregionale dopo la pubblicazione del report della Fondazione Gimbe che, impietosa con l’Abruzzo, fornisce un dato choc: meno 104 milioni di euro come saldo negativo nel 2022. Un costo che piazza la Regione Abruzzo tra le peggiori d’Italia. L’analisi delle cause, però, non va fatta solo con i numeri. Le scelte della politica hanno infatti avuto il peso maggiore. E solo indagando sul punto di partenza, si possono trovare l’origine del fenomeno e soprattutto i rimedi, prima che la spesa totale della mobilità passiva, che è già mostruosa, tagli il traguardo del miliardo di euro. Indagare su questo buco nero della sanità abruzzese diventa un dovere civico, come per un medico lo è azzeccare la diagnosi di una malattia. La mobilità passiva extraregionale del resto riguarda ciascuno di noi: è una malattia collettiva, con pesanti risvolti sociali, che comincia esattamente quindici anni fa. I dati statistici in nostro possesso – sia che si tratti di report pubblicati da Agenas, dall’Asr o dalla sezione abruzzese della Corte dei Conti sia che le indagini siano condotte dalla Fondazione Gimbe o dall’università Bocconi (il Rapporto Oasi) – sono una operazione-trasparenza. I cinque report riportano numeri diversi: più bassi su Agenas, Asr e Oasi (ad esempio – 60 milioni il saldo nel 2022), nettamente più alti, superiori ai cento milioni, negli altri due casi. Ma tutti e cinque descrivono un fenomeno in crescita dal 2010 in poi. Per la nostra analisi ci basiamo sul rapporto della Università Bocconi.

I NUMERI NON MENTONO. I numeri danno il quadro esatto di un andamento negativo ed esponenziale del “saldo della mobilità pro capite in Abruzzo” messo a confronto con le regioni a noi vicine. Correvano gli anni 2006, 2007 e il nostro saldo viaggiava con un segno più (+ 10,2 e + 6,4 milioni). La mobilità passiva esisteva, ma i pazienti di altre regioni che venivano in Abruzzo risultavano molti di più degli abruzzesi in fuga. Abruzzo e Lazio erano praticamente appaiati, le Marche soffrivano per l’esodo e la Campania indossava la maglia nera, nerissima, con un meno 46 milioni di euro. Ma il quadro che il report Oasi Unibocconi offre, quindici anni dopo, è impressionante. L’Abruzzo è precipitato nel baratro, con meno 60 milioni di euro nel 2022. Al contrario di Campania e Marche hanno nettamente ridotto i propri saldi negativi. Anche il Lazio viaggia quasi in pareggio mentre il Molise gode da anni di una mobilità attiva dominante che l’ha portato a raggiungere il valore di + 123,9 milioni, come se fosse una regione del Nord Italia.

L’ANNO DEL CRAC. Entriamo nel dettaglio. Lo studio comparato dell’andamento della fuga degli abruzzesi fornisce, già nel 2009, un primo dato negativo consistente: meno 22,4 milioni di euro. Ma era l’anno del terremoto, della catastrofe che costrinse migliaia di aquilani a curarsi fuori regione. Il vero crac si consuma nel 2010, l’anno orribile da cui comincia una debacle inarrestabile. La grande fuga, il conto salatissimo da pagare alle altre regioni parte da meno 46 milioni di euro, sfonda il tetto negativo dei 50 milioni (-52,1 nel 2015), e scende ancora di più verso il fondo fino a toccare, nel 2020, il record della vergogna di meno 73,2 milioni di euro. Ma attenzione, parliamo di saldo, che sta a significare una mobilità passiva assoluta e annuale di gran lunga superiore ai 200 milioni di euro.

Arriviamo alla domanda chiave. Che cosa è accaduto quindici anni fa in Abruzzo? Qual è stata la pietra d’inciampo che ha bloccato un meccanismo fino ad allora in equilibrio, in cui arrivi e partenze si compensavano e la mobilità passiva cedeva il passo a quella attiva? La risposta non si trova nei report ma nelle carte della politica, e non solo in queste. Erano gli anni del commissariamento della Sanità regionale e di una particolarissima delibera, la numero 19 del 18 febbraio 2010 che, se la leggi, non puoi renderti conto che quell’atto, generato da una struttura commissariale, avrebbe determinato un drastico taglio della spesa regionale per l’accreditamento senza però che fossero stati sottoscritti gli accordi di confine con Marche, Lazio e Molise, per bilanciare, in modo equo e solidale, arrivi e partenze, entrate e uscite, incassi e perdite. Ciò che accadde lo si capisce bene, oggi, attraverso un atto giudiziario di cui siamo venuti in possesso. Si tratta di una intercettazione telefonica datata 21 aprile del 2010.

PRONTO, SONO GIOVANNA. Sono le ore 14 e 17 minuti di quel giorno di quindici anni fa quando la sub commissaria della sanità abruzzese, Giovanna Baraldi, dice per telefono a Isabella Mastrobuono, sua omologa della sanità molisana, questa frase testuale: «Quindi nella extraregionale ti ho fatto un favore spaventoso e ho fatto un favore anche al Lazio perché li ho massacrati!». La Mastrobuono risponde, anche lei esclamando: «Ovvio!». E la sub commissaria della sanità abruzzese specifica: «Io gli ho tolto venti milioni nell’extra regionale su quarantacinque ». E rimarca: «Venti milioni su quarantacinque di extraregionale ».

LA LOTTA IMPARI. Nulla accade per caso. Ma torniamo alle statistiche, ai dati inconfutabili. Da quel momento in poi, in Abruzzo, l’andamento della spesa ospedaliera accreditata scende in maniera consistente. Da oltre 200 milioni di euro, in quindici anni, precipita a 140 milioni. La lotta diventa impari con le regioni confinanti e concorrenti, Marche, Lazio, Molise e Campania che, a partire proprio da quel famigerato 18 febbraio 2010, cominciano ad incassare fior di milioni dall’Abruzzo e dagli abruzzesi. Da noi, invece, è scattato il taglio che lascia impotenti di reagire, bloccati da una spesa sanitaria decapitata. Ecco il riscontro in numeri: la spesa prevista nel budget regionale per l’ospedalità privata scende, in quindici anni, dall’8,5% al 4,7%. Mentre Lazio, Molise e Campania vantano portafogli rispettivamente dell’11,7, il 9 e il 7,6 per cento. L’equazione è molto semplice: quella spesa, decurtata in Abruzzo, ha incrementato, negli anni successivi al 2010, il mostro della mobilità passiva fino a saldi negativi record, tamponati solo lo scorso anno grazie a una delibera dell’attuale giunta regionale che ha concesso una somma extra per le prestazioni di alta specializzazione. «Li ho massacrati!», c’è scritto in quella intercettazione telefonica. Così è stato. Il meccanismo è diabolico, per nulla conveniente ad una Regione che pensando di risparmiare spende molto di più. Ma dove si curano i pazienti in fuga dall’Abruzzo e per quali prestazioni lo fanno? Anche in questo caso i report statistici vengono in aiuto della nostra inchiesta, il data journalism che si avvicina alla verità più di ogni altra forma di giornalismo.

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IL DOVE E IL COSA. Si chiamano Drg, ovvero raggruppamenti omogenei di diagnosi. E permettono di classificare tutti i malati dimessi da un ospedale in gruppi omogenei in base alle risorse impegnate per la loro cura. Dall’ultimo rapporto dell’Agenzia sanitaria regionale, diretta da Pierluigi Cosenza, apprendiamo c’è il Lazio al primo posto tra le regioni che fanno cassa con l’Abruzzo (36,5 milioni di euro nel 2023). A seguire: le Marche (35,5 milioni), l’Emilia Romagna (27 milioni), la Lombardia (11,5 milioni), il Veneto (circa 8 milioni), il Molise (4,7 milioni), quindi Toscana, Campania, Puglia e così via. La distribuzione dei ricoveri fuori regione fatta in base al tipo di prestazione, invece, registra al primo posto “le malattie e i disturbi del sistema muscolo-scheletrico”, che incide per oltre 41 milioni di euro sulla spesa annuale delle mobilità passiva; al secondo posto troviamo “le malattie ed i disturbi dell’apparato cardiocircolatorio” (22 milioni) e al terzo “malattie e disturbi del sistema nervoso” (14 milioni). Seguono decine di altre voci, dai disturbi dell’orecchio a quelli della pelle, dalle ustioni alla gravidanza e il parto, e dai disturbi del rene a quelli dell’apparato digerente. Il quadro della fuga oltre i confini si completa con l’elenco delle principali strutture di ricovero scelte dai pazienti. Sei sono pubbliche: Presidio ospedaliero unico, Ospedali riuniti di Ancona (Marche), ospedale pediatrico Bambino Gesù e ospedale Gemelli (Roma), l’Istituto ortopedico Rizzoli (Bologna) e il policlinico San Pietro (Lombardia). E le altre quattro strutture sono cliniche private, tre marchigiane di confine e una dell’Emilia Romagna. Siamo quasi alla fine di questa indagine giornalistica: è convenuto all’Abruzzo indebitarsi per 15 lunghi anni pensando di risparmiare? Il report dell’Asr dà la risposta.

IL VERDETTO È SCRITTO. «Le dimissioni in mobilità passiva extraregionale dei residenti in Abruzzo, sono prodotte in prevalenza da strutture private rispetto alle strutture pubbliche (56% contro il 44%)», scrive l’Agenzia. Una percentuale che nel report di Agenas raggiunge persino quota del 69,5% per le prestazioni d’alta complessità nelle case di cura di altre regioni. «Vi è una mobilità di confine tra regioni limitrofe e una mobilità verso altre aree del Paese», prosegue l’Asr, «quest’ultima può essere legata alla ricerca dell’alta specialità, ad esempio per interventi complessi». E ancora: «L’approfondimento delle dinamiche che caratterizzano la mobilità sanitaria contribuisce a fornire elementi utili a costruire strumenti in grado di governarla». E tra questi, l’Asr individua la necessità di siglare gli accordi di confine, l’unico dei quali esistente nel 2024, era con le Marche ma è scaduto a fine anno. Arriviamo così alla risposta finale: «Al momento non vi sono sufficienti evidenze sulla correlazione tra una migliore qualità e l’offerta di assistenza fuori regione». È un verdetto. La mobilità passiva resta una fuga per la sconfitta.



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