Dal Cpr di Macomer al tentativo di suicidio sulla strada per l’aeroporto: la storia di Oumar

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Dopo sei mesi nel centro sardo, venerdì mattina lo hanno messo su un cellulare della penitenziaria per portarlo a Cagliari e rimpatriarlo. Ma ha ingoiato delle batterie e un anello, finendo al pronto soccorso. La battaglia della compagna per farlo uscire da quel luogo di degrado e violenza e l’assenza di dati sugli eventi critici durante le operazioni di rimpatrio forzato

«Piuttosto che tornare in Senegal mi ammazzo». Oumar (nome di fantasia) ha 35 anni, da sei è in Italia. Per nulla al mondo, spiegava alla compagna Gabriella, sarebbe tornato da dove veniva. Gli ultimi sei mesi li ha trascorsi nel centro per i rimpatri di Macomer, in Sardegna.

Quando venerdì mattina lo hanno messo su un cellulare della penitenziaria per portarlo a Cagliari a prendere il volo per Roma – e da lì per Dakar, per essere rimpatriato – ha ingoiato delle batterie e un anello proprio davanti agli occhi delle forze dell’ordine. Trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari, in serata è rientrato nel Cpr di Macomer, in attesa dell’esito dell’ennesima istanza sulla sua procedura d’asilo.

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Un report di ottobre parla di botte, sedativi, degrado e violenza nell’unico centro per i rimpatri dell’isola. La scorsa settimana in pochi giorni due persone avrebbero cercato di uccidersi, portando a sette il numero di tentativi per il 2025.

Nel 2024 sono entrate nel Cpr di Macomer 251 persone, per una permanenza media di 55 giorni, racconta Irene Testa, garante regionale delle persone private della libertà personale: sono soprattutto uomini e ragazzi marocchini, tunisini e algerini. 81 venivano dal carcere, 25 – «un numero molto alto» – sono tossicodipendenti. I richiedenti asilo risultano 23. E 43 sono stati poi effettivamente rimpatriati nei paesi di origine. I casi di autolesionismo registrati nel corso dell’anno sono 30. «Non si registrano suicidi riusciti, per fortuna. Ma cinque tentativi sì: con questa brutta abitudine dell’amministrazione di chiamarli suicidi “simulati”», dice la garante.

Eventi critici

Dentro i Cpr ci sono (o ci dovrebbero essere, per legge) i registri degli eventi critici, un quaderno che riporta tentati suicidi, atti di autolesionismo, accenni di rivolta. Fuori no. Non nel trasporto all’aeroporto, per esempio.

Ecco perché nel 2022, per esempio, l’autorità nazionale garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà raccomandava un analogo strumento per «eventi critici verificatisi nel corso di un’operazione di rimpatrio forzato»: atti «di aggressione nei confronti del personale, casi di ricorso all’uso della forza e delle misure coercitive, interventi dei sanitari, verifiche di sicurezza compiute con modalità particolari, manifestazioni di protesta e tentativi di fuga, episodi di autolesionismo e istanze espresse dalle persone straniere». Raccomandazione, ad oggi, disattesa.

La storia di Oumar

«Lo sapevo», dice disperata Gabriella al telefono mentre sfreccia da Sassari a Cagliari. Sono tre anni che stanno insieme. Convivono. «Ci vogliamo davvero bene. Volevamo sposarci». Oumar si è visto rigettare più volte la richiesta di protezione internazionale: il Senegal è “paese sicuro”, fresco di piano Mattei e di un accordo di 5 milioni di euro per cooperazione agricola con l’Italia firmato a novembre.

E la commissione non sembra neanche credere al racconto di quello che l’uomo avrebbe subito in patria. Racconta di essere arrivato in Europa via mare, con una di quelle piroghe che ci mettono una settimana nell’oceano per arrivare in Spagna, quando non naufragano lontano da occhi, soccorsi e testimonianze.

Poi l’Italia, prima Torino e poi Sassari. Nel suo paese lo vogliono morto, dice, vogliono che paghi colpe non sue ma della sua famiglia di cui, nel frattempo, non resta più nessuno. E in Sardegna al mare non ci si avvicina. «È terrorizzato dall’acqua», dice la sua compagna.

È entrato nel Cpr di Macomer il 9 settembre 2024, dopo essere stato trovato per strada senza documenti. Gabriella, in quel momento, era al lavoro in albergo. «Sbarcava il lunario, riusciva a fare lavori ma solo in nero, faceva l’ambulante. Gli hanno sempre negato i documenti». Da lì è partito l’incubo, ma anche la battaglia.

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«Nel Cpr di Macomer non c’è niente e i trattenuti non fanno nulla dalla mattina alla sera», racconta la garante. La struttura è quella di un ex carcere di massima sicurezza «e anche il paesaggio è angosciante». «Non mangiavano nulla fino a poco tempo fa», conferma Gabriella. «Razioni ridotte e non commestibili».

Per sei mesi fa su e giù da Sassari a Macomer una volta alla settimana: non può vedere il compagno ma può portare a lui e agli altri qualcosa da mangiare. All’inizio, Gabriella ha fatto fuoco e fiamme perché convinta che a Oumar vengano dati sedativi e psicofarmaci. «Ora non più», assicura. «Non a lui, almeno». Da un paio di mesi i trattenuti hanno anche un telefono (non smartphone, solo per chiamare o ricevere chiamate, come pure accade in altri Cpr) con cui comunicare all’esterno.

Per mesi Gabriella prova a far riconoscere la loro unione, per farlo uscire. A dimostrare l’autosufficienza anche per due, con una casa, un lavoro, una stabilità. Negli ultimi giorni la notizia: dopo sei mesi, finalmente, la prefettura la ha autorizzata a visitare Oumar nel Cpr in qualità di convivente. Mettendo quindi su documento ufficiale, nero su bianco, l’unione di fatto.

Si sono riabbracciati dopo mesi. Ma soprattutto è con quel documento che Gabriella ricomincia la battaglia. Oltre al destino incerto di Oumar, infatti, «c’è il diritto all’affettività di Gabriella, cittadina italiana ed europea, che fino a questo momento non è stato tutelato», spiega il suo avvocato Stefano Mannironi.

«Finora quel che è accaduto a questa coppia disattende quanto sancito dalle Corti europee»: il diritto a restare di Oumar «deriva» da quello della sua compagna a vivere qui la vita che ha scelto. «Ero così certa della sua liberazione che stavo preparando tutto per il suo ritorno a casa», dice Gabriella. «Avevo anche comprato i fiori».

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