San Corrado da Calendasco tra il Po e la Sicilia

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Ricorre proprio in questo mese di febbraio la memoria storica e religiosa di un santo piacentino vissuto in pieno medioevo: Corrado Confalonieri. Bisogna ammettere che, come anche per tutti gli altri santi che popolano il calendario piacentino, non si è mai spesa particolare attenzione al “personaggio” in sé stesso, forse per il fatto che protegge “solo” dall’ernia i bambini, e di struscio i cacciatori. Calendasco, il borgo che gli ha dato i natali fisici nel castello e che era un feudo Confalonieri per concessione vescovile, lo ha invece assurto come “proteggitore amorosissimo” dalle piene del Grande Fiume, e giustamente: di necessità virtù. Lo abbiamo desunto dalle carte originali che ci han lasciato i sacerdoti del borgo, più di un secolo fa. Infatti sul portone interno della chiesa troneggiava un grande affresco che rappresentava S. Corrado a braccia aperte, nell’atto di proteggere il paese dalle alluvioni del Po.

Questo dipinto è stato purtroppo ricoperto dallo scialbo giallo crema nel 1970, come appare ancora oggi, pittura omogenea che ha nascosto pure gli altri affreschi laterali con scene della vita del patrono, dipinte nel 1927 dal pittore piacentino Alberico Bossi. Sappiamo da carte originali, che abbiamo visionato, lasciate dal parroco don Giovanni Caprara, che “Alberico Bossi è un silenzioso appassionato, innamorato dell’arte, uscito da qualche anno dall’Istituto Gazzola, dove ebbe per insegnanti il compianto professor Camillo Guidotti per l’ornato, mentre per la figura il professor Francesco Ghittoni”.

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Corrado Confalonieri, personaggio medievale, può essere un simbolo anche per la Via Francigena locale, difatti dopo la sua conversione del 1315, presterà servizio come “laico terziario francescano” nell’ospedale di Calendasco, ma nel 1323 circa partì pellegrino.

Arriverà ad Assisi, quindi fino a Roma e più oltre, dove a Brindisi si imbarcherà per la Terra Santa, sempre da “peregrinus” vestito di un saio, bisaccia e bastone.

Al suo ritorno, si fermerà brevemente a Malta, da dove viene miseramente cacciato, quindi sbarca al porto di Messina, dove alloggia con i frati Terziari laici presso il faro che era appunto in quella che ancora oggi è “Punta Faro”.

Riparte e cammina fino alla città di Noto, nella Sicilia orientale, dove viene accolto senza pregiudizio: da qui inizia un cammino eremitico particolare e decisivo per tutta la sua storia.

Arriva in quei luoghi di Noto nel 1343, dove vive da eremita presso la valle dei Tre Pizzoni, in una aspra grotta scavata nella roccia, che ancora resiste al tempo, inglobata dal 1745 dentro al piccolo ma decoratissimo santuario a lui dedicato.

Morirà il 19 febbraio del 1351 in grande fama di santità e, come era usuale in quel medioevo, il vescovo locale, a quel tempo di Siracusa, vista la sua “chiara fama”, lo eleva immediatamente allo stato di santo.

Purtroppo eventi tragici di guerra, di carestia e di terremoti faranno sparire tra la polvere buona parte degli antichi documenti, dove per fortuna sopravvisse il famoso “Libro Verde” della cattedrale di Noto. Qui è riportata una “Vita di San Corrado” in lingua sicula, dettagliata, ma non esaustiva per certi aspetti storici, databile alla fine del ‘300.

Finalmente nel 1610 i Giurati di Noto, cioè gli amministratori della città, scrissero una lettera ai Giurati di Piacenza, dove richiedevano possibili nuove notizie mirate circa San Corrado Confalonieri. Scrivono che già sapevano che fosse feudatario del castello di Calendasco ma volevano più dettagli storici.

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In effetti della lettera di risposta spedita da Piacenza nel 1611, che possediamo in copia dall’originale, si apprendono importanti dati: la moglie ancora viveva nel 1356, fattasi suora nelle clarisse in città, di nome “Johanna Confalonerii”.

E nel 1617 grazie a Giovan Battista Zanardi Landi ed al vescovo di Piacenza mons. Claudio Rangoni si chiarisce, con atto notarile curiale, che in Calendasco “istus sanctus, ut praefertur, originem terrenam duxerit”.

Da quel tempo la cosa pareva chiaramente assodata, purtroppo l’ingenuità dei tempi, la lontananza con la città di Noto, portò ancora per secoli a definire il Santo Eremita, quale “da Piacenza”.

Negli ultimi decenni, nuovi studi di ricerca d’archivio, hanno definitivamente chiarito il dato storico: e anche in quel di Sicilia, a Noto ormai lo si dice “San Corrado piacentino, da Calendasco”.

La verità storica merita rispetto, ma la certezza è che da oltre 400 anni S. Corrado è il patrono del borgo sul Po ed i quadri e le pitture antiche che ornano la chiesa ne sono la ferma testimonianza.



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