L’analisi Unioncamere-InfoCamere mostra anche come la Campania resti comunque la seconda regione italiana per numero di imprese giovanili
Negli ultimi dieci anni, ogni giorno in Italia hanno cessato di esistere 42 imprese giovanili. Il bilancio è netto: tra chiusure e superamento della soglia d’età degli imprenditori, il numero delle attività guidate da under 35 è passato dalle quasi 640mila nel 2014 alle circa 486mila nel 2024, con una perdita del 24%. Il calo ha colpito quasi tutti i settori e le aree, con un impatto particolarmente forte nel Mezzogiorno. È quanto emerge dall’analisi Unioncamere-InfoCamere che mostra anche come la Campania, pur restando la seconda regione italiana per numero di imprese giovanili, ha perso 19.160 attività , passando da 80.392 nel 2014 a 61.232 nel 2024, con una riduzione del 23,8%.Â
La Puglia ha visto una contrazione del 28,6%, con una riduzione di 13.575 imprese, da 47.485 a 33.910. In Calabria, dove l’imprenditoria giovanile ha un peso significativo, il calo è stato tra i più alti d’Italia: 34,4%, con 9.445 aziende in meno, passando da 27.482 a 18.037. La Sicilia ha perso 20.955 imprese, pari al 32,9%, scendendo da 63.691 a 42.736. In Basilicata il calo, pur più contenuto, ha portato alla scomparsa di 1.429 imprese, con una riduzione del 21,3%.
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«La mortalità delle imprese giovanili non è un fenomeno statico, ma un quadro in continua evoluzione – commenta Andrea Prete, presidente di Unioncamere – I numeri ci dicono che il calo è stato significativo, ma va letto in una prospettiva più ampia. La Campania, ad esempio, riflette esattamente il dato nazionale, con un 23,8% delle imprese giovanili in meno».
Tra le cause principali, il fattore demografico è determinante. «Negli ultimi vent’anni abbiamo perso due milioni di lavoratori under 35. Meno giovani significa meno imprenditori, ma non è l’unico fattore». Incide anche la fragilità delle nuove attività . «L’impresa giovanile è per sua natura più fragile rispetto a un’attività consolidata. Il Covid ha colpito molte aziende giovanili, che non hanno retto. Inoltre, in alcune aree, molte imprese nascevano per mancanza di lavoro, ma non erano sostenibili».
Il calo ha colpito quasi tutti i settori, ma con impatti differenti. Il commercio ha perso 66.229 attività , pari al 36,24%, le costruzioni 39.599, con una riduzione del 38,69%, e l’industria manifatturiera il saldo negativo è di 14.314 imprese, con una contrazione del 35,91%. L’artigianato, che ha storicamente rappresentato una delle porte d’accesso al lavoro autonomo per i giovani, ha subito una riduzione di 47.359 aziende, pari al 28,13%. Secondo Prete, il fenomeno è più complesso di quanto possa sembrare: «Non tutte le imprese giovanili chiudono perché falliscono. Molte semplicemente escono dalla statistica perché l’imprenditore ha superato i 35 anni e continua la sua attività ». Accanto ai settori in difficoltà , ce ne sono altri che hanno mostrato maggiore resilienza o persino segnali di crescita. I servizi alle imprese sono cresciuti del 3,5% (+1.943 aziende), mentre l’agricoltura è rimasta stabile, confermandosi un’opportunità concreta per molti giovani. «L’agricoltura è un settore che ha saputo evolversi, integrando innovazione e sostenibilità . Oggi si lavora con sonde per ottimizzare il consumo di acqua, con pannelli solari nelle serre e con tecnologie per ridurre gli sprechi».Â
Ma a fronte della trasformazione del panorama imprenditoriale, cresce la difficoltà nel trovare personale qualificato. «Il 45% delle aziende, comprese quelle del Sud, fatica a trovare personale qualificato. Bisogna allineare l’istruzione alle esigenze del mercato». Prete sottolinea la necessità di politiche di sostegno mirate. «Dobbiamo favorire la nascita di imprese in ambiti dove le competenze sono determinanti, come l’innovazione e la tecnologia. Servono politiche mirate su credito e incentivi».
Il rischio è una spirale negativa che combina il calo delle imprese giovanili e la fuga dei talenti, con impatti sulle regioni meridionali. Il calo delle imprese giovanili ha colpito soprattutto il commercio, l’artigianato e le costruzioni. Al contrario, l’agricoltura è rimasta stabile, ma perché oggi è un settore altamente tecnologico e innovativo. L’agricoltura moderna integra sostenibilità , digitalizzazione e internazionalizzazione.Â
L’analisi di Unioncamere-InfoCamere suggerisce che le imprese giovanili rimaste si concentrano sempre più in settori a maggiore valore aggiunto, mentre le attività tradizionali faticano a rimanere competitive. «La nuova mappa settoriale dell’impresa giovanile mostra chiaramente una maggiore presenza in settori che richiedono competenze specializzate e promettono maggiori margini di innovazione. I giovani che oggi scelgono di fare impresa puntano su attività dove il valore aggiunto della competenza e della tecnologia rappresenta un fattore distintivo e competitivo – conclude Prete – Questa trasformazione suggerisce la necessità di politiche che, oltre a facilitare l’accesso al credito, supportino i giovani imprenditori nell’acquisizione delle competenze necessarie per operare in settori ad alta intensità di conoscenza e innovazione».
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