“Questo progetto mira a favorire lo sviluppo di attività commerciali fruibili da minori e adulti con Disturbo dello Spettro Autistico” – SMS News Quotidiano

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“La nostra ambizione, come ente del terzo settore, è portare la comunità da una visione egosistemica ad una ecosistemica, perché ci fa paura una società che non sia in grado di prendersi cura degli altri”. Gianluca Carcangiu, presidente dello Csen Piemonte, ci ha parlato del progetto SoldAut, nato dopo il successo di OpenAut ed EstAut, per incrementare, negli operatori delle attività commerciali presenti sul territorio della Circoscrizione 4, le conoscenze delle caratteristiche del Disturbo dello Spettro Autistico al fine di favorire l’inclusione e l’autonomia dei minori e degli adulti presenti sul territorio, migliorando così anche la qualità della loro vita e di quella dei loro famigliari.

Al termine del percorso viene attribuita ad ogni attività commerciale una vetrofania che attesta la partecipazione all’iniziativa.

Presidente, come è nata l’idea del progetto SoldAut?

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“SoldAut deriva dal successo di altri due progetti, OpenAut, realizzato lo scorso anno, che consiste in un percorso di formazione rivolto ad educatori ed associazioni del territorio per rendere le comunità più inclusive, ed EstaAut, un campus estivo, con attività di carattere laboratoriale, rivolto a bambini e bambine neurodivergenti e normotipici, volto a favorire l’inclusione sociale e a sostenere concretamente le famiglie. Da quell’esperienza è nato poi il progetto SoldAut, creando questo percorso tarato sulle esigenze dei commercianti, ai quali abbiamo dato degli strumenti per rendere la propria attività commerciale più competitiva, aprendosi a un’utenza che normalmente non è considerata o lo è poco. Abbiamo formato gli operatori affinché possano accogliere le esigenze delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico migliorando anche la qualità della loro vita. Al termine abbiamo conferito a queste attività una vetrofania da esporre”.

Qual è la competenza principale che deve essere acquisita dagli operatori delle attività commerciali?

“La competenza numero uno da acquisire è l’attitudine alla cura delle persone, unita all’amore verso la comunità”.

Favorire l’inclusione e l’autonomia delle persone e creare una società più inclusiva sono tra gli obiettivi di SoldAut…

“La nostra ambizione, come ente del terzo settore, è portare la comunità da una visione egosistemica ad una ecosistemica, perché ci fa paura una società che non sia in grado di prendersi cura degli altri. Si diceva che dopo il Covid saremmo stati più buoni, ma in realtà non è andata così. Potenzialmente tutti siamo passibili di poter magari vivere la disabilità per un periodo della nostra vita, quindi è importante lavorare insieme affinché ci sia un senso di cura verso l’altro”.

Cosa manca per far sì che si possano ridurre concretamente le disuguaglianze che ancora esistono e che ci possa essere un’inclusione effettiva?

“Credo che l’unico ingrediente che possa essere messo in campo per cambiare il mondo sia l’amore, insieme all’empatia. Quando vedi che una persona sta soffrendo, indipendentemente che sia disabile o normodotata, si dovrebbe cercare di entrare in relazione con lei, facendo un lavoro di analisi delle emozioni interiori e ascoltandoci un po’ di più per comprendere le sensazioni che si stanno provando”.

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Riguardo la tematica dell’autismo, quanto le scuole possono fare oggi per favorire l’inclusione?

“Per quanto riguarda la realtà scolastica che conosciamo, cioè quella di Torino, viene dato un supporto importante, attraverso gli insegnanti di sostegno e con classi non differenziate perchè la diversità deve essere vista come un valore aggiunto. Per uscire dal tema della disabilità, se in una classe ad esempio abbiamo un bimbo o una bimba di origine rom questo è un valore, ma dipende da come viene canalizzata quella risorsa, che tipo di viaggio di scoperta si vuole fare. Il mondo è composto da tanti colori, tutti bellissimi. Ci sono anche situazioni dove per gli insegnanti è difficile, con 20-25 ragazzi da seguire, prendersi carico di una situazione che richiede maggiore attenzione, ma torno a ripetere che innanzitutto deve essere sempre presente il senso di cura verso l’altro”.

Nella foto Daria Fera e Giuseppe Cimmino, referenti del progetto SoldAut

Tornando al progetto SoldAut, che risposta c’è stata da parte delle attività commerciali e come sono state selezionate?

“In realtà non abbiamo selezionato le attività commerciali ma si sono palesate direttamente e hanno veramente sorpreso sia me che l’avvocato Antonietta D’Orsi, coordinatrice della III Commissione della Circoscrizione IV, e sostenitrice del progetto. In questo viaggio, infatti, abbiamo incontrato persone meravigliose, che hanno una delicatezza, una capacità e un’attenzione incredibili. E’ stata la dimostrazione che il mondo è migliore di quello che noi spesso immaginiamo”.

Come si è svolta la formazione?

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“Abbiamo utilizzato un protocollo di due ore, nella prima parte ascoltiamo i commercianti, perché la comunicazione si fa in due e la base non è la parola ma sono le orecchie, quindi ci raccontano le loro esperienze, le competenze, nella seconda parte entriamo nell’ambito scientifico, nella materia, diamo delle suggestioni, delle indicazioni e lavoriamo insieme relativamente alle esigenze della tipologia dei clienti che frequentano la loro attività. Ad esempio se in un bar arriva un cliente con un Disturbo dello Spettro Autistico puoi fare in modo che si senta a suo agio con delle piccole attenzioni, come abbassare il volume della musica, parlare con un suo amico o un genitore per capire le necessità, cercare di rendere più confortevole lo spazio togliendo dei deodoranti d’ambiente o uno strobo”.

E’ un modello virtuoso che potrebbe essere esportato anche nel resto d’Italia…

“Noi lavoriamo su base regionale, dopo Torino c’è un altro comune, Settimo Torinese, che vuole introdurre SoldAut. Saremo felici di regalare questo modello a qualunque città o regione dovesse farne richiesta”.

Quali saranno i prossimi step?

“Il prossimo obiettivo che ci siamo posti è riuscire a creare un patto di comunità che coinvolga genitori e ragazzi, all’interno del quale ci possa essere un piccolo decalogo sull’uso delle tecnologie quando si è in gruppo. Un tempo quando salivi su un pullman per andare a fare una gara con una società sportiva c’era caos, gente che gridava, cantava, adesso c’è un silenzio generale, perchè ognuno è preso a guardare il cellulare. L’idea è quindi creare un bel patto di comunità con tutte le associazioni coinvolte, per darci delle regole che vanno dall’inclusione alla comunicazione, alla creazione di principi one health”.

di Francesca Monti

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Si ringrazia Carlo Morizio



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