Giovani all’estero, l’indagine: «Ecco perché se ne vanno: salari bassi, servizi, meritocrazia»

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di
Silvia Madiotto

Nel 2023 quasi 4mila hanno lasciato il Veneto. Le interviste di Fondazione Nordest: «Italia in grave ritardo rispetto ai concorrenti avanzati»

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C’è un dato di fatto incontrovertibile, in base alle interviste fatte ai giovani del Nord Italia da Fondazione Nordest. Per chi vive ancora qui, la qualità dell’università e della sanità pubblica sono validi motivi per non lasciare il Paese, per investire nella propria formazione, per scegliere dove abitare. Ma ad ascoltare chi ha scelto di migrare fuori dai confini, le prospettive dell’università e dei servizi sanitari non bastano. Anzi, fuori dall’Italia tutto è preferibile. La sintesi del centro studi è che l’Italia risulta bocciata in meritocrazia e ottiene voti insufficienti da parte degli «expat», in particolare per quanto riguarda i salari, l’attenzione delle imprese ai propri collaboratori, le infrastrutture digitali e le politiche per i giovani. Cioè quelle che riguardano proprio loro, i residenti del Settentrione fra i 18 e i 34 anni. L’Italia perde attrattività ed è, rileva la Fondazione, «in grave ritardo rispetto ai competitor avanzati». Da emulare sono soprattutto «le buone pratiche estere e quelle delle poche imprese nazionali attente alle ambizioni dei giovani».

L’indagine

Il campione d’indagine è rappresentato da circa duemila residenti nelle Regioni del Nord e circa 850 ragazzi espatriati. Uno studio recente di Fondazione Nordest evidenzia che i giovani veneti trasferitisi all’estero nel 2023 sono stati 3.759; fra 2011 e 2023 i migranti fra i 18 e i 34 anni sono stati quasi 35 mila. A livello nazionale si stimano in tredici anni oltre 550 mila «arrivederci».
Interrogarsi sui motivi, si legge nell’indagine, è utile per «disegnare la strategia per aumentare la capacità del sistema economico-sociale italiano di trattenerli e anzi incentivare il rientro di quelli che sono usciti» considerato che oltre la metà di loro nel futuro si sposterà ancora, in base proprio alle opportunità.




















































Cosa attrae e cosa respinge i giovani

Ai giovani intervistati è stato chiesto di indicare se un fattore inducesse o meno a rimanere nel Paese in cui si trovano attualmente. Per quanto riguarda le politiche pubbliche, pesano i voti negativi per le politiche giovanili, per il lavoro e per la famiglia, le infrastrutture digitali (sia per gli «expat» che per i residenti settentrionali), anche se chi rimane trova positive la qualità dell’università e della sanità. L’offerta culturale è quella che, secondo entrambi i campioni, ha il valore più elevato in Italia, anche rispetto all’estero. Tuttavia, la qualità della vita è migliore all’estero per chi se n’è andato (solo uno su tre la ritiene migliore in Italia), e soprattutto fuori dall’Italia trovano apertura internazionale nelle relazioni e molta più meritocrazia. Meritocrazia che è un vulnus anche per chi vive qui e sente una mancanza notevole proprio su questo frammento. Nove «expat» su dieci e tre «residenti» su quattro ritengono che l’inerzia dell’Italia sia penalizzante.

Lavoro, paga bassa e poche possibilità di crescita

Il capitolo «lavoro» non ha come unico elemento negativo il fatto che i salari siano molto più bassi se rapportati a quelli dei Paesi esteri (lo dicono quasi tutti gli espatriati, e due terzi dei giovani che sono qui ritengono che sia una buona ragione per andarsene), ma anche che fuori dai confini ci sono più possibilità di crescita e di guadagno. Non ci sono molte opportunità per mettersi in gioco, per la crescita professionale, per lavorare in settori innovativi. La nota più positiva per i residenti nel Nord Italia è che le opportunità di lavoro sono coerenti con il percorso di studi intrapreso. Per quanto riguarda il sistema imprenditoriale e il lavoro, i giovani hanno giudizi molto negativi e c’è poco da stare allegri: chi è espatriato ha giudizi molto più severi rispetto a chi è rimasto, ma tutti condividono bene o male la stessa predisposizione generale. Per nove su dieci di coloro che hanno lasciato l’Italia l’impressione è che gli imprenditori non prestino attenzione alle esigenze dei propri collaboratori e che non ci siano aziende competitive; lo stesso pensano anche tre residenti su dieci. Per chi rimane qui, le imprese italiane hanno poca apertura internazionale (nonostante i soddisfacenti dati dell’export).

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