Il termine ‘pinkwashing’, che in italiano potremmo tradurre come ‘impegno di facciata’ sulle pari opportunità, si riferisce a pratiche di marketing o comunicazione aziendale in cui l’impresa millanta di essere attiva sulle questioni di genere, ma di fatto non traduce poi i suoi proclami pubblici in iniziative concrete e integrate nelle proprie attività.
In un’ottica estensiva potremmo considerare ‘di facciata’ anche quelle attività sporadiche in cui un brand sviluppa un’attività circoscritta (es. aumento delle operaie nella propria forza lavoro) ma poi di fatto non investe in approcci strutturati e strategici di supporto alla cultura aziendale e in azioni che garantiscano a tutto tondo le pari opportunità.
Questo modus operandi prende anche il nome di “femminismo performativo”.
Il consumatore 4.0, la reputazione e i rischi d’impresa
Se un tempo il washing veniva adoperato per migliorare la propria immagine pubblica o il posizionamento, oggi il consumatore interconnesso, a colpi di stories e post, può buttare giù la reputazione di un’impresa che ritiene non allineata ai propri valori.
Soprattutto Millennial e Gen Z sono soliti attaccare, boicottare o condividere il proprio disappunto sui social media.
Esempio più ampio in ambito diversity, la pubblicità del 2018 di Dolce & Gabbana, dove l’immagine di una donna dai tratti asiatici intenta a mangiare pizza e cannoli con le bacchette ha scatenato accuse di sessismo e razzismo, accompagnate da una serie di video TikTok in cui gli utenti davano fuoco ai prodotti del brand. A seguito dell’episodio, l’azienda ha perso importanti quote di mercato in Cina.
Analogamente, qualche anno prima, un’infelice dichiarazione di Guido Barilla, in cui affermava che la pasta dell’omonimo brand fosse destinata esclusivamente alla famiglia tradizionale, ha scatenato una bufera mediatica.
Sebbene non siano disponibili dati precisi sulla perdita economica subita dall’azienda in seguito a tale episodio, è noto che Barilla ha in seguito dovuto affrontare una significativa crisi reputazionale, con campagne di boicottaggio e critiche a livello globale.
Considerata l’attenzione di Millennial e Gen Z sulla tematica, il pinkwashing non solo implica rischi di tipo reputazionale, ma l’incapacità da parte dell’impresa di attrarre o trattenere talenti e di conseguenza il rischio di perdere competitività.
Cinque strategie per evitare il pinkwashing
Per sviluppare un approccio manageriale autentico alla diversity, le aziende devono andare oltre le dichiarazioni superficiali e implementare politiche e pratiche coerenti e trasparenti
Le Policy
Le aziende dovrebbero impegnarsi nell’adozione di politiche chiare e misurabili in materia di pari opportunità e diversity in generale, assicurandosi che questi principi siano profondamente radicati nella propria cultura organizzativa.
Le policy non dovrebbero limitarsi ad una lista di buoni propositi o valori, ma tradursi in specifiche norme di comportamento e pratiche per azienda e dipendenti.
Dovrebbero prevedere dei meccanismi di segnalazione in caso di non conformità ed essere supportate da training dedicati per aiutare la popolazione aziendale a tradurre i principi di riferimento in comportamenti abitudinari.
I meccanismi di ascolto
Un approccio autentico alla diversity richiede il coinvolgimento diretto di dipendenti, clienti e comunità attraverso un dialogo proattivo e continuo.
Per questo, le aziende dovrebbero creare spazi di confronto come gruppi di lavoro o focus group per raccogliere feedback sui temi della diversità.
E al contempo monitorare regolarmente la percezione e il benessere dei dipendenti tramite sondaggi e occasioni di dialogo formale e informale.
La due diligence
La valutazione dell’impatto dell’azienda lungo la propria catena del valore è un passaggio cruciale per garantire coerenza tra gli impegni dichiarati e i risultati ottenuti, e al contempo progettare a 360° le proprie attività strategiche.
Attraverso audit interni e attività di dialogo con le parti interessate, le aziende possono mappare eventuali impatti avversi e avviare conseguenti approcci di mitigazione e aree di miglioramento.
Gli indicatori chiave di performance (Kpi) permettono di misurare i progressi in termini di equità di genere, inclusione e diversità, mentre i risultati di queste analisi dovrebbero essere integrati nei rapporti di sostenibilità.
La cultura aziendale
La formazione e la sensibilizzazione giocano un ruolo fondamentale per contrastare il fenomeno del pinkwashing.
È indispensabile educare leader e dipendenti attraverso programmi specifici su bias inconsci, leadership inclusiva ed equità di genere.
Inoltre, campagne interne possono promuovere una maggiore consapevolezza sui rischi del pinkwashing, sottolineando l’importanza di un impegno autentico.
Fondamentale resta, inoltre, avere degli apicali rappresentativi ed eterogenei, oltre che genuinamente impegnati in prima linea sul tema.
Le collaborazioni esterne
Collaborare con organizzazioni impegnate nella promozione della parità di genere permette di sviluppare iniziative credibili e a lungo termine.
Le partnership devono essere basate su obiettivi condivisi e risultati concreti, evitando collaborazioni simboliche e prive di sostanza.
Come il caso Balocco-Ferragni insegna, la sinergia dovrebbe essere poi basata su tracciabilità e trasparenza di risultati e accordi presi.
Rimane infine cruciale accompagnare il tutto con una comunicazione puntuale, data-based e coerente anche nel linguaggio.
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