«Un’identità forte al patrimonio agroalimentare del Piemonte»

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A tu per tu con l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Paolo Bongioanni: «Le questioni sul tavolo sono tante ma punto molto sulla promozione»

La volontà di dare al settore primario tutte le risorse possibili per essere competitivo e innovare, favorendo investimenti, ricerca e promozione dei prodotti agroalimentari, nella convinzione che il Piemonte abbia un grande potenziale da esprimere per il bene della filiera agroalimentare e agrituristica. Questa la prima cosa che si nota chiacchierando con Paolo Bongioanni, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte, ma con deleghe anche a commercio, cibo, caccia, pesca e parchi.

Assessore, la peste suina è una brutta gatta da pelare. Com’è la situazione?

«Abbiamo avuto otto casi di infezione negli allevamenti suini, veicolata però dall’uomo non da animali infetti. Abbiamo provveduto agli abbattimenti di cinghiali, reintrodotto la caccia in girata smaltito le carcasse e ora stiamo erogando i ristori alle aziende danneggiate. L’allerta è ovviamente massima perché con la ricerca attiva abbiamo trovato carcasse di cinghiale positive nella zona dell’Ovadese, in provincia di Alessandria. Qui c’è una zona Cev (Zona di controllo dell’espansione virale, ndr) nella quale stiamo cercando di concerto con il commissario Filippini di creare una zona franca a cinghiali zero. A oggi, incrocio le dita, la situazione è sotto controllo».

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C’è un problema di formazione e consapevolezza sulle misure di prevenzione?

«Marco Protopapa, il mio predecessore, ha stanziato 14 milioni sulla biosicurezza. Io ho attivato un bando da 4,5 milioni. Anche se non completamente utilizzati credo che gli imprenditori abbiano preso le giuste misure. Poi di certo qualche errore è stato commesso».

Il 2024 è stato un anno positivo per il riso dopo stagioni difficili. Restano problemi fitosanitari come il brusone e legati al mercato, con la concorrenza del prodotto asiatico.

«La filiera in Piemonte ha un giro d’affari di 400 milioni di euro, siamo i primi produttori italiani ed europei. Abbiamo anche una Dop, l’unica in Italia, il “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”. Dall’11 al 14 settembre a Vercelli anche su spinta del ministro Lollobrigida ci sarà la prima edizione di “Risò” evento di portata europea dedicato al riso. Ci sarà una parte business e una aperta al grande pubblico. Ci sarà anche una parte dedicata alla ricerca, con il coinvolgimento della fondazione Agrion. Ci sarà anche un bilaterale Italia-Spagna e il coinvolgimento di tutte le regioni europee che producono riso. Quanto alla concorrenza, devo dire che il prodotto piemontese non fatica a collocarsi sul mercato, tra l’altro in gran parte all’estero».

Le Tea possono essere una soluzione per il brusone. La parcella sperimentale con piante di riso resistenti al fungo è stata vandalizzata lo scorso giugno. Pochi giorni fa è toccato alle viti resistenti a peronospora.

«Un comportamento vergognoso. Dispiace che ci siano ancora episodi come questi. Sto lavorando con il collega Beduschi della Lombardia per un percorso condiviso con studiosi di alto livello per creare altri tre campi sperimentali di riso resistente al brusone: due in Lombardia e uno in Piemonte. È una strada che ritengo indispensabile percorrere e che non può creare le paure generate anni fa da altre piante geneticamente modificate. Gli ottusi integralisti che provano a ostacolare la ricerca sappiano che andremo avanti lo stesso».

L’altra coltura cardine per il Piemonte è il nocciolo. Anche qui le criticità non mancano e lo scorso anno la produzione è stata scarsa.

«Abbiamo 27mila ettari di corileti. Prima la cimice asiatica e ora i cambiamenti climatici e il mercato. Serve un rinnovamento varietale ma anche un ragionamento sugli agrofarmaci. Altre regioni vocate come Lazio e Campania hanno regole diverse sull’utilizzo dei mezzi tecnici nei disciplinari di produzione integrata. Sto approfondendo la questione, ma i tecnici mi segnalano criticità per patologie come la necrosi grigia e il mal dello stacco, per le quali in Piemonte si può utilizzare solo il fosfonato di potassio».

Anche la vite soffre il cambiamento climatico e il vino è alle prese con un calo dei consumi.

«Per quanto riguarda la vite, Agrion sta testando un portinnesto resistente alla siccità, lavoriamo con il Cnr di Torino e poi con i consorzi per valutare cambiamenti ai disciplinari di produzione che tengano conto di nuove esigenze agronomiche per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Per quanto riguarda i mercati sto lavorando a un progetto per abbinare alcuni dei nostri vini alla nocciola tonda gentile ma soprattutto a un percorso nuovo di promozione e posizionamento sul mercato».

A proposito di Agrion, la carta della frutta presentata lo scorso ottobre che fine ha fatto?

«È un documento importante, con suggerimenti e spunti che fanno parte del dibattito istituzionale quotidiano. Abbiamo fatto verifiche anche con le altre Regioni. La proposta sulla decontribuzione: ne abbiamo parlato con il Governo. C’è un percorso perlustrativo in corso. Vediamo cosa succede».

Fin dal suo insedimento lei ha iniziato a battere il chiodo della promozione del Piemonte. Quando vedremo il quadro attaccato?

«Un quinto dei prodotti agroalimentari italiani a denominazione sono piemontesi. Quando ero allo stand del Piemonte al G7 Agricoltura di Siracusa notavo soprattutto dal pubblico straniero la ricerca della Toscana ma non delle altre regioni. E anche in altre situazioni internazionali, ad esempio a inizio febbraio ero a Fruit logistica, quando chiedo “Sai cos’è il Piemonte?” nessuno risponde. Credo che la grande sfida dei prossimi mesi e anni sia dare un’identità a una regione che ha un grande patrimonio agroalimentare ma non è conosciuto come si deve. Cercheremo di brandizzare il Piemonte e i suoi prodotti. Quindi sta per partire un progetto che si struttura su un marchio che andremo a collocare su molte nostre eccellenze agroalimentari che vanno in giro per il mondo e stiamo strutturando una campagna promozionale».

Tempi per andare a regime con questo progetto?

«A regime non è facile dirlo ma cominceremo subito, già dal Vinitaly di aprile. Si vedrà un’immagine nuova del Piemonte, un percorso promozionale asfissiante in Italia, Europa e nel mondo. Attenzione però, tutto questo deve essere affiancato dalla tracciabilità: perché dobbiamo dare ai consumatori la garanzia che quello che acquistano e consumano sia made in Piemonte».

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I distretti del cibo, sui quali si sta puntando molto in questo periodo, possono dare una mano per la promozione. In Piemonte sono dieci.

«Sono strumenti fondamentali per la politica che sto cercando di portare avanti: promozione dell’agroalimentare, ricerca e innovazione per rispondere ai cambiamenti climatici e alla congiuntura internazionale che aumenta le incertezze. Porterò presto il regolamento in Commissione per avere regole omogenee anche se i territori sono diversi. Con questi dieci distretti siamo quasi al completo come copertura, ne manca uno sulla montagna che sta nascendo e uno sulla carne: ci tengo molto che nasca per la tutela dei nostri 300mila capi di razza piemontese».

Risorse a disposizione per i distretti?

«Quest’anno stanziamo 1,5 milioni per la promozione e molte altre risorse, tra cui 3,6 milioni per i distretti del cibo e otto per la promozione del vino. Ma dobbiamo fare di più, soprattutto sulla tracciabilità, prendendo spunto da chi ha fatto bene in questo ambito: Polonia e Australia. E poi ci sono i due distretti piemontesi finanziati con il bando del Masaf, su un totale di 11 a dimostrare il buon lavoro fatto. Da poco è uscito un bando con 3,6 milioni a disposizione delle enoteche e ai distretti del cibo. Poi daremo un incentivo a tutti i distretti per l’avviamento ed entro fine 2025 proveremo a fare un secondo bando».





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