Le radio locali a Ravenna, un’epoca irripetibile: Piero Cattani racconta l’avventura di Radio Zero

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Per chi ha vissuto gli anni ’70 e ’80, parlare di radio è fare un tuffo nel passato. Era il periodo delle dediche pomeridiane e serali, con la speranza che il “lui” o la “lei” del momento trovasse il coraggio di dedicare una canzone speciale. Si aspettava attaccati allo stereo per ore che passasse la canzone del cuore, pronti a spingere il tasto rec per registrarla sulle cassette. Si partecipava ai giochi organizzati con i negozi locali per vincere un gadget o un adesivo. La radio era compagna di vita, voce delle città, luogo di sperimentazione e creatività.

Negli anni Settanta, con la fine del monopolio statale sulle trasmissioni radiofoniche, anche a Ravenna e in tutta la Romagna iniziarono a nascere le prime emittenti private. Gruppi di giovani e appassionati di musica, informazione e comunicazione si cimentavano con microfoni e trasmettitori, dando voce a realtà locali spesso trascurate dai grandi circuiti nazionali. Le radio rappresentavano uno spazio di libertà, con programmi musicali innovativi e la possibilità per i cittadini di intervenire in diretta, rompendo la rigidità delle emittenti pubbliche.

A Ravenna si ascoltavano nomi come Ravegnana Radio, Radio Studio 103 e Radio Sound, ma la più seguita era Radio Zero, fondata nel 1977 da Piero Cattani. Parlare con lui oggi, che nella vita fa tutt’altro, è un viaggio in quel mondo che, oltre alla nostalgia, racconta una fase di grande vivacità e voglia di sperimentare.

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Oggi a Ravenna non esistono più radio locali. Come nacque il loro successo e perché nessuna è sopravvissuta? Lo abbiamo chiesto a Piero che ha vissuto quella stagione da protagonista.

Piero Cattani oggi

Com’è nata la tua avventura nella radio?

“Ho iniziato nel 1975 a La Spezia, dove ero in collegio. Ero già appassionato di musica, avevo qualche 45 giri e mi chiesero di entrare in società con altri 25 soci per avviare una radio. Poi, tornato a Ravenna nel 1977, con l’aiuto di quattro o cinque amici abbiamo aperto Radio Zero”.

Cosa rendeva speciale la radio di quegli anni?

“Tante cose, ma due soprattutto: l’amore e l’emozione. La radio analogica aveva un’anima e il fatto di non poter vedere chi parlava amplificava tutto. Ai nostri tempi, a Radio Zero, avevamo una sorta di WhatsApp ante litteram: i ragazzi comunicavano con messaggi in diretta usando soprannomi e un linguaggio abbreviato, come si fa oggi online. L’assenza di immagini era un valore aggiunto, perché lasciava spazio alla fantasia”.

Le radio libere avevano anche una forte componente di libertà espressiva. È così?

“Assolutamente. All’epoca non c’era una legge che regolamentasse le radio come oggi, quindi parlavamo a ruota libera. Eravamo anarchici, potevamo dire qualsiasi cosa. Ho ricevuto anche querele, persino dal sindaco, che poi venne in radio e diventammo amici. Quell’irriverenza che oggi si ascolta in programmi come lo Zoo di 105, noi la facevamo già più di trent’anni fa”.

Gli anni Settanta sono stati il momento magico della radio, ma poi?

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“Negli anni ’80, nonostante il boom delle radio, ci siamo uniformati. Il linguaggio e la dizione sono diventati più standardizzati, la tecnica si è affinata e le differenze tra le radio si sono ridotte. Ad esempio, si è imposto il formato dello “stacco perfetto”: iniziare a parlare all’inizio di un disco e smettere esattamente prima che parta il cantato. Ancora oggi funziona allo stesso modo”.

Chi era l’antagonista di Radio Zero?

“Senza dubbio Studio Delta. Noi eravamo i numeri uno nella qualità dei programmi, loro nella tecnologia. Loro investivano nei ripetitori, noi nei contenuti. Lorella Monchi, che iniziò a Radio Zero, è ancora oggi una delle migliori dj in circolazione e lavora a Studio Delta. Ma se oggi ascolti Studio Delta è praticamente la stessa radio di una volta: stessi format, stesso modo di parlare, tutto com’era negli anni ’80”.

Qual era il panorama delle radio ravennati in quegli anni?

“C’era un fermento incredibile. Appena tornato da La Spezia sono stato per qualche settimana a Radio Ravenna 1, dove c’era il grandissimo Danilo Casali, che faceva trasmissioni in dialetto. Poi c’era Radio Italia di Ivo Dal Monte, che anche lui trasmetteva in dialetto e aveva un enorme seguito tra gli anziani. Poi Radio Sound, Studio 103 di Daniele Cicognani, Ravegnana Radio, che è stata l’ultima a chiudere, e Radio Luna, che era un franchising e ha avuto per un certo periodo un discreto successo tra i giovani”.

Radio Zero the last party
radio zero

Come mai oggi a Ravenna non esistono più radio locali?

“Si è spento l’entusiasmo e la voglia di investire. Penso che la radio rimarrà perché è facile da ascoltare in auto, ma sempre più in forma monotematica, come Radio Sportiva che trasmette solo contenuti sportivi. Del resto, conviene ascoltare i network nazionali perché sono all’avanguardia, hanno grandi presentatori, mezzi enormi: se ti confronti con i network nazionali perdi, se non hai idee per il locale perdi di nuovo. A parte alcuni nomi, come Radio Sabbia, dove c’è Enrico il Pazzo che ancora fa le dediche spiritose e ha un suo pubblico fedele che lo segue da una vita, non è rimasto molto altro”.

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Il sociologo MacLuhan diceva: “La radio è un mezzo caldo”. Lo pensi anche tu?

“Sì, ed è proprio questo che oggi manca. Con le web radio e i podcast, la maggior parte dei programmi è registrata e si sente subito la differenza. Non c’è più il contatto diretto con il pubblico”.

C’è un ricordo che ti emoziona ancora?

“Tanti, ma uno su tutti riguarda Renato Zero. Chiamammo la nostra radio in onore suo, perché mia sorella era una grande fan. Lo contattai e lui venne in radio, rimanendo con noi per quattro o cinque ore. La gente aveva invaso la strada davanti ai nostri studi. Poi organizzammo un suo concerto e, quando andai a Roma per definire i dettagli, mi invitò a casa sua. Disse: “Tu dormi con me e tua sorella con la mia amica Lucy”. Io passai la notte in bianco, pensando che mi saltasse addosso, invece lui russò beatamente per ore!”.

Quando hai smesso con la radio?

“A un certo punto, ho fondato BMM, un giornale di moda, e sono diventato fotografo. Non riuscivo più a seguire tutto e la radio iniziava ad avere difficoltà. Così, nel 2009, abbiamo deciso di chiudere. Ho 67 anni e ho vissuto una fetta importante della mia vita dentro la radio. Ancora oggi la gente mi ferma per strada, riconosce la mia voce e questo mi commuove. Pensare di aver fatto parte della vita delle persone così tanto da essere ricordato solo sentendomi parlare è qualcosa di incredibile”.

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