Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
Cara Giulia: sono passati meno di tre mesi dall’insediamento, e l’arredo dell’ufficio al nono piano di palazzo Berlaymont, il quartier generale della Commissione europea a Bruxelles, è ancora piuttosto spoglio.
Il libro a cui Gino Cecchettin ha affidato la storia di sua figlia Giulia e l’impegno contro la violenza di genere, campeggia però in bella vista nella libreria. È stato lui a donarglielo in occasione di un recente incontro a Roma, racconta a MoltoDonna Hadja Lahbib, nella prima intervista con una testata italiana dall’inizio del mandato. Cinquantaquattro anni, dopo quasi 30 da giornalista tv, nell’estate 2022 Lahbib è diventata a sorpresa ministra degli Esteri e degli Affari Ue del suo Belgio in quota ai liberali francofoni. Nella squadra presieduta da Ursula von der Leyen ha un vasto portafoglio, che ricomprende Aiuti umanitari, preparazione e gestione delle crisi, protezione civile. E, appunto, uguaglianza. «Sono una donna, è normale che le mie spalle vengano sovraccaricate…», sorride Lahbib. Mercoledì 5, alla vigilia dell’8 marzo, la Commissione varerà una roadmap sui diritti delle donne.
In cosa consisterà?
«Sarà una dichiarazione solenne su diritti, finanziamenti e infrastrutture per la promozione della parità. Ho scelto di farlo nei primi 100 giorni di governo per mostrare il nostro impegno e l’urgenza dell’iniziativa. Sono passati 30 anni dalla Dichiarazione Onu di Pechino che riconobbe esplicitamente i diritti delle donne come diritti umani, eppure oggi siamo immersi in un clima di disinformazione pericolosa, che sembra suggerire come l’uguaglianza di genere non sia un’esigenza reale, ma un problema di una manciata di donne “isteriche”. E invece no, l’assenza di parità è una minaccia per tutti noi, dalla violenza al freno alla crescita».
Cosa succederà dopo?
«Sarà solo l’inizio di un processo partecipativo: per tre mesi, consulteremo la società civile, i giovani, le parti sociali, le organizzazioni internazionali e gli Stati. Da commissaria all’Uguaglianza, in generale, voglio rafforzare l’indipendenza finanziaria e ridurre il divario retributivo di genere, cioè il fatto che una donna guadagna in media il 13% in meno rispetto a un collega uomo, il che genera un gap pensionistico pari al 24%. Tutto ciò è anche frutto della discriminazione, visto che il lavoro di cura in famiglia è generalmente a carico delle donne, che vi dedicano tra le 4 e le 5 ore in più al giorno rispetto agli uomini. Intendo poi aumentare la rappresentanza femminile in politica e nel settore privato e contrastare gli stereotipi nocivi, in particolare sui media e nella pubblicità».
Annuncerete nuove misure?
«Adottare ambiziose proposte legislative non basta. Serve metterle in pratica. E questo sarà il principale obiettivo dei prossimi anni: abbiamo già una serie di provvedimenti rivoluzionari in vigore, come la direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata, che rafforza orari flessibili e congedi parentali, la strategia sull’assistenza, la direttiva sulla trasparenza salariale per assicurare parità di retribuzione uomo-donna a parità di lavoro, quella sull’uguaglianza di genere nei Cda delle società quotate in Borsa. E, naturalmente, quella contro la violenza domestica. Ci avvarremo dei dati delle agenzie Ue per misurare l’impatto di queste azioni e capire cosa occorre».
Il motto di questa Commissione è il rilancio della competitività economica. Che ruolo gioca la parità di genere?
«Secondo una stima Ue, migliorarla potrebbe tradursi in una crescita del Pil tra il 6 e il 9% entro il 2050, generando fino a 3mila miliardi in più. La disuguaglianza nel mercato del lavoro dell’Ue, invece, costa 370 miliardi di euro ogni anno. Insomma, se vogliamo affrontare il nodo competitività, partiamo da qui! Anche l’insicurezza, che inizia con la violenza tra le mura domestiche o online e continua in strada, ha un prezzo: 290 miliardi di euro ogni anno in tutta l’Ue, dovuti ai costi del supporto psico-sanitario, dei servizi sociali, della forzata assenza dal lavoro».
A proposito di violenza di genere, cosa può fare l’Ue per contrastarla?
«Alcuni Paesi riconoscono già il femminicidio nei rispettivi ordinamenti, ma non rientra ancora tra gli “euro-crimini”. Inserirlo sarebbe il passo successivo. Il diritto penale, però, è competenza nazionale e, a livello Ue, solo un anno fa abbiamo visto la difficoltà di adottare una definizione comune di consenso. La vicenda giudiziaria di Gisèle Pelicot, in Francia, è stata tuttavia emblematica: ci ha mostrato che esistono aree grigie, in particolare in situazioni in cui manca un consenso chiaro, come nel caso di violenza su persone incoscienti. In parallelo, dobbiamo lavorare per cambiare la mentalità alla radice».
Cioè?
«La violenza di genere tira in ballo tutta la società. Io mi rivolgo direttamente agli uomini; penso sia urgente un impegno collettivo sull’educazione e sul superamento degli stereotipi di genere. Ne ho parlato anche con Gino Cecchettin: gli ho detto che come Commissione siamo pronti a promuovere insieme alla Fondazione Cecchettin iniziative rivolte ai giovani, nel quadro del dialogo intergenerazionale da poco avviato».
Veniamo alla rappresentanza politica. Al momento di formare la sua squadra di commissari, von der Leyen ha affrontato non pochi problemi per avere un congruo numero di donne…
«Scegliere i commissari è responsabilità degli Stati, ma a un certo punto, la presidente ha battuto i pugni e ha esortato i Paesi che non avevano ancora proposto nessun profilo a indicare un’esponente femminile. E meno male che l’ha fatto, perché altrimenti avremmo avuto una disuguaglianza ancora maggiore (oggi le donne sono 11, il 40% del collegio di 27, ndr). Non lasciamoci, però, ingannare dalla parità numerica…».
Cosa intende?
«Nell’Ue, per fortuna, dimostriamo che le donne sono in posizioni di primo piano, ma nei governi nazionali gli incarichi di maggior peso continuano a essere spesso degli uomini. Nel mondo ci sono solo 28 Paesi guidati da donne. Di questo passo ci vorranno oltre 130 anni per una vera parità».
Lunedì era a Kiev per il terzo anniversario dall’inizio della guerra russa in Ucraina.
«Insieme a bambini e anziani, le prime vittime in contesti di guerra, violenza e crisi sono le donne. In Ucraina sono loro il pilastro della società: gestiscono la casa, la famiglia, continuano a lavorare, vanno al fronte, pur non avendo spesso uniformi militari adatte. Non è una questione estetica ma di effettivo pericolo: pensiamo alle scarpe troppo grandi o ai giubbotti antiproiettile non adeguati ai reggiseni. Di fronte alla guerra, poi, la prevenzione rischia di passare in secondo piano. Per questo tra i progetti Ue c’è una clinica ginecologica mobile che si spinge fino alle zone del Paese più difficili da raggiungere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link