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La disinformazione è un elemento sempre più rilevante nella politica globale. Analizziamone i ruoli nella Siria in transizione.

Tra gli elementi che influenzano e determinano gli eventi internazionali contemporanei, si deve includere la disinformazione.

Prima di tutto, esiste una distinzione tra disinformazione e misinformazione. La prima rappresenta la condivisione di informazioni false con l’intento di farlo. La seconda è la diffusione di materiale la cui veridicità non è verificabile, ma senza dolo. Questa si manifesta, per esempio, con la re-condivisione ripetuta di un post. Il disordine comunicativo che crea la misinformazione è sia il risultato della moltiplicazione e superficialità dell’informazione sui social network, sia una tecnica strategica per la diffusione di notizie controverse e/o ambigue.

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Entrambi questi fattori, alimentandosi l’uno con l’altro, sono in grado di alterare in modo consistente il quadro politico internazionale o nazionale (Pizzagate), di instillare sentimenti e movimenti a livello sociale (deumanizzazione di minoranze) e modificare l’assetto economico (mercati finanziari). 

La disinformazione e la misinformazione sono state fondamentali durante il conflitto siriano e lo sono ora nella sua fase di ricostruzione. Dunque, vediamo in dettaglio gli attori coinvolti, gli obiettivi della disinformazione, le sue implicazioni e le prospettive per la Siria contemporanea.

Attori della disinformazione della guerra civile

Il primo attore chiave della disinformazione è l’ex-regime di Bashar al-Assad. La monopolizzazione dell’informazione pubblica tramite radio, televisione e giornali era un asset dell’amministrazione degli Assad – così come lo è di molti governi autoritari. Il conflitto civile, nel tentativo di screditare i ribelli e i loro sostenitori, ha amplificato il processo di falsificazione e manipolazione. Secondo i report di Reporter Senza Frontiere (RSF), il Paese è in fondo alla classifica mondiale per quanto riguarda la libertà di stampa (179/180). L’informazione siriana è stata monopolizzata dall’agenzia governativa SANA e il governo è stato accusato dell’omicidio di 181 giornalisti durante il conflitto. Inoltre, dal 2022, una legge consente la persecuzione degli utenti dei servizi di informazione digitale che diffondono notizie ‘dannose per l’immagine della nazione’.

Al fianco del regime, i suoi alleati – soprattutto la Russia – hanno contribuito alla distribuzione di notizie obsolete e false (tra cui molti deepfakes). Tramite il cosiddetto information warfare, la Russia ha contribuito alla delegittimazione pubblica di alcuni attori e gruppi dell’opposizione. Tra i più celebri, gli attacchi all’organizzazione dei Caschi Bianchi, accusati di essere strumenti e attori dell’Occidente con lo scopo di legittimare i loro interessi e i gruppi terroristici sul territorio.

Non secondi nella manipolazione dell’informazione sono stati l’opposizione e i suoi alleati. Tra questi, USA e UK, ma anche poteri regionali come Turchia e Arabia Saudita. Le campagne a favore dell’”opposizione moderata” e della lotta al terrorismo sono state decisamente impattanti. Inoltre, sono state registrate diverse controversie in organizzazioni e testate vicine all’opposizione. Per esempio, gli stessi Caschi Bianchi sono accusati della creazione di immagini e riprese video create ad hoc per descrivere situazioni di fantasia (seppur verosimili) per attirare l’attenzione del pubblico.

Obiettivi e implicazioni della disinformazione durante la guerra civile

Da ambo i lati, gli obiettivi erano quelli di deumanizzare l’Altro, legittimando sé stessi. Da un lato, il regime che cerca di mantenere il suo potere; dall’altro gli oppositori, che cercano di rovesciare il potere dispotico con ogni mezzo. Questo, in una catena circolare in cui causa ed effetto sono continuamente interscambiabili, ha provocato la polarizzazione del conflitto e dell’informazione in correnti chiuse e incapaci di comunicare.

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Alimentate dai rispettivi alleati regionali e internazionali, le notizie si sono diffuse tramite la misinformazione. La re-condivisione dei contenuti manipolati e non verificati da parte degli utenti (sia esperti che civili) ha portato all’opacità completa della realtà. In aggiunta alla difficoltà di imporre un criterio di verità alle informazioni, l’impossibilità di accedere alle aree interessate da parte di analisti ed esperti ha contribuito al buio informativo.

La mancata trasparenza e polarizzazione è stata dannosa anche sul piano sociale. Infatti, le diverse fazioni hanno sviluppato odio e radicalizzazione reciproche che si sono tradotte in una consolidata ostilità verso l’Altro (deumanizzazione) – spesso a discapito delle minoranze. Che fosse un effetto collaterale o ricercato, questo ha complicato il contesto politico.

In più, la disinformazione ha permesso di coprire i crimini e le violazioni. La negazione a più riprese di pratiche – come le detenzioni inumane, l’uso di armi chimiche, o l’arresto dei responsabili dei crimini – ha permesso un oblio legale sugli eventi. Le implicazioni sono state impunità e senso di ingiustizia diffuso tra la società siriana.

Infine, la mancanza di trasparenza sui fatti ha permesso alle potenze estere di mascherare i propri interessi dietro al conflitto. La guerra civile, tramutata in guerra per procura, ha riguardato l’influenza e la presenza sul territorio, l’accesso alle risorse, gli equilibri di alleanze e di potere tra stakeholder. Le conseguenze delle politiche narrative occidentali, per esempio, si sono riversate, oltre che sugli attori primari, sugli (in)effettivi interventi sul campo della coalizione occidentale, oltre che sulle manovre di sopracitate. Rilevante, tra le altre, è come le narrazioni sulla legittimità alla lotta al terrorismo abbiano avallato interventi militari entro i confini siriani e iracheni.

Evoluzione e prospettive del “contesto disinformato”

Questo scenario non è scomparso con la caduta del regime a dicembre. Gli effetti della disinformazione (e misinformazione) si riflettono tuttora sulla delineazione dell’opinione pubblica, interna ed esterna. In più, la disinformazione rimane un interesse per coloro che hanno obiettivi strategici sulla Siria. Per esempio la Turchia con i curdi o la Russia per il mantenimento delle basi sul Mediterraneo.

Sul piano della progettazione e della ricostruzione della Siria, i rischi sono molti. A livello nazionale, le tensioni tra i gruppi e le minoranze sono ancora accese, seppur affievolite dall’entusiasmo della fine della guerra. Inoltre, la prorogata misinformazione può modellare, anche sulla base di volontà esterne, le iniziative di post-conflitto volte alla ricostruzione del Paese. Si intende sia il livello occulto e strategico, che vuole manipolare le informazioni di proposito, sia quello della frammentazione protratta dei gruppi, che rallenta la coordinazione per misure efficaci.

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A livello regionale e internazionale, la stigmatizzazione di alcuni gruppi – come Hayat Tahrir al-Sham, che ha visto oscillare la sua identità da gruppo terroristico a gruppo legittimo al governo – diffonde un senso di incertezza e sfiducia. In aggiunta all’assenza di una visione di un gruppo unitario e fidato impegnato nella transizione, questo può ricadere nella mancata volontà di investimento e di supporto, creando una ripercussione economica dannosa per un Paese da ricostruire anche a livello infrastrutturale. Inoltre, se le informazioni sono viziate da manipolazione e disinformazione, l’investimento potrebbe essere indirizzato in maniera errata.

Ancora, la comunità internazionale, che sta inviando delegazioni diplomatiche nel Paese per la costruzione di rapporti positivi con il governo di transizione, corre il rischio di alimentare false speranze. Le illusioni sarebbero legate all’idea di una risoluzione democratica su modello occidentale che non è effettivamente applicabile. Il perseguimento di narrative inverosimili riguardo al futuro è inseribile nel contesto, se non della disinformazione, per lo meno della misinformazione, che va a creare un gap di aspettative rischioso.

Infine, la creazione di false notizie, se smentita, può alimentare la sfiducai e le tensioni, danneggiando ulteriormente la collaborazione. Un esempio è stato quello di Clarissa Ward, giornalista di punta di CNN, che nel testimoniare gli orrori delle prigioni del regime ha creato un reportage di cui è stata svelata la scorrettezza. Anche se le motivazioni dietro al reportage (fittizio o negligente) non sono note, la manipolazione dell’informazione ha causato un senso di mancanza di rispetto nei confronti delle vittime delle prigioni, danneggiando la fiducia dei civili verso l’Occidente, che la giornalista incarnava in quella posizione di narratrice, per quanto riguarda la volontà di sostenere i siriani.

La tendenza della disinformazione (e misinformazione), ovunque come in Siria, è che stia diventando (o sia già) pervasiva. La conseguenza, dall’impossibilità di comprendere i fatti, ricade nella necessità di dover prendere decisioni politiche, sociali ed economiche sulla base di informazioni manipolate e non verificabili. Inoltre, l’esposizione a campagne mediatiche di disinformazione ha imposto (e impone) dei filtri che impediscono di cogliere i propri errori e di re-umanizzare l’Altro dopo il conflitto.

Indicazioni per vie alternative

Nella prospettiva di una ricostruzione efficace ed efficiente, è fondamentale riconoscere il ruolo di disinformazione e misinformazione nei processi decisionali. In questo modo ci si può accertare che altri interessi (strategici o contingenti) non influiscano sulla politica nazionale e internazionale. In più, dagli studi delle scienze cognitive e dalla psicologia, emergono diverse teorie che sostengono che gli schemi comunicativi siano in grado di attivare determinati pattern cognitivi che sono responsabili della comprensione e dell’interpretazione di ciascuno (framing theory, priming). In questo modo, qualsiasi prodotto dell’informazione è di fatto responsabile della comprensione della realtà, soprattutto su destinatari inavveduti.

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È fondamentale che qualsiasi agente che si occupa di pianificazione e consulenza applichi un rigido fact-checking delle informazioni che maneggia. In più, è fondamentale interrogarsi sui propri pregiudizi, costruiti da anni di guerra e polarizzazione dell’informazione.

Dunque, sono raccomandati corsi di formazione per utenti a tutti i livelli, ma anche task force indipendenti impegnate nella ricerca delle fonti di informazioni primarie e nella verifica di quelle secondarie per il successo delle proprie iniziative.

Il decision-making viziato da una guerra d’informazione non sarà in grado di creare una pace sostenibile. Essere succubi della disinformazione, come addetti ai lavori, potrebbe significare imprecisione e una mancata considerazione delle necessità (dei gruppi, degli investimenti, delle alleanze) che oggi in Siria nessuno può permettersi. Per rendere questo processo sostenibile, anche la popolazione civile va educata all’informazione corretta.



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