Toghe ignorate? Ministra resistente? E’ declino Italia

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Aldo Primicerio

Il Tg1 delle 20 è il telegiornale più seguito in assoluto. E per disonorare il suo primato, giovedì scorso 27 febbraio ha praticamente ignorato lo sciopero dei magistrati. Nessuna immagine delle manifestazioni, nessun dato sulla partecipazione. Molti di noi l’abbiamo letto invece sui giornali o sentito su SkyTg24, oggi il telegiornale più equidistante ed, a nostro parere, il migliore in Italia: adesione all’80%. La manifestazione delle toghe, un fatto raro ed eccezionale, ha avuto pieno successo, con flash mob di fronte ai Palazzi di giustizia e affollate assemblee pubbliche in trenta città d’Italia. E l’altro 20%? Vi era contrario solo perché lo riteneva inutile. Ecco come il telegiornale più visto in Italia ha raccontato lo sciopero di una categoria che lotta e protesta non per sé, come fanno di solito tutte le altre, ma per i processi, per la giustizia, per i cittadini. Una manifestazione del tutto unitaria, e non uno show di toghe rosse come blaterano i soliti stolti.

Ma di tutto questo il telespettatore, l’italiano medio che ha visto il Tg1, non ne sa nulla. Perché non ha visto niente. Ecco cosa hanno scritto l’Usigrai, sindacato del giornalisti del servizio pubblico, ed il Comitato di Redazione, i giornalisti del Tg1: Le notizie parziali non sono la cifra del Tg1. Omettere la percentuale di adesione allo sciopero dei magistrati non è servizio pubblico. Nella giornata dello sciopero non trasmettere alcuna immagine dei presìdi da Milano a Napoli, non riportare le modalità in cui questi si sono svolti, addirittura nell’edizione più vista, quella di ieri delle 20, non è servizio pubblico. Così come non riteniamo sia pluralismo mettere sullo stesso piano opinioni diverse nel giorno in cui una parte – circa l’80% – ha espresso una posizione, depotenziando la portata di un evento e non fornendo una informazione completa ai cittadini. Lo stesso è avvenuto, per esempio, in occasione dello sciopero dei medici”.

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Ora qualcuno ai vertici del TG1 potrebbe anche pensare alle dimissioni. Sì, è vero, più che uno sciopero occorrerebbe il dialogo tra due dei tre poteri dello Stato, quello esecutivo del governo e quello giudiziario dei magistrati. Ma allo sciopero le toghe vi sono state trascinate dalle insulse accuse del centrodx, tra cui spiccano proprio quelle di un suo ex-epigono, Carlo Nordio, già Pm ed oggi ministro della giustizia.

 

Gli scontri tra destra e magistratura vengono da lontano, dal 1992. Con le “fisse” di Silvio su Mani Pulite come strategia per dare il potere alla sinistra

Riassumiamo in sintesi, per i più giovani che leggono. Le radici del conflitto tra i due poteri risalgono a Tangentopoli. E’ il periodo tra il 1992 e il 1994 in cui tutto il sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica, quello che aveva gestito il potere in Italia fino ad allora, crollò principalmente a seguito di inchieste sulla corruzione della procura di Milano note come “Mani Pulite”. Alcuni degli esponenti del Partito socialista, che più di tutti fu coinvolto dagli scandali, e varie personalità vicine al leader socialista Bettino Craxi, confluirono in Forza Italia, il partito fondato da Berlusconi nel 1994. Che un certo risentimento doveva averlo conservato nei confronti dei magistrati. Ma tutto fu scombinato poi dal sostegno proprio del centrodx a Mani Pulite, dalla discesa in campo di Berlusconi, e dall’ascesa al potere di Forza Italia e di Silvio. E fu proprio nel 1994, con la destra da poco vincitrice delle elezioni, quando a Silvio, che presiedeva la Conferenza mondiale dell’ONU sulla criminalità, venne consegnato un avviso di garanzia su presunte tangenti versate alla Guardia di Finanza. Poi il processo con la condanna in primo grado, e poi, come accade spesso in questo Bel Paese, la prescrizione. Ma il punto più alto della crisi tra esecutivo e giudiziario fu nel 2003, quando – ricordate – Silvio si lasciò andare, dicendo: “I giudici sono matti, sono mentalmente disturbati, hanno turbe psichiche, sono antropologicamente diversi dalla razza umana”. Affermazioni fuori del comune, di gravità inaudita disse il più volte ministro Virginio Rognoni. Ed a Silvio si oppose con durezza l’allora Presidente Ciampi. E poi, ancora: tra il 2001 ed il 2008 le cosiddette leggi ad personam, 42 norme dei vari governi Berlusconi che riguardavano, direttamente o meno, i procedimenti a carico del presidente.

 

Santanché che resiste. Icona del parassitismo e del nullismo politico. E del declino che piena Italia, Occidente, ed ora anche gli Usa

E siamo a lei, all’altra star di questa settimana. Come sappiamo, è stata respinta con 206 no la mozione di sfiducia delle opposizioni al ministro del turismo Daniela Santanché, rinviata a giudizio per falso in bilancio sul caso Visibilia e per truffa ai danni dell’Inps. Alla Camera uno show disgustoso. Con lei che evoca coraggio e non paura, che ostenta sullo scranno una borsa da 20mila euro per rispondere alla ex di Silvio Francesca Pascale, che ripete che non ha nulla da nascondere, che accusa l’opposizione di combattere non la povertà ma la ricchezza, che si crogiuola nel suo ruolo di vittima. Il grande Wagner l’avrebbe volentieri inserita in uno dei suoi crescendo del Lohengrin. Perché capace di trasformare la gogna in ergastolo, di vantare ferite che non si rimargineranno mai, di inorgoglirsi di rappresentare per molti il male assoluto, di essere fiera del suo fisico, del suo vestir bene e dei suoi tacchi da 12 centimetri, di abbinare scioccamente l’essere una donna libera al vestire abiti firmati. E poi il delirio finale: “Deciderò solo io se dimettermi. Sapete da chi mi viene questa forza per continuare? Da un deputato stellato, da Dio!”.

Uno spettacolo indegno, anche di blasfemia. Di questa persona, ma anche della Giorgia Meloni. Che forse questo spettacolo non l’avrebbe voluto, e che le avrebbe dato volentieri un calcio nel sederone, se non avesse dovuto cedere al ricatto della permanenza al potere. Un volgare show. Che declassa la nobile Camera dei Deputati italiana ad un circo equestre o ad una fossa dei leoni.

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E dalla Lega uno spintone a chi più soffre nel Paese

Siamo davanti ad un funerale di questa classe politica da quattro soldi che impesta l’aria di Montecitorio. Ma noi italiani, o almeno quelli di noi che ragionano con la propria testa e che non si lasciano gabbare dai monologhi twitteriani, ormai non dobbiamo più meravigliarci. Stiamo vivendo uno dei peggiori momenti, forse il peggiore della politica dal dopoguerra. Una fase in cui gli stessi cittadini italiani paradossalmente sostengono con il loro consenso una maggioranza reazionaria, classista e retrogressista. Ed alla fine, una su tutte. La Lega, con la sua senatrice Maria Cristina Cantù, ha presentato un emendamento al disegno di legge 1241. In esso, per dare un taglio radicale alla crisi del sistema sanitario pubblico, l’Onorevole propone di separare dal budget del SSN le spese socio-sanitarie di alcuni malati le cui cure, per la gravissima patologia e/o disabilità (Alzheimer, Sla, demenza), sono indissolubilmente connesse con le prestazioni sanitarie. In poche parole, più costi a carico di chi più soffre. Eccolo il centrodestra: il nemico dei poveri, degli anziani, dei fragili, il nemico di chi soffre.

 

 

 

 

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