Il 12 e 13 marzo i giornalisti torneranno al voto per eleggere i propri rappresentanti regionali e nazionali, Stefano Pallotta è candidato al Consiglio nazionale dopo 21 anni di presidenza dell’Ordine d’Abruzzo. Ospite di Grandangolo, il presidente Pallotta ripercorre la rivoluzione che ha stravolto il giornalismo, dal lavoro da cronista, alle redazioni virtuali, fino alle nuove sfide necessarie per l’Ordine.
La decisione di candidarsi al Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, da parte di Stefano Pallotta, è “una scelta maturata quasi meccanicamente, dopo 21 anni nell’Ordine regionale in cui abbiamo incontrato tanti ostacoli, alcuni dei quali anche importanti. Si pensi che noi avevamo una piccola stanza in Consiglio regionale, eravamo quindi ospiti dell’Istituzione politica e questa, anche dal punto di vista simbolico, non era una soluzione ideale rispetto all’esigenza di autonomia e indipendenza dell’informazione dal potere politico. Per questo, una delle prime scelte da presidente è stata quella di uscire da quel luogo per avere una sede autonoma. Ovviamente, ci sono state tante altre vicissitudini nel tempo e, dopo tutti questi anni, credo che sia arrivato il momento di trovare nuovi stimoli ed impulsi”.
Venti anni fa, quando Stefano Pallotta assumeva la sua prima presidenza dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, il giornalismo era diverso. Molto diverso. “L’evoluzione tecnologica ha cambiato profondamente il mondo dell’informazione. La mia generazione utilizzava l’Olivetti per scrivere gli articoli, poi ci sono stati il computer e internet. Ora i social. Anche le stesse strutture organizzative del giornalismo sono cambiate: non si parla più di redazione intesa come quattro mura, ma di una redazione virtuale. E tutto questo è cambiato con una rapidità impressionante. Per tutte queste ragioni credo che sia giusto dare spazio a queste nuove generazioni che, magari, non sono nate nel pieno dell’era digitale, ma che sono perfettamente immerse in questo mondo, nonostante qualche radice analogica”.
In questi venti anni, che genere di influenza ha avuto la politica nel giornalismo?
“Storicamente il giornalismo italiano ha sempre avuto una contiguità forte con la realtà politica. Inizialmente si discuteva molto del pluralismo dell’informazione: venivano guardati con sospetto quegli organi di informazione non di partito, ma comunque collegati alle forze politiche. Tuttavia, prevaleva il pluralismo e ciò si riverberava in automatico nell’informazione. Con il passare degli anni, però, c’è stata una sorta di polarizzazione politica che parallelamente si è estesa all’informazione. Per cui questa contiguità di cui parlavo è sempre rimasta ed oggi, anzi, si è accentuata. Infatti, attualmente non si può parlare più di pluralismo dell’informazione”.
L’EDITORIA GUIDA L’INFORMAZIONE
“C’è l’editoria nel ruolo guida del mondo dell’informazione, benché siano cambiati i settori imprenditoriali dietro questa editoria. La strada di un’editoria pura, che vuol fare affari solo con il giornalismo, è stata tentata ma senza risultato.
Quindi, persistono vecchie logiche imprenditoriali legate all’automobilismo, alla finanza, alle costruzioni e così via…
Da questo punto di vista, tra ieri ed oggi, non è poi cambiato molto”.
A livello pratico ed operativo, invece, com’è cambiato il lavoro del giornalista in questi venti anni?
Quella avvenuta nel giornalismo è stata una vera e propria rivoluzione, che Pallotta ripercorre ai nostri microfoni: “Noi avevamo una tradizione di giornalismo settoriale. La mia generazione, e parlo a livello nazionale, si è formata su settori specializzati di cronaca, politica, economia. C’erano delle competenze specifiche, anche sportive. Oggi, invece, al giornalista si richiede una specializzazione di tipo generalista. Deve fare assolutamente tutto, non solo dal punto di vista dei settori – quali cronaca, politica, attualità – ma deve avere anche competenze tecnologiche che prima erano affidate ad altri specialisti. C’era chi usava la telecamera, chi reggeva il faretto… Oggi fa tutto il giornalista, che spesso deve sapere anche effettuare il montaggio televisivo. C’è stata, dunque, una trasformazione anche dal punto di vista antropologico e la mia generazione non può più competere con i giovani che, dietro le loro spalle, non hanno più la ‘praticaccia’, ma lauree, specializzazioni universitarie e competenze tecnologiche che noi non abbiamo”.
Eppure, dal punto di vista dell’Istituzione ordinistica non c’è stata un’analoga trasformazione che abbia seguito di pari passo la rivoluzione subita dal mondo della comunicazione. Per questo, “l’impegno che dobbiamo profondere, se vogliamo continuare a portare avanti l’organismo, deve essere enorme affinché ci sia un adeguamento alle sfide moderne. La legge istitutiva dell’Ordine risale al 1963: è come se fossero passati ‘secoli’ da allora e in tutto questo tempo il giornalismo è cambiato radicalmente.
Si è cercato di adeguare questa legge all’evoluzione dei tempi, ma una legge resta una legge e oltre certe interpretazioni non può andare. Per questo le sfide che ci attendono saranno: rendere l’Ordine più agevole dal punto di vista burocratico, più partecipativo, più democratico. Non è retorica, alla luce di quanto vissuto negli anni, credo di poter dare ancora qualcosa alla categoria”.
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