Quanto è distante il Palazzo di Vetro

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di Gianna Pontecorboli da New York

Due risoluzioni dell’Assemblea Generale che hanno lasciato gli Stati Uniti isolati e nettamente perdenti ancor prima del disastroso incontro tra Zelensky e Trump a Washington. Un’ambasciatrice che doveva essere prestigiosa ma non ha ancora varcato la porta del Palazzo di Vetro. Un Consiglio dei Diritti Umani e un sistema mondiale per gli aiuti umanitari ai quali Washington non contribuirà più e nei quali non avrà più una voce. Giorno dopo giorno, la distanza tra quell’organizzazione internazionale che gli Stati Uniti hanno tanto contribuito a creare alla fine della Seconda guerra mondiale e la Casa Bianca di Donald Trump sembra destinata a diventare più profonda e più difficile da colmare.

A confermare, lunedì scorso, le difficoltà che le mosse del nuovo presidente americano stanno creando non soltanto per l’OnuNU, ma anche per la stessa Casa Bianca, è bastata una breve apparizione dell’ambasciatrice ucraina Mariana Betsa di fronte a un foltissimo nugolo di giornalisti provenienti da tutto il mondo. Circondata dai rappresentanti di 36 diversi paesi, in gran parte appartenenti al blocco occidentale, la diplomatica ha espresso la sua soddisfazione per l’approvazione, con 93 voti a favore, 65 astensioni e 10 voti contrari, della risoluzione presentata dal suo Paese e appena votata dall’Assemblea Generale in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa.

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“Oggi marchiamo i tre anni dall’inizio dell’invasione illegale e non provocata dell’Ucraina da parte della Russia… Riaffermiamo il nostro supporto incondizionato per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i confini internazionalmente riconosciuti, compresi quelli marini”, ha dichiarato Mariana Betsa a nome di tutti i colleghi presenti. Nel largo gruppo dei diplomatici, non poteva sfuggire l’assenza degli Stati Uniti, che insieme alla Russia avevano votato contro il provvedimento. Ugualmente assenti, nel corso della stessa mattinata, sono stati gli Stati Uniti dopo che è stata approvata, ma soltanto dopo l’approvazione delle modifiche presentate dalla Francia per condannare apertamente l’aggressione russa, la risoluzione presentata dalla stessa Casa Bianca e sulla quale si sono astenuti.

Per ottenere una piccola soddisfazione, nel corso del pomeriggio di una giornata tesissima, la Casa Bianca ha dovuto attendere l’approvazione al Consiglio di Sicurezza della breve e quasi insignificante risoluzione presentata per chiedere, senza condannare l’aggressione russa, la fine delle ostilità e sulla quale, rinunciando al diritto di veto, la Francia e la Gran Bretagna si sono astenute. “Questa risoluzione ci mette sulla strada della pace”, ha spiegato con apparente convinzione l’incaricata d’affari americana Dorothy Shea, “È un primo passo, ma un passo cruciale, di cui tutti dovremmo essere orgogliosi. Ora dobbiamo usarlo per costruire un futuro di pace per l’Ucraina, la Russia e la comunità internazionale”.

Di fatto, a rendere più evidente il progressivo isolamento dell’America di Trump alle Nazioni Unite vi sono anche molti altri elementi, a cominciare dall’assenza di Elise Stefanik, l’aggressiva congressista newyorkese che Donald Trump ha scelto per rappresentarlo al Palazzo di Vetro. Da settimane, infatti, la sua conferma per il nuovo incarico è bloccata. Con un’esile maggioranza repubblicana di soli tre voti alla Camera dei rappresentanti, infatti, lo speaker Mike Johnson non può permettersi di rinunciare al suo voto per l’approvazione del nuovo bilancio federale e teme i ritardi che la governatrice democratica dello Stato di New York potrebbe imporre per la scelta del successore. L’assenza di una rappresentante abile e temibile, d’altra parte, ha reso più allarmanti gli altri passi non certo inaspettati che Donald Trump ha fatto nelle ultime settimane.

In uno dei tanti ordini esecutivi frettolosamente firmati sulla scrivania della Sala Ovale, infatti, ne spicca uno che prevede il blocco della partecipazione americana al Consiglio per i Diritti Umani di Ginevra, già deciso nel 2018 durante il primo mandato di Trump e poi cancellato da Biden, e la sospensione dei conseguenti finanziamenti. Nello stesso ordine, è prevista anche una revisione della partecipazione americana all’UNESCO. Una serie di confusi messaggi che il Dipartimento di Stato ha inviato a diverse agenzie dell’ONU, poi, ha annunciato la fine dei finanziamenti americani non soltanto per l’UNRWA, ma anche per l’UNESCO, insieme alla fine del sostegno che USAID, l’agenzia americana per gli aiuti all’estero, bruscamente chiusa da Elon Musk, aveva finora dato a tutti i servizi umanitari.

“Le agenzie contattate stanno cercando di fare chiarezza e di avere un contatto diretto, ma finora non abbiamo trovato interesse”, ha spiegato amaramente nella sua conferenza stampa il portavoce dell’Onu, Stéphane Dujarric. “Noi cercheremo di continuare il nostro lavoro e di creare un piano B per diversificare ed eliminare le eventuali sovrapposizioni tra le varie agenzie”. Secondo il giudizio di diversi esperti, comunque, proprio i tagli ai finanziamenti potrebbero alla fine danneggiare la posizione degli Stati Uniti nell’equilibrio mondiale ben oltre le attese di Donald Trump e offrire ad altri paesi un’occasione preziosa per influenzare politicamente ed economicamente interi continenti come l’Africa o l’America Latina.

“Più che l’uscita degli Stati Uniti dal Consiglio per i Diritti Umani, saranno i tagli ai finanziamenti americani ad avere un impatto maggiore. Questo potrebbe rimescolare le carte a favore di paesi ricchi come la Cina, che sono in grado di colmare il divario”, ha osservato Vincent Chetail, professore di diritto internazionale a Ginevra. E, sia pure impoverita e confusa, anche l’Onu potrebbe iniziare a studiare a tempi brevi il piano B per ritrovare una sua voce, mentre Elise Stefanik resta bloccata a Washington.





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