Povertà, economia al collasso, macerie fisiche e sociali. Eppure la società civile continua a resistere con straordinaria determinazione e a battersi per i diritti umani e democrazia. Ma è forte timore che questi sforzi siano soffocati in un contesto politico instabile, dominato da interessi esterni.
Il volto di una Siria ferita che si rialza
La Siria continua a essere un Paese segnato da profonde cicatrici. Il nostro ritorno nei territori devastati dal conflitto ha rivelato uno scenario di macerie fisiche e sociali, ma anche di speranze sopravvissute alla distruzione. La povertà è una realtà inconfutabile e sempre più visibile, con un’economia al collasso, una lira siriana svalutata e un mercato del lavoro quasi inesistente. Le ONG faticano a coprire il fabbisogno umanitario, mentre gli aiuti internazionali, ostacolati dalle tensioni geopolitiche, risultano insufficienti. In alcune zone, come nel nord-est e nel sud, la situazione è ancora più drammatica: le infrastrutture sanitarie sono in gran parte distrutte e l’accesso all’elettricità e all’acqua potabile è limitato. Eppure, nonostante queste difficoltà, la società civile siriana continua a resistere con straordinaria determinazione.
Durante i momenti più bui della guerra e della repressione, la società civile siriana ha dimostrato una capacità di resilienza incredibile. Organizzazioni comunitarie, attivisti e cittadini impegnati hanno lavorato instancabilmente per mantenere viva la speranza e creare un tessuto sociale forte e solidale. Con lo scoppio della guerra civile, le iniziative dal basso hanno assunto un ruolo ancora più centrale, fornendo assistenza umanitaria, educazione e supporto alle comunità più vulnerabili. Quella che abbiamo visto non è solo una Siria di macerie e disperazione. Associazioni locali e iniziative comunitarie stanno cercando di ricostruire non solo case e infrastrutture, ma anche la dignità e il senso di appartenenza della popolazione. Piccoli progetti imprenditoriali e artistici stanno nascendo grazie alla determinazione di chi rifiuta di arrendersi.
Diritti umani e informazione libera: una lotta quotidiana
Nonostante le repressioni, la società civile siriana non ha mai smesso di battersi per i diritti umani e la democrazia. Decine di organizzazioni hanno continuato a lavorare nell’ombra per preservare la cultura, l’attivismo politico e la libertà di stampa. Tuttavia, il rischio che questi sforzi vengano soffocati in un contesto politico instabile e dominato da interessi esterni è concreto. Con la nostra missione abbiamo incontrato un gruppo di attivisti per i diritti umani a Sweida, una città simbolo di resistenza. La loro associazione, mai riconosciuta ufficialmente dal regime, continua a documentare violazioni e abusi: esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e violenze sistematiche.
Con risorse limitate ma con una determinazione incrollabile, raccolgono testimonianze fondamentali per costruire una memoria storica collettiva e combattere l’impunità. Nel frattempo, alcuni giornalisti stanno cercando di aprire una scuola di giornalismo indipendente, la QMedia, un’impresa ambiziosa in un Paese dove l’informazione è stata a lungo controllata e manipolata. “L’informazione libera è un diritto che va difeso a ogni costo”, ci hanno detto, consapevoli dei rischi a cui vanno incontro ma anche del ruolo fondamentale che può svolgere una corretta e oggettiva informazione libera e capillare.
Il cinema e la cultura come strumenti di resistenza
Anche la cultura si sta rivelando un potente mezzo di resistenza. Il regista siriano Alhayam Ali ci ha raccontato la sua esperienza con il cortometraggio The Barn, premiato in Italia, che offre un ritratto intenso della quotidianità in Siria, testimoniando la lotta per la sopravvivenza e il trauma lasciato dalla guerra. Attraverso le sue immagini, Ali porta la voce del popolo siriano oltre i confini nazionali, dimostrando come la cultura possa essere una forma di resistenza potente e necessaria.
“L’arte e la cultura non sono solo strumenti di intrattenimento, ma anche mezzi di resistenza e cambiamento sociale. Esse offrono uno spazio di espressione a chi è privato di voce, creano legami tra comunità diverse e sfidano le narrazioni imposte dal potere”, ci ha spiegato Hussein, che insieme a Haya ha promosso un percorso di promozione culturale con l’associazione Nahla, rimasta fino ad oggi clandestina sotto il regime di Assad. In un’epoca segnata da conflitti e crisi, il cinema e la cultura si confermano strumenti essenziali per preservare la memoria, promuovere la giustizia e dare speranza alle future generazioni.
La difficile transizione politica
Mentre nel nord, con il sostegno di importanti ONG internazionali, sono nate esperienze fondamentali, nelle aree controllate dall’ex regime nel sud del Paese, dove nessun supporto esterno era presente, la comunità drusa ha svolto un ruolo significativo nella società civile siriana, nonostante le difficoltà e le pressioni politiche. Negli ultimi anni, gruppi di attivisti drusi hanno organizzato proteste pacifiche per chiedere riforme politiche e sociali, opponendosi sia alla repressione del regime che alla violenza estremista.
Nel piccolo gruppo di attivisti che abbiamo incontrato c’era Khaldon, un poeta che di mestiere fa l’avvocato, da sempre in prima linea nelle proteste di Suwayda, che ci ha detto: “La religione è per Allah e il Paese è per il popolo”, un’affermazione che richiama il concetto di laicità, del quale in molti sono convinti, senza escludere la religione dalla vita delle persone. Molti sottolineano che “la storia non finisce con la caduta del regime”, indicando che il nuovo presidente ad interim “deve iniziare a fidarsi dei siriani”. La caduta del regime di Assad ha lasciato un vuoto di potere che Hayat Tahrir al-Sham (HTS), guidato da Ahmed al-Sharaa, sta cercando di colmare. Tuttavia, il passato controverso di HTS e le sue alleanze generano inquietudine tra i cittadini, che temono un nuovo ciclo di repressione con la grave incognita islamista. Integrare fazioni armate, garantire sicurezza e promuovere la riconciliazione nazionale sono compiti immensi.
In tanti hanno chiesto di promuovere verso la comunità internazionale una narrazione che valorizzi le voci dei siriani che restano e devono restare centrali in questo nuovo processo. “Non c’è nessuna alternativa a una transizione politica rappresentativa che soddisfi le aspirazioni di tutti gli uomini e le donne siriani”, ci hanno ribadito. Tuttavia, il timore che nuove forme di oppressione possano sostituire le vecchie resta forte. Il nostro viaggio in Siria ci ha mostrato un Paese sospeso tra il desiderio di un futuro migliore e il peso di un passato difficile da lasciarsi alle spalle. Ma se c’è una cosa che questo ritorno ci ha insegnato, è che la resistenza civile siriana non si spegne. E forse, proprio in questa determinazione, risiede la chiave per la rinascita della Siria.
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